Riparte la centralizzazione del capitale nel settore energetico statunitense

 

Tra la seconda metà del 2020 e il 2021, nel settore dell’energia degli Stati Uniti d’America, si verificò un’ondata di fallimenti, liquidazioni, fusioni, acquisizioni dei capitali nazionali ad opera di altri capitali nazionali, ma non stranieri, a causa della crisi pandemica che determinò una forte contrazione della domanda mondiale di petrolio (-11% circa dei consumi globali, pari a quasi 9.000.000 b/g) con conseguente crollo del prezzo del barile.

Capitali di piccole e medie dimensioni, come le società Noble Energy, Parsley Energy, OneStim, Wpx Energy, Concho Resources, Noble Midstream Partners, nonostante l’intervento in loro soccorso di una parte del potere politico statunitense (precisamente, l’allora commissario alle Ferrovie texane, Ryan Sitton)[1] finirono in gran parte sotto il controllo di ExxonMobil, ConocoPhillips e Chevron, espressione dell’American Petroleum Institute (grande capitale Usa), o di major di medie dimensioni, ma più strutturate.

Nello specifico, secondo il Rapporto Finale dello studio legale Haynes and Boone, pubblicato il 31 gennaio 2022, dall’inizio del 2015, cioè a partire dalla precedente ondata di fallimenti e acquisizioni nel settore del fracking Nord-americano, al 2021 compreso, un totale di 274 produttori di petrolio e gas naturale e 330 società di servizi petroliferi e midstream avevano presentato istanza di fallimento (Chapter 11) per oltre 321 miliardi di dollari di debiti garantiti e non garantiti.

Dall’inizio del 2022 al I trimestre 2023, il consolidamento determinatosi in seguito alle due ondate di ristrutturazioni e gli alti prezzi del barile, per lunghi tratti nuovamente sopra i 100 $/b, hanno favorito la fuoriuscita dalla procedura fallimentare per decine di società del settore – tra le più importanti, Weatherford International, Civitas Resources, Gulfport Energy Corp, Chesapeake Energy – rallentando nel contempo in maniera significativa le operazioni di merger & acquisition (fusione e acquisizione).

Nel merito, in base ai dati pubblicati dalla società di analisi energetica Enverus il 29 luglio 2022, nel II trimestre 2022, le ristrutturazioni subirono una contrazione del 65% (anno su anno) negli Stati Uniti d’America, scendendo a 12 miliardi di dollari, ben lontano dai 34,8 miliardi di dollari registrati nel corrispondente trimestre 2021[2].

“L’impennata dei prezzi delle materie prime seguita all’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa ha temporaneamente bloccato le fusioni e acquisizioni, poiché acquirenti e venditori non erano d’accordo sul valore degli asset”, dichiarò al tempo Andrew Dittmar, direttore di Enverus Intelligence Researc. Le imprese quindi preferivano utilizzare la liquidità generata dai prezzi elevati delle materie prime al fine di ridurre il debito e ricompensare gli azionisti, piuttosto che cercare nuove acquisizioni.

A partire dal II trimestre 2023, la situazione è nuovamente cambiata e le operazioni di fusione e acquisizione sono ripartite “perché si ritiene che l’economia globale potrebbe peggiorare nel corso del prossimo anno e probabilmente è un buon momento per mettere in vendita le aziende”, ha dichiarato Leo Mariani, analista di Roth MKM, alla CNBC, lo scorso 6 ottobre.

In particolare, l’11 ottobre, ExxonMobil ha acquisito Pioneer Natural Resources per un valore di 59,5 miliardi di dollari (64,5 miliardi di dollari, includendo il relativo debito), mentre il 20 ottobre, Chevron ha perfezionato l’acquisto di Hess per 53 miliardi di dollari (60 miliardi di dollari, includendo il relativo debito, rafforzando gli investimenti nell’upstream di casa propria, dopo avere ceduto negli anni passati attività in Europa occidentale, Africa occidentale e Federazione Russa a causa delle crescenti incertezze geo-politiche.

L’11 ottobre 2023, il Wall Street Journal ha definito tali accordi come “l’era delle megafusioni”, che rimodellando il settore, vedrà pochi grandi operatori e alcuni medi al comando al posto delle centinaia di piccoli indipendenti che pompavano a volontà all’apice della rivoluzione dello scisto, dando vita ad un’industria matura il cui obiettivo primario non sarà la crescita della produzione come avvenuto in passato, bensì la redditività degli azionisti.

“Con una maggiore fiducia nella generazione di cassa prevista a lungo termine, Chevron intende restituire più liquidità agli azionisti con una crescita dei dividendi per azione e un aumento dei riacquisti di azioni”, ha infatti affermato Pierre Breber, direttore finanziario di Chevron, il 16 ottobre.

Il 4 maggio 2020, Ryan Sitton dichiarò a Bloomberg che “quando la domanda tornerà a 90-95 milioni di barili al giorno (b/g), il paese con la maggior perdita di produzione di petrolio saranno assolutamente gli Stati Uniti, saremo stati i grandi perdenti nel settore petrolifero globale”.

Secondo l’International Energy Agency, nel 2023, la domanda globale di “oro nero” si stima che toccherà i 101.900.000 b/g, mentre la U.S. Energy Information Administration prevede che l’output Usa supererà nel contempo il precedente primato annuale di 12.300.000 b/g registrato nel 2019 (12.800.000 b/g l’output nei primi 9 mesi dell’anno in corso), grazie all’innovazione tecnologica (l’aumento temporaneo del 5% della lunghezza media dei pozzi laterali ha permesso di oltrepassare di 100.000 b/g il massimo storico di 13.100.000 b/g, risalente al 13 marzo 2020)[3] e agli alti prezzi del barile.

Le previsioni di Sitton erano quindi errate?

Premesso che molto difficilmente verrà meno il limite principale del fracking (tight oil e shale gas) che risiede nella produzione e cioè, l’alta velocità di esaurimento dei pozzi, tra il 50% e l’85% nel corso dei primi due anni, che a sua volta implica continue trivellazioni, da un punto di vista politico, l’impressione è che i timori di Sitton non erano affatto infondati se si pensa che frattanto l’asse russo-saudita in seno all’OPEC plus – al quale l’ex Commissario voleva unire in maniera legalmente vincolante i tagli produttivi del proprio paese nell’aprile 2020 – è diventato il perno attorno al quale muove l’intero mercato petrolifero globale.

Oltre a porre una serie di dubbi in merito alle stime relative al picco della domanda petrolifera globale (entro il 2030 secondo l’IEA, dopo il 2045 per l’OPEC, è necessario evidenziare che l’esito politico dello scontro tutt’ora in atto nel mercato energetico statunitense tra capitali nazionali Usa di piccole-medie dimensioni e capitali transnazionali Usa di grandi dimensioni avrà conseguenze di primaria importanza anche per quanto attiene la sicurezza energetica presente e futura dell’Unione europea e dell’Italia.

Nello specifico, secondo i dati dell’Energy Institute Statistical Review of World Energy 2023, le importazioni UE di gas naturale russo via tubo sono state parzialmente sostituite dalle importazioni di Gas Naturale Liquefatto Usa (GNL), in aumento da 22,3 Gm3 nel 2021 a 54,3 Gm3 nel 2022, (+143,5%), mentre le importazioni (dirette) UE (allargata)[4] di greggio russo sono state in parte sostituite dalle importazioni di greggio Usa, cresciute da 26,4 Mt nel 2021 a 32,3 Mt nel 2022 (+22%).

Per quanto attiene l’Italia, le importazioni di gas naturale russo via tubo sono state parzialmente sostituite dalle importazioni di Gas Naturale Liquefatto Usa (GNL), aumentate da 9,9 Gm3 nel 2021 a 14,4 Gm3 nel 2022, (+45,5%), mentre le importazioni (dirette) di greggio russo sono state in parte sostituite dalle importazioni di greggio Usa, cresciute da 1,9 Mt nel 2021 a 4,4 nel 2022 (+132%).

Un aspetto su cui riflettere, a maggior ragione se si pensa che le dipendenze energetiche dall’estero di UE e Italia hanno rispettivamente toccato il 61 e 79% dei consumi totali nel 2022, in lieve aumento rispetto all’anno precedente.

 

Focus Usa

In conformità con le cifre dell’Oil Market Report, pubblicato dall’International Energy Agency il 10 ottobre 2023, la domanda globale di petrolio è stimata in aumento di 2.300.000 b/g, per complessivi 101.900.000 b/g, nel 2023 (+100.000 b/g rispetto al mese precedente). La Cina rappresenterà il 77% di tale incremento.

A settembre, la produzione globale è cresciuta di 270.000 b/g, per complessivi 101.600.000 b/g. Ad agosto, le scorte industriali dell’OCSE sono diminuite di 6.500.000 barili su base mensile, per complessivi 2.816.000.000 barili, ovvero 105.300.000 barili al di sotto della media degli ultimi 5 anni.

L’output di greggio statunitense (convenzionale e non), dopo il precedente picco di 9.627.000 b/g raggiunto ad aprile 2015, è decresciuto fino al minimo di 8.428.000 b/g toccato il 1° luglio 2016[5]. Dopodiché, esso ha ripreso ad aumentare fino al record di 13.100.000 b/g toccato il 13 marzo 2020, a sua volta superato di 100.000 b/g dal 13 ottobre 2023 (stime settimanali).

In base alle statistiche stilate dal Drilling Productivity Report, divulgato dall’Energy Information Administratin il 16 ottobre 2023, la produzione di greggio non convenzionale Usa è prevista calare di 50.000 b/g, per complessivi 9.553.000 b/g, a novembre 2023. Trattasi del quarto mese di cali consecutivi, dopo il record estrattivo raggiunto a luglio (9.476.000 b/g).

In base alle proiezioni divulgate da Baker Hughes il 27 ottobre 2023, le 625 trivelle attualmente attive negli Stati Uniti, di cui 504 (80,6%) sono petrolifere, 117 gasiere (18,7%), più 4 miste (0,7%), risultano essere 5 in meno rispetto a quelle rilevate il 22 settembre 2023, oltre ad essere in calo di 143 unità rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente.

A luglio 2023, le importazioni di greggio degli Stati Uniti d’America sono state 6.287.000 b/g, in calo di 207.000 b/g rispetto a giugno. Nei primi sette mesi del 2023, la media delle importazioni statunitensi è stata di circa 6.373.000 b/g, in crescita rispetto ai 6.114.000 b/g nel 2022, ai 6.101.000 b/g nel 2021 e ai 5.878.000 b/g nel 2020.

Foto: ExxonMobil e Chevron

 

Note

[1] In merito agli accordi di aprile 2020, il commissario alle Ferrovie texane, Ryan Sitton, fu politicamente sconfitto nel suo intento di ridurre intenzionalmente la produzione petrolifera statunitense (in primis, quella texana), unendosi in maniera legalmente vincolante all’OPEC plus. La proposta fu avanzata da Sitton, nonostante le leggi antitrust Usa proibissero alle società di qualsiasi settore di agire in accordo onde influenzare i prezzi. Mentre l’accordo OPEC plus era vincolante (tagli per 9.700.000 b/g a partire dal 1° maggio 2020), altri grandi produttori come gli Stati Uniti d’America, la Norvegia, il Canada, il Brasile e il Messico avrebbero ridotto i rispettivi output su base volontaria (tagli per 5.000.000 b/g sempre a partire dal 1° maggio 2020). Il 12 aprile 2020, definimmo OPEC plus plus la stipula raggiunta tra OPEC plus e i grandi produttori petroliferi sopracitati. All’accordo si aggiunsero anche altri produttori, ma di dimensioni minori. Fantacone S., Floros D. 2020, Geopolitica dell’Energia, https://www.centroeuroparicerche.it/rapporti/n-2-maggio-2020/, 16 maggio 2020.

[2] Exarheas A. 2022, “Q2 Challenging for USA Upstream Merger Activity”, https://www.rigzone.com/news/q2_challenging_for_usa_upstream_merger_activity-29-jul-2022-169804-article/, 29 July 2022.

[3] Fantacone S., Floros D. e Parco M. 2023, “L’evoluzione dei panieri energetici di UE e Italia a un anno di distanza dal lancio del REPower EU”, La Geopolitica dell’Energia, https://www.centroeuroparicerche.it/geopolitica-dellenergia-40/, 5 October 2023.

[4] Per UE allargata, EI intende: membri europei nell’OCSE, Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Cipro, Georgia, Gibilterra, Lettonia, Malta, Montenegro, Nord Macedonia, Romania, Serbia e Ucraina.

[5] U.S. Energy Information Administration: http://www.eia.gov/dnav/pet/pet_sum_sndw_dcus_nus_w.htm

 

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Nato nel 1976 a Medicina (BO), è analista geopolitico ed economico, docente a contratto presso il Master in Relazioni Internazionali d'Impresa Italia-Russia, dell'Università di Bologna. E' stato responsabile di NE-Nomisma Energia e ha collaborato con Abo e la rivista WE-World Energy editi da ENI e con Limes, Energy International Risk Assessment EIRA, Blue Fuel e Oil Price. Dal 2019 è Senior Energy Economist presso il CER-Centro Europa Ricerche. Nel febbraio 2020 ha pubblicato "Guerra e Pace dell'Energia. La strategia per il gas naturale dell'Italia tra Federazione russa e Nato" e nell'agosto 2022 "Crisi o Transizione Energetica?". Nel 2016-17 è stato Consigliere Economico del Consolato Onorario della Federazione Russa in Bologna.

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