Beirut 1982: l’operazione Pace in Galilea e l’espulsione dell’OLP

 

Il 22 agosto 1982 i gruppi di guerriglieri, in maggioranza membri dell’Organizzazione della Liberazione della Palestina (OLP) asserragliati a Beirut Ovest, iniziavano l’uscita dal “Paese dei cedri” in base agli accordi intercorsi con i mediatori, in primis l’americano Philip Habib, dopo che il 6 giugno Israele aveva dato avvio all’operazione Pace in Galilea.

Nel giro di una settimana le forze israeliane giunsero nei pressi di Beirut. Dal 3 luglio prese avvio l’assedio della parte ovest della capitale libanese. Il 21 agosto entrava in vigore il-cessate-il-fuoco definitivo che condusse alla espulsione dell’OLP ed al ripiegamento parziale delle truppe siriane dal Libano.

Gli obiettivi del governo israeliano con questa grossa operazione militare consistevano nella eliminazione della presenza dell’OLP in Libano ed una riconfigurazione drastica della politica libanese, sia riducendo il più possibile l’influenza della Siria sia favorendo la costituzione di un governo a guida cristiana gradito agli israeliani.

In questo articolo ripercorriamo i passaggi più importanti della vicenda che ha diversi risvolti di confronto con la situazione odierna della guerra di Israele contro Hamas e la Jihad Islamica, soprattutto se si ipotizza una futura estromissione negoziata delle milizie jihadiste palestinesi dalla Striscia di Gaza. Opzione che proprio tracciando un parallelo con quanto accaduto in Libano nel 1982 è stata da tempo evidenziata da Analisi Difesa.

 

Le premesse dell’Operazione Pace in Galilea

Tra il 1949 e il 1950 oltre 100mila palestinesi si erano rifugiati in Libano. In Giordania vi era un’altra grande presenza di palestinesi. A Gaza nel 1948 era stata formata l’Assemblea Nazionale della Palestina e via via si formarono diversi gruppi e fazioni. Nell’ottobre del 1954 Yasser Arafat organizzò “al-Fatah” (l’Apertura) un gruppo segreto per condurre raid in Israele. Le strutture di al-Fatah nel 1960 furono trasferite a Beirut, poi successivamente avendo ottenuto l’appoggio della Siria di Hafez Assad, il quartier generale traslocò a Damasco; i raid crebbero in numero, utilizzando i numerosi ‘santuari’ dislocati in Libano, Siria e nella West Bank giordana.

Nel 1964, per iniziativa della Lega Araba, come espressione politico-militare della resistenza palestinese nasce l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), presieduta fino al 1967 da A. Shuqairi, quindi da Y. Ḥammuda. Nel 1969 la sua direzione viene assunta da al-Fatah, il cui leader Yasser Arafat ne diverrà il presidente fino alla sua scomparsa nel 2004. Nel settembre 1970 il Libano assiste ad un nuovo forte afflusso di palestinesi, il cui numero salì a oltre 300mila. Lo spostamento in terra libanese era accaduto a seguito dei durissimi scontri armati tra l’esercito giordano e i guerriglieri palestinesi.

L’espulsione dell’OLP dalla Giordania comportò l’arrivo non solo dei civili palestinesi ma anche dei guerriglieri, i feddayn, che presero presto a riordinare le fila. Il puzzle etnico-religioso del Libano, un paese percorso da faglie tra loro confliggenti, si andò ancora più complicando, essendo un paese che subiva anche la ‘tradizionale’ influenza del vicino siriano, uno dei nemici di Israele.

In Libano, uno stato con istituzioni deboli fortemente diviso tra le varie etnie e diverse confessioni religiose, l’OLP trovò spazio e tempo per riorganizzarsi: agì come uno stato nello stato, allestendo strutture civili, di welfare, costruendo scuole e contribuendo all’economia libanese ma nel contempo proseguirono ad utilizzare il Libano come una grande base logistico-militare per attaccare con incursioni e salve di lanciarazzi la Galilea, il nord di Israele. Il grosso delle forze era costituito da membri di al-Fatah, il resto dai componenti delle tante fazioni minori della galassia armata palestinese.

Nel caos della guerra civile scoppiata in Libano (1975-1990), il presidente siriano Assad vide l’opportunità, nel maggio 1976, di inviare truppe e tanks nella Valle della Bekaa e presso Beirut stessa con il pretesto di aiutare la fazione cristiana ed in seguito supportando l’OLP. Un accordo informale con Israele consentì questo ingresso sulla base di due condizioni:

1) nessuna batteria di missili superficie-aria (SAM) sarebbe stata piazzata nella Valle della Bekaa,

2) le forze siriane si sarebbero schierate molto distanti dai confini israeliani.

La coesistenza in Libano di queste rispettive influenze tra Tel-Aviv e Damasco, con delle “linee rosse” grosso modo delineate, avrebbe fornito ulteriore spazio di manovra per la OLP fino al 1982.

Le premesse dell’Operazione Pace in Galilea sono da ricercarsi nello scoppio della guerra civile libanese, nella massiccia presenza dei membri dei gruppi armati al-Fatah, della FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) e delle altre formazioni minori, dislocate nella parte centro-meridionale del Libano e nelle grandi città costiere di Tiro e Sidone, nella continua escalation degli scontri con i feddayn, nel loro costante rafforzamento con lanciarazzi, obici, tanks, armi anti-carro ed armi leggere.

L’attentato a Pierre Gemayel, il primo ministro cristiano-maronita, nell’aprile del 1975 era stata alla base dello scoppio della guerra civile libanese. L’attentato innescò l’escalation degli scontri tra palestinesi e milizie falangiste nel quartiere della capitale, a Ein al-Rumani e da quel giorno prese il via la feroce e lunga guerra civile che travolgerà la “ex-Svizzera del Medio Oriente” fino al 13 ottobre del 1990.

Il governo israeliano, che dal 1977 vedeva Menachem Begin come primo ministro del partito del Likud, iniziò a studiare le chances di una operazione militare su vasta scala, oggetto di un lungo dibattito a Tel Aviv, al fine di progettare un’operazione più vasta rispetto alla breve azione militare condotta dal 14 al 21 marzo 1978 che ebbe l’obiettivo di spostare di almeno 20 chilometri i centri di fuoco palestinesi fino al fiume Litani. Gli eventi presero un altro corso, l’IDF (Israel Defence Forces), si dovette ritirare, cedendo il controllo della ‘linea del Litani’ alla forza di caschi blu dell’ONU (UNIFIL), ad esclusione della città di Tiro sulla costa, che con Sidone, Damour e Beirut Ovest formavano le basi più importanti per i miliziani palestinesi.

Rimaneva solo una stretta striscia di territorio tra il sud del Libano e Israele, controllata dalle milizie cristiane del maggiore Haddad. Di conseguenza ad iniziare da Ariel Sharon, allora ministro della difesa, si chiese un’operazione militare molto più pesante contro l’OLP, per: “spazzarla via dal Libano in modo definitivo”, si disse.

Nel pieno della guerra civile, nel 1980 le nuove zone di influenza e occupazione vedevano il Libano così spartito: i siriani fortemente presenti nella Valle della Bekaa ed a Beirut, i Drusi nelle montagne dello Chouf, i cristiani nella situazione più critica avendo perso molte posizioni e città importanti, mantenevano solo una certa presa sul governo nazionale. L’OLP era in piena espansione e rafforzamento. Gli sciiti impegnati ad allestire una loro milizia si scontrarono alcune volte con i feddayn nel sud del paese e pur avendo il consenso della maggioranza della popolazione in quella parte del Libano ebbero solo un ruolo minore in quegli anni della guerra civile e nel corso dell’intervento israeliano.

Il ruolo e il peso degli sciiti prenderà un diverso percorso dal 1984 in poi quando si formerà Ḥezbollah (Ḥizb Allah), il Movimento e partito islamico sciita (“Partito di Dio”). Grosso modo in termini percentuali il Libano era così suddiviso: il 45% sotto controllo della Siria, un 20% controllato dall’ OLP, un 25% controllato dai Libanesi Cristiani e il restante vedeva la presenza nel sud del paese delle milizie, sempre cristiane, legate agli israeliani e guidate del maggiore Saad Haddad.

 

Avvio dell’Operazione Pace in Galilea

Il piano di azione militare fu approvato dal gabinetto israeliano e gli obiettivi perseguiti dall’Operazione Pace in Galilea, come fu denominata, erano i seguenti:

  • Eliminare la minaccia dei guerriglieri OLP dal confine nord di Israele;
  • Distruggere le infrastrutture militari e logistiche OLP;
  • Ottenere il ritiro dell’esercito siriano dalla Valle della Bekaa e la riduzione dell’influenza della Siria sul Libano;
  • Appoggiare e agevolare la costituzione di un governo libanese stabile e amico di Israele;
  • Rafforzare la posizione di Israele anche nella Cisgiordania, nella West Bank.

Prese avvio così una campagna militare percepita con obiettivi e durata limitati, che invece sarebbe diventata la più lunga e controversa delle operazioni militari della storia delle forze armate israeliane (Tsahal).  Per l’attuazione di Pace in Galilea si redassero tre possibili piani di intervento della IDF con obiettivi sempre più ambiziosi.

Il primo piano puntava a proseguire l’operazione del 1978, con avanzata fino a Sidone, avente lo scopo di eliminare solamente l’arsenale di lanciarazzi e pezzi di artiglieria delle forze dell’OLP. Il secondo piano, più ambizioso, prevedeva di avanzare fino ai sobborghi di Beirut ma senza entrarvi, evitando la guerra urbana lasciandone il compito alle milizie cristiane; piano il cui scopo era quindi colpire più a fondo la OLP, le sue basi e le sue le sue milizie ed espellerli dal Libano.

Il terzo piano, estremamente ambizioso, avrebbe puntato a colpire sia OLP sia la Siria: assumere il controllo di Beirut assieme alle milizie cristiane falangiste, cacciare l’OLP dal Libano e assumere il controllo della strategica autostrada Beirut-Damasco, tagliando fuori le truppe siriane da Beirut ed espellendole dalla Valle della Bekaa. Questo ambizioso piano avrebbe quindi colpito entrambi gli avversari di Israele, insediato un governo amico in Libano e migliorato nettamente la sicurezza complessiva dello Stato Ebraico rafforzandone il peso regionale.

E’ interessante ricordare che nei primi anni ’50 la questione Libano fu oggetto di discussioni, tanto che venne ventilata l’occupazione della parte meridionale, così da avere una grande fascia di sicurezza, una zona cuscinetto a protezione della Galilea, grosso modo fino al fiume Litani. Fu il primo ministro di allora, Ben Gurion a respingere tutte queste ipotesi di espansione geografico-politica.

Il casus belli per l’operazione Pace Galilea venne fornito il 3 giugno dal tentato omicidio dell’ambasciatore di Israele nel Regno Unito, Shlomo Argov, attentato condotto dagli uomini del gruppo ‘scissionista’ palestinese di Abu Nidal.

Le rispettive forze in campo vedevano da un lato circa 78mila soldati israeliani, ripartiti in sette divisioni e due brigate autonome e dall’altro 15mila feddayn mentre i siriani schieravano 22mila uomini, 350 carri armati e 300 trasporti truppe protetti (APC) inquadrati in una divisione corazzata e una brigata.

All’epoca le forze armate di Israele impiegarono i seguenti mezzi, navi e velivoli: 800 tanks: Merkava, M60 Magach, e Centurion SHO’T; 1500 APC, gli M113 A2 Zelda migliorati nelle protezioni anti-carro, come artiglieria semovente vi erano gli M-109 e i AH-1 Cobra come elicotteri d’attacco. La Marina israeliana offrì pieno supporto sia agli sbarchi condotti lungo la costa libanese presso a Sidone e Damour. L’Aeronautica intervenne per tutta l’operazione con i suoi velivoli, oltre 600, avendo a disposizione soprattutto F4-E Phantom, Mirage III, A-4, F-15, F-16, Kfir.

I gruppi di guerriglieri palestinesi, organizzati su tre brigate, presentavano uno schieramento piuttosto sparpagliato con unità molto distanti tra loro, senza un vero coordinamento, in netta difficoltà nel caso fosse stato necessario darsi reciproco sostegno: uno schieramento prettamente a caposaldi (grandi e piccoli) in cui ogni reparto avrebbe difeso la zona di propria competenza.

Inoltre un grosso nucleo di feddayn (6mila) era schierato con i siriani nella Valle della Bekaa, zona che era collegata alla capitale e al resto del paese da una sola valida strada, l’autostrada Beirut Damasco che correva da est a ovest. Come armamenti possedevano circa 80 tanks (di cui però 60 erano T-34 della seconda guerra mondiale), oltre 300 pezzi di artiglieria di vari calibri e lanciarazzi, 250 cannoni anti-aerei e ampie scorte di munizioni.

L’attacco prese il via il 6 giugno e portò a raggiungere rapidamente i sobborghi della capitale libanese. La prima fase fu quindi una classica operazione rapida e di successo. La seconda fase riguardò le azioni contro le forze siriane, in particolare l’Aeronautica israeliana mise fuori uso tutte le batterie SAM nella Bekaa ottenendo preso la superiorità aerea e potendo così colpire sia le postazioni siro-palestinesi sia le colonne logistiche. La terza fase fu quella che presentava due scelte cruciali ai decisori: attendere la resa dei guerriglieri o avviare l’assedio di Beirut Ovest?

Una serie di valutazioni sconsigliavano di procedere ad un assedio alla zona occidentale di Beirut, dove erano asserragliati i feddayn. Nel frattempo dalla Casa Bianca giungevano pressioni continue sia per tentare di organizzare il ritiro dell’OLPdal Libano sia per convincere Tel Aviv a non entrare a Beirut.

Nelle ultime due settimane di giugno il pericolo di un contrattacco siriano si era allontanato, e la presenza siro-palestinese nell’autostrada Beirut-Damasco non incuteva timori: l’OLP mostrava forti segnali di panico e quindi era molto probabile un abbandono frettoloso di Beirut Ovest e Israele contava che sarebbero stati i reparti falangisti di Bashir Gemayel ad entrare in città, sia per ridurre le perdite sia perché le IDF non avevano esperienza di guerra in ambiente urbano. Le milizie di Gemayel si rifiutarono però di attaccare i palestinesi in una battaglia casa per casa lasciando l’operazione tutta nelle mani israeliane.

 

L’assedio di Beirut Ovest

I pianificatori militari suddivisero l’operazione in varie fasi temporali: una fase per convincere l’OLP e la popolazione a lasciare quella zona di Beirut e una seconda per indurre i civili a utilizzare due vie di fuga lasciate aperte lasciare la città. Le IDF decisero di usare tutta la potenza di fuoco disponibile via terra, aria e mare, concentrando gli sforzi solo su alcuni strong-point ed evitando i combattimenti strada per strada. Venne allestito un plastico con gli edifici di Beirut Ovest, numerati uno per uno per pianificare i bersagli da colpire.

A fine giugno vi fu uno stop ai combattimenti per una settimana. Il 1° luglio gli israeliani effettuarono lanci di volantini e annunci radio e con altoparlanti per avvertire i civili dell’imminenza dell’avvio delle operazioni e spingere alla resa i guerriglieri. Il 3 luglio prese il via l’assedio di Beirut Ovest.

I bombardamenti degli aerei e dell’artiglieria israeliana suscitarono nelle settimane seguenti dure proteste in tutto il mondo, anche da parte dell’Amministrazione americana, il cui presidente Ronald Reagan e il suo inviato Habib furono attivissimi per arrivare a far cessare i combattimenti. Il 12 agosto si ebbe un nuovo bombardamento, durato oltre 10 ore, teso forse a favorire le trattative in atto. Il premier israeliano avocò a sé tutte le decisioni di tipo militare, sottraendole ad Ariel Sharon e il 21 agosto il primo ministro israeliano Menachem Begin ordinò il cessate-il-fuoco su pressioni di Washington.

Quello stesso giorno sbarcarono a Beirut i paracadutisti francesi come avanguardia della Forza Multinazionale di Pace, composta anche da militari e statunitensi e italiani, questi ultima alla prima missione di questa caratura dalla fine della Seconda guerra mondiale.

 

L’espulsione dell’OLP

Dal giorno seguente prese il via l’espulsione dell’OLP dal Libano e i guerriglieri delle varie formazioni combattenti lasciarono la capitale libanese per trasferirsi in vari paesi arabi.

L’uscita della OLP da Beirut Ovest si concluse il 1° settembre quando gli ultimi gruppi di miliziani furono espulsi dalla capitale, disperdendosi, come gli altri avevano già fatto, dall’Algeria allo Yemen: 400 palestinesi vennero imbarcati su una nave diretta a Larnaca (Cipro) alcuni voli allestiti da iracheni e giordani si fecero carico di altri gruppi di feddayn mentre oltre un migliaio vennero trasferiti via mare in Tunisia, paese in cui nel giro di breve tempo Yasser Arafat installò il suo nuovo quartier generale.

Nel complesso circa 7.100 guerriglieri lasciarono il Libano, a cui andavano aggiunti oltre 5mila uomini facenti parte delle forze siriane e alcune migliaia di guerriglieri strettamente controllati dai siriani.

L’assedio era costato la vita a 6/8 mila civili, a un migliaio di feddayn mentre le IDF registrarono 88 morti e 750 feriti nell’Operazione Pace in Galilea. Gli equipaggiamenti abbandonati dell’OLP ammontarono a 960 tonnellate di munizioni, 243 mezzi ruotati e cingolati, 159 armi anti-carro, 13 mortai pesanti, 12 obici campali, 38 pezzi anti-aerei e 108 apparati radio.

I combattimenti in Libano non cessarono con l’espulsione degli ultimi miliziani palestinesi. Un nuovo micidiale attentato, attribuito a siriani e palestinesi, riaccese gli scontri il 14 settembre con l’uccisione del neo-eletto presidente Bashir Gemayel assieme a 25 capi falangisti. L’uccisione fu seguita dai massacri, condotti dai falangisti, nei campi palestinesi di Sabra e Chatila, eventi che scossero moltissimo la comunità internazionale e portarono di nuovo allo schieramento della Forza Multinazionale italo-franco-statunitense che subì tra il finire del 1982 e il 1983 gli attentasti con camion-bomba di Hezbollah che colpiranno prima gli israeliani a Tiro (28 militari morti) e poi le basi delle forze americane (241 morti) e francesi (56 caduti) a Beirut.

 

Il bilancio di Pace in Galilea

Nel 1985 si concluse la ‘campagna’ libanese: le forze israeliane completarono il ritiro a sud del fiume Litani, già avviato a scaglioni con un bilancio complessivo di 654 caduti e 4mila feriti. Le forze israeliane si trovarono ad affrontare un tipo di guerra totalmente differente da quella del 1967 e del 1973, in particolare con quattro elementi totalmente nuovi:

1) l’operazione si svolse su un terreno non certo agevole per i tanks come quello desertico

2) comportò la necessità di affrontare combattimenti ambiente urbano

3) fu un confronto asimmetrico contro una milizia armato, non contro un esercito regolare (a parte gli scontri con le truppe siriane) come era avvenuto nelle guerre arabo-israeliane precedenti.

4) a livello strategico l’operazione non aveva lo scopo di proteggere o ampliare i confini di Israele come avvenuto in precedenza, ma l’ambizione di ottenere una serie di obiettivi politico-militari, tra cui la ricerca di confini pienamente sicuri e difendibili nel nord di Israele e smantellare la forza militare dell’OLP.

Circa quest’ultimo punto gli obiettivi si rivelarono alla prova dei fatti troppo ambiziosi: il Libano non fu stabilizzato come volevano Begin e Sharon (nella foto sopra) poiché la soluzione dei problemi sul tavolo non poteva risiedere solo nell’impiego della forza. E’ da sottolinearsi che la guerriglia palestinese mantenne forze combattenti in Libano dove circa 6mila feddayn rimasero nel nord della Bekaa protetti/controllati dai siriani, numero che crebbe a 8500 nel 1985 a cui vanno sommati altri due nuclei robusti (4500 uomini) che non erano stati interessati dall’espulsione perché rimasti nelle zone lontane dalla capitale e non coinvolti dal ritiro forzato.

L’annuncio fatto nel corso del fatidico 1982 di “voler eliminare l’OLP” sembra ricorrere in queste settimane con la medesima dichiarazione di “voler eliminare Hamas”. Il successo tattico dell’espulsione dell’OLP venne cancellato dalla nascita del movimento sciita Hezbollah, che si è rivelato una presenza decisiva nella vita politica del Libano ed un avversario temibile per Israele: il deus-ex-machina della politica libanese e il proxy-warrior dall’Iran degli ayatollah.

Resta però di grande attualità oggi esaminare il contesto che portò a espellere i combattenti dell’OLP da Beirut alla luce di quanto avviene nella Striscia di Gaza e della necessità di risolvere il conflitto riducendo per quanto possibile le vittime civili.

Foto: IDF. Governo Israeliano e AP

 

 

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Marco LeofrigioVedi tutti gli articoli

Nato a Roma nel 1963, laurea in Scienze Politiche, si occupa da oltre dieci anni di geopolitica, strategia, guerre e conflitti, forze armate straniere, storia navale, storia contemporanea, criminalità organizzata, geo-economia. Ha scritto decine di articoli, analisi e saggi su questi argomenti. E' membro attivo della Società Italiana di Storia Militare. Dal 2011 è co-autore, con Lorenzo Striuli, di diversi articoli di storia navale sulla Rivista Marittima della Marina Militare. Collabora fin dal 2003 con Analisi Difesa.

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