Si riaccendono i fronti in Medio Oriente

 

(aggiornato alle 23,55)

Dalla Siria alla Striscia di Gaza i fronti mediorientali, da tempo sopiti o mantenuti a bassissima intensità, sembrano ravvivarsi negli ultimi giorni.

Hamas ha lanciato l’Operazione “Tempesta di al-Aqsa”, un assalto a sorpresa nel 50° anniversario dell’inizio della guerra dello Yom Kippur (6 ottobre 1973) infiltrando in profondità (sembra anche con l’impiego i parapendio motorizzati) molti miliziani nei territori, negli insediamenti e nelle basi israeliane che circondano la Striscia di Gaza impiegando forze terrestri ma anche uomini sbarcati via mare e dal cielo impiegando parapendio e via mare. Sarebbero già oltre 3.000 i razzi lanciati contro i territori meridionali israeliani. Almeno 40 gli israeliani uccisi oltre 700 feriti mentre alcuni militari di Tsahal sarebbero stati catturati.

Decine” di ostaggi israeliani sono nelle mani di combattenti di Hamas: lo ha sostenuto Abu Obeida, portavoce dell’organizzazione, sostenendo che le persone si trovano ora in “luoghi sicuri” e in tunnel sotto controllo palestinese. Ricostruzioni sull’accaduto sono state diffuse anche dall’esercito di Tel Aviv. Secondo la sua versione, cittadini israeliani sono tenuti in ostaggio sia nella Striscia di Gaza che a Beeri e Ofakim, località del sud di Israele a una ventina di chilometri dalla frontiera con la regione palestinese.

ideo diffusi da Hamas sembrano mostrare almeno tre israeliani prigionieri. Fotografie pubblicate dall’agenzia di stampa americana Associated Press indicherebbero che tre civili israeliani, due dei quali donne, sono stati trasferiti a Gaza. Un alto dirigente di Hamas, Saleh al-Arouri, ha detto all’emittente araba Al Jazeera che le persone in ostaggio potrebbero essere utilizzate per uno scambio di prigionieri: l’obiettivo sarebbe far tornare in libertà palestinesi detenuti nelle carceri di Israele.

Secondo un portavoce della Brigata Ezzedin al-Qassam, braccio militare di Hamas, il numero totale di israeliani catturati è “molte volte superiore” ad alcune decine.

Il leader del movimento, Ismail Haniyeh ha detto alla televisione Al-Aqsa gestita da Hamas che “siamo sull’orlo di una grande vittoria e di una chiara conquista sul fronte di Gaza. Adesso basta, il ciclo delle intifada e delle rivoluzioni nella battaglia per liberare la nostra terra e i nostri prigionieri che languono nelle prigioni israeliane dell’occupazione deve essere completato”.

Nel tardo pomeriggio fonti di Hamas hanno freso noto che a Gaza 232 palestinesi sono stati uccisi e 1.697 feriti: il comandante militare di Hamas Mohammed Deif ha invitato i palestinesi e gli Hezbollah libanesi a unirsi alla lotta.

Israele ha risposto mobilitando migliaia di riservisti e con attacchi lanciati di aerei ed elicotteri su Gaza che hanno “colpito 17 compound militari e 4 centri di comando operativi appartenenti all’organizzazione terroristica Hamas” nella Striscia.

In serata le forze israeliane (IDF) hanno reso noto che “I terroristi si sono scatenati e hanno fatto irruzione nelle case, massacrando i civili. Civili e soldati israeliani sono stati rapiti in Israele e presi in ostaggio a Gaza. Oltre 3.000 razzi lanciati da Hamas a Gaza verso Israele” con un bilancio di “più di 200 morti e oltre mille feriti”

Il primo ministro Benyamin Netanyahu ha dichiarato lo stato di guerra e invitato i civili palestinesi a lasciare la Striscia di Gaza in vista “dell’annientamento dei covi di Hamas”.  Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha esteso all’intero territorio nazionale “lo stato di emergenza”. Che inizialmente era stato dichiarato su un territorio di 80 chilometri dalla Striscia di Gaza.

Le IDF avevano trasferito reparti dai confini con Gaza alla Cisgiordania per proteggere gli insediamenti dei coloni indebolendo le forze che fronteggiano Hamas. Inoltre appare innegabile il flop dell’intelligence nel prevenire un attacco di così ampia portata all’interno del territorio israeliano con l’attacco a numerosi obiettivi militari e civili e l’occupazione di una base militare nei pressi del valico di Eretz.

Ma al di là degli aspetti militari, sono le valutazioni politiche a preoccupare. Israele è stato colpito duramente e di sorpresa, come il 6 ottobre 1973, in una fase politica delicata in cui la divisione sociale senza precedenti determinata dalla riforma della Giustizia voluta dal Netanyahu sta colpendo anche le forze armate.

Non a caso il leader dell’opposizione israeliana, Yair Lapid, ha chiesto di formare un “governo di emergenza” per gestire “l’operazione difficile e complessa che ci aspetta”. In una nota, Lapid ha detto: “Lo Stato di Israele è in guerra. Non sarà facile e non sarà’ breve. Ha conseguenze strategiche che non vedevamo da molti anni. C’è il serio rischio che diventi una guerra su più fronti. Poco fa ho incontrato il primo ministro Netanyahu. Gli ho detto che in questa situazione d’emergenza sono disposto a mettere da parte le nostre differenze e formare con lui un governo di emergenza, ristretto e professionale per gestire ‘l’operazione difficile e complessa che ci aspetta’”.

Allo stesso tempo appare chiaro che l’attacco su vasta scala di Hamas e la successiva dura risposta di Israele (dove non si esclude una nuova occupazione militare della Striscia di Gaza) rischia di far tramontare la normalizzazione dei rapporti tra lo Stato Ebraico e l’Arabia Saudita sostenuta dagli Stati Uniti oltre a mettere inm imbarazzo all’interno del mondo arabo e islamico Marocco, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Sudan che hanno già normalizzato i rapporti con Gerusalemme in base ai cosiddetti “ Accordi Abramo”

Una svolta che sarebbe gradita all’Iran (il generale iraniano Yahya Rahim Safavi, consigliere della guida Suprema dell’Iran Ali Khamenei, ha dichiarato che il suo paese è a fianco di Hamas fino alla completa liberazione della Palestina) e ai suoi alleati, in primis Siria ed Hezbollah ma molte nazioni arabe hanno espresso solidarietà al popolo palestinese inclusa Algeria, Tunisia e Qatar .

 

In Siria il 6 ottobre forse un centinaio di cadetti e militari dell’esercito siriano sono stati uccisi da un attacco condotto con droni suicidi imbottiti di esplosivo all’accademia militare di Homs dove era in corso la cerimonia di consegna dei diplomi presso.

Incerto ma alto il numero di vittime: inizialmente le fonti siriane riferirono di 89 morti e 277 feriti inclusi civili (31 donne e 5 bambini uccisi) tra il pubblico che assisteva alla cerimonia, poi il numero dei morti è salito a 110 tra civili e militari.

L’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong legata all’opposizione anti-Assad con sede a Londra, ha riferito di 123 morti tra cui 54 civili, e 150 feriti. Le forze siriane hanno risposto bombardando le milizie jihadiste nella provincia settentrionale di Idlib, ultimo bastione dei ribelli protetti dalla presenza militare turca e contro cui l’esercito di Damasco aveva lanciato azioni offensive a inizio ottobre.

Secondo l’Osservatorio Ieri due soldati turchi sono rimasti uccisi nelle nel nord della Siria durante un bombardamento di artiglieria contro una base militare turca a Dabeq, a nord di Aleppo, attribuito alle forze governative siriane. Oggi incursioni aeree siriane hanno colpito obiettivi nelle regioni Aleppo e Idlib con il supporto dei velivoli militari russi basati nei pressi di Latakya.

Più a est, il settentrione siriano è stato infiammato invece dall’operazione militare turca varata contro le milizia curde del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) e delle Unità di Protezione Popolare (YPG), considerati “terroristi” da Ankara ma che in Siria fanno parte con altre milizie sunnite del delle Forze Democratiche Siriane, raggruppamento militare sostenuta dagli Stati Uniti che mantengono nel nord della repubblica araba un migliaio di uomini (nella foto sotto) che presidiano tre basi in prossimità dei pozzi petroliferi un tempo controllati dallo Stato Islamico e oggi sotto il controllo curdo-americano con l’obiettivo di negarne l’accesso e lo sfruttamento al governo di Damasco.

Secondo le fonti curde i “bombardamenti su vasta scala” turchi hanno preso il via al mattino del 5 ottobre con l’impiego di droni armati contro “città, villaggi e infrastrutture civili”, comprese “scuole, ospedali, dighe, centrali elettriche, depositi di grano e altre strutture vitali”. Le forze turche hanno compiuto raid anche nei pressi del campo profughi di Washokani, nel distretto di Hasakah, che ospita 16mila sfollati dell’operazione militare turca del 2019. La mezzaluna rossa curda ha riferito di scene di panico tra i residenti.

L’offensiva della Turchia contro i curdi in Siria costituisce la rappresaglia all’attacco terroristico del 1° ottobre ad Ankara, contro il ministero degli Interni, dove un uomo si era fatto esplodere mentre un secondo attentatore era stato neutralizzato dall’intervento delle forze di sicurezza.

@GianandreaGaian

Foto IDF e SDF

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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