Verso la “battaglia degli ospedali” a Gaza City

 

(Aggiornato alle ore 23,50)

In un’intervista a Fox News, la sera del 9 novembre, il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha fermamente respinto la possibilità di un cessate il fuoco con Hamas, riaffermando che qualsiasi stop all’operazione di terra, se pur temporaneo, sarebbe comunque subordinato al rilascio degli ostaggi israeliani.

Rispondendo alle preoccupazioni della comunità internazionale circa le intensioni post-belliche di Israele nella Striscia di Gaza, Netanyahu ha chiarito che lo Stato ebraico non intende occupare l’enclave, ma cerca una soluzione duratura capace di dare ai palestinesi, agli israeliani e a tutto il Medio Oriente un futuro migliore. Pur non fissando un calendario specifico, Netanyahu ha affermato che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) stanno facendo di tutto per ridurre le vittime civili, sottolineando gli sforzi portati avanti per creare zone e corridoi sicuri per l’evacuazione dei civili, questo nonostante Hamas tenti di tutto per tenerli in una condizione di pericolo.

Il giorno successivo il premier ha però affermato che dopo l’eliminazione del movimento islamista palestinese Hamas, Israele eserciterà un controllo totale sulla Striscia di Gaza. Incontrando i sindaci delle comunità’ di confine con la Striscia colpite dall’attacco dello scorso 7 ottobre Netanyahu premier ha precisato che il controllo dell’enclave comprenderà la completa smilitarizzazione per garantire che non ci siano più minacce alla sicurezza di Israele.

Nella serata dell’11 novembre Netanyahu è tornato sul tema del futuro della Striscia di Gaza affermando che  Israele si opporrà al ritorno dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) a Gaza dopo la guerra contro Hamas.

“Non ci sarà un’autorità civile che educhi i propri figli a odiare Israele, a uccidere gli israeliani, a eliminare lo Stato di Israele. Non potrà esserci un’autorità che paga le famiglie degli assassini in base al numero di quanti (israeliani, ndr) hanno ucciso. Non può esistere un’autorità il cui leader 30 giorni dopo non abbia ancora condannato il terribile massacro (del 7 ottobre, ndr)”, ha affermato il premier, riferendosi al presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas.

L’11 novembre una fonte militare ha detto ad Haaretz che le IDF hanno contattato nei giorni scorsi il direttore del complesso ospedaliero al Shifa, Muhammad Abu Salmiya, avvertendolo che la struttura viene considerata come situata in una zona di combattimento, invitandolo quindi ad evacuare tutti i pazienti. Oggi il direttore ha detto che la struttura “è circondata, gli edifici dell’ospedale presi di mira, le forze di occupazione israeliane sono fuori e impediscono a chiunque di muoversi”.

Nelle ultime 24 ore le forze israeliane (IDF) sono entrate nel centro di Gaza City, hanno raggiunto l’ospedale di Shifa e quello Indonesiano, sedi, secondo l’intelligence, dei comandi operativi di Hamas e nascondiglio di gran parte dei vertici militari del gruppo, incluso Yahya Sinwar, capo del Movimento di resistenza palestinese nella Striscia di Gaza.

Il portavoce militare israeliano Richard Hecht ha detto il 10 novembre che le IDF elimineranno i militanti di Hamas presenti negli ospedali della Striscia di Gaza. Poco prima, la Mezzaluna Rossa aveva accusato i cecchini israeliani di sparare sugli ospedali. “Se scorgiamo terroristi di Hamas fare fuoco dagli ospedali, facciamo quel che bisogna fare. Se vediamo terroristi di Hamas li uccidiamo” ha detto Hecht aggiungendo che “Hamas sta operando dall’interno degli ospedali”.

È continuata la pressione contro le roccaforti nemiche con le forze delle IDF che hanno inflitto gravi danni alle infrastrutture e hanno preso il controllo del quartier generale della sicurezza di Hamas. Inoltre, sono state eseguite operazioni di sgombero a ovest della città di Jabaliya, nella parte nordoccidentale della Striscia e sono stati messi in sicurezza una serie di avamposti, sequestrati lanciarazzi, missili anticarro e missili terra-aria, munizioni e materiale di intelligence e dozzine di mitragliatrici.

Un’unità della 460a Brigata, incaricata di identificare le infrastrutture terroristiche e ripulire l’area, ha trovato rampe di lancio nascoste vicino a una moschea. Inoltre, i soldati hanno rinvenuto più di 50 razzi pronti per essere lanciati verso Israele; il ritrovamento è avvenuto all’interno di una struttura studentesca nel nord di Gaza.

Distrutto uno dei tunnel utilizzati il 7 ottobre da Hamas per l’attacco in territorio israeliano, scoperto vicino a una scuola dai soldati d’élite dell’unità “Yahalom” del Combat Engineering Corps. Colpita la leadership tattica di Hamas, eliminato il capo degli armamenti e dell’industria bellica, Mohsen Abu Zina, principale sviluppatore delle armi a più lungo raggio in mano al movimento palestinese.

Il 9 novembre, secondo fonti delle IDF, dopo uno scontro a fuoco durato dieci ore, i soldati della Brigata Nahal hanno preso il controllo dell’Avamposto 17, a Jabalya. Durante l’operazione sono stati recuperati importanti documenti relativi ai piani operativi di Hamas. Lo stesso giorno un raid aereo ha ucciso Ibrahim Abu-Maghsib, capo dell’unità missilistica anticarro.

Un’unità da combattimento della 7a Brigata corazzata delle IDF ha effettuato un raid contro una postazione militare e un campo di addestramento di Hamas ed ha elimina 30 terroristi. I militari hanno preso il controllo degli edifici e ne hanno confiscato il contenuto: dozzine di armi, missili, UAV, mappe, dispositivi di comunicazione, mortai, droni d’attacco e attrezzature da combattimento. Nell’ambito del raid, i combattenti della 7a Brigata hanno eliminato circa 30 terroristi ed hanno fatto irruzione nell’ufficio di Muhammad Sinwar, fratello del leader di Hamas Yahya Sinwar.

Fino ad ora, le IDF hanno reso noto di aver colpito più di 15.000 obiettivi terroristici, distrutto oltre 100 tunnel e confiscato oltre 4.000 armi, molte delle quali trovate all’interno di moschee, asili, edifici residenziali e altre aree civili sfruttate da Hamas. Il numero dei soldati rimasti uccisi dall’inizio della guerra è salito a 354, di cui 41 morti dall’inizio delle operazioni di terra, la sera del 27 ottobre.

Le perdite in mezzi corazzati sofferti dalle IDF sembrano aver indotto i vertici dell’esercito a rinunciare alla vendita a Marocco e Cipro di un numero rilevante di carri armati Merkava III, che prima della guerra contro Hamas risultavano surplus. Ora questi tank verranno utilizzati per equipaggiare alcuni battaglioni corazzati della Riserva.

 

Gli attacchi contro Israele

Negli ultimi giorni gli attacchi delle milizie palestinesi sferrati contro Israele con l’uso di fuoco indiretto sono però diminuiti sensibilmente. Dall’inizio della guerra sono stati lanciati verso Israele circa 9.500 razzi e decine di droni. Circa il 12% del totale dei lanci è atterrato nella Striscia di Gaza e circa 900 sono stati effettuati da siti civili quali moschee, scuole, ospedali e centri culturali. Oltre 130 ingressi di tunnel sono stati scoperti e distrutti.  Hamas e i combattenti della Jihad Islamica palestinese stanno, intanto, continuando a condurre attacchi contro le truppe dislocate dietro la linea di avanzata israeliana, il che è coerente con la natura delle operazioni di sgombero.

Il 9 novembre la città israeliana di Eilat, sul Mar Rosso, è stata scossa da un altro incidente: un drone si è schiantato vicino alla scuola elementare di Tze’elim, provocando una forte esplosione. In un comunicato, le IDF hanno reso noto che, al momento dell’esplosione, nell’edificio erano presenti 37 studenti della scuola materna e sei studenti di un istituto superiore. Funzionari israeliani affermano che l’attacco UAV su Eilat è stato effettuato dalla Divisione Imam Hossein, la forza d’élite iraniana in Siria.

Il giorno prima, il movimento yemenita Houthi aveva affermato di aver lanciato numerosi missili balistici non specificati contro “siti sensibili” vicino a Eilat, nel sud di Israele. In risposta alla minaccia, intercettata dal sistema Arrow, sono stati colpiti, durante la notte, obiettivi paganti in ​​Siria.  L’incidente ha indotto le IDF ad attivare tutti i sistemi di difesa presenti nella zona di Arava, nel sud di Israele dopo il sesto tentativo di attacco Houthi contro Israele.

Le milizie Houthi devono coprire almeno 1.600 chilometri di distanza per colpire la punta più meridionale di Israele e per farlo dispongono di missili balistici Tifone (gli iraniani Qadr) con un raggio d’azione che secondo l’International Institute for Strategic Studies raggiunge i 1.600-1.900 chilometri, ma hanno già impiegato anche i missili da crociera Quds 2 (che in passato colpirono anche obiettivi in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) e i droni iraniani Samad 3 e Shahed-136 (questi ultimi utilizzati anche dalla Russia che li produce col nome di Geran-2) con un raggio d’azione compreso tra 1.600 e 2.000 chilometri. Tutte armi realizzate nello Yemen con il supporto tecnico e componenti iraniane.

 

Le operazioni in Cisgiordania

Il 10 novembre, le IDF e le forze della polizia di frontiera israeliana hanno condotto un’attività antiterrorismo nel campo di Jenin, in Cisgiordania. Durante l’operazione i militati israeliani hanno avuto uno scontro a fuoco con una cellula di miliziani, più di dieci palestinesi sono stati uccisi e più di 20 arrestati, compresi Nur e Minur Salma, affiliati alla Jihad islamica. Nella West Bank, dall’inizio della guerra, i combattenti della milizia palestinese si sono scontrati con le forze israeliane sei volte. Gli attacchi sono stati rivendicati dalla Fossa dei Leoni (Areen Al-Ousoud), neo-nato gruppo della resistenza palestinese in Cisgiordania che continua a sottolineare il suo allineamento con Hamas.

 

Il fronte libanese

Sul fronte nord gli Hezbollah libanesi e le altre milizie appoggiate dall’Iran hanno condotto tre attacchi transfrontalieri; in risposta alla minaccia e al continuo lancio di missili, le Forze aeree israeliane hanno colpito una serie di obiettivi riconducibili al movimento sciita libanese, tra cui arsenali, lanciarazzi, centri tecnologici e altro ancora. Martedì pomeriggio, la squadra di difesa aerea delle IDF ha intercettato un obiettivo aereo sospetto identificato nella zona di confine con il Libano.

L’11 novembre il primo ministro libanese Najib Mikati ha condannato gli attacchi “contro la sovranità del Libano” da parte di Israele nel sud del Paese. “La nostra scelta in Libano è stata e rimane la pace, e la nostra cultura è una cultura di pace basata sulla verità e sulla giustizia, sul diritto internazionale e sulle risoluzioni internazionali”, ha detto Mikati durante il vertice arabo-islamico a Riadh alla presenza di decine di capi di Stato. Ma, ha avvertito, il popolo del Libano “non ha accettato e non accetterà attacchi alla sua sovranità, alla dignità nazionale e all’integrità territoriale.

Il 10 novembre il quotidiano Haaretz ha riferito che le IDF si stanno preparando per la possibilità che il Paese sia attaccato da altre regioni, Iran o Iraq, qualora i combattimenti nella Striscia vadano avanti. Una fonte militare ha detto che per ora l’esercito si prepara a una guerra regionale totale ma ritiene che se la guerra a Gaza finisse in una o due settimane, l’obiettivo di distruggere Hamas non verrebbe raggiunto.

“La vittoria sta arrivando. Le nostre generazioni future saranno testimoni della liberazione di al-Quds (Gerusalemme, ndr) e pregheranno ad al-Aqsa. Dobbiamo solo essere responsabili per arrivare alla fine del cammino” ha dichiarato oggi il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, in un discorso in tv. “Il nemico è in difficoltà e questo è chiaro.

La mattina Netanyahu dice una cosa, il pomeriggio un’altra”, ha proseguito Nasrallah, che ha parlato dei “fattori” che porteranno alla “sconfitta del nemico”, citando “l’incapacità di sottomettere la popolazione di Gaza, il fallimento in termini di opinione pubblica, il timore di un allargamento dei fronti, la pressione economica diretta e indiretta contro questa entità, gli sfollati (israeliani, ndr) e la pressione delle famiglie degli ostaggi a Gaza”.

Nella serata dell’11 novembre il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha risposto affermando che le provocazioni di Hezbollah al confine settentrionale con il Libano “si sono trasformate in aggressione, Hezbollah sta giocando con il fuoco. I cittadini libanesi dovrebbero sapere che se Nasrallah commette un errore, il destino di Beirut potrebbe essere come quello di Gaza”.

 

Le operazioni americane in Siria e Iraq

Gli Stati Uniti hanno condotto un attacco aereo contro un base militare iraniana in Siria: due aerei da combattimento F-15 hanno sganciato numerose bombe su un deposito di armi vicino a Deir a-Zur, sito noto per essere utilizzato dai pasdaran del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica. Secondo il Pentagono, le forze statunitensi in Iraq e Siria sono state attaccate almeno 38 volte in meno di un mese, sei delle quali negli ultimi due giorni.

La maggior parte degli attacchi, sferrati con droni o razzi da gruppi sostenuti dall’Iran, sono stati sventati o non sono riusciti a raggiungere l’obiettivo e non hanno comunque causato vittime o danni alle infrastrutture; quelli andati a segno negli ultimi giorni, firmati dalla Resistenza Islamica in Iraq, una coalizione di milizie irachene appoggiate dall’Iran, hanno comunque determinato il ferimento di 46 militari statunitensi, più del doppio di quelli registrati precedentemente. Abu Alaa al Walai, segretario generale della milizia irachena Kataib Seyyed ol Shohada sostenuta da Teheran, ha annunciato che il suo gruppo appoggerà qualsiasi azione rivolta contro le forze statunitensi in Iraq.

In risposta, le forze filo-iraniane hanno colpito con missili il campo petrolifero di Al-Omar presidiato da forze curde e statunitensi. “Il Presidente non ha priorità più alta della sicurezza del personale statunitense e ha diretto l’azione di oggi per chiarire che gli Stati Uniti difenderanno se stessi, il proprio personale e i propri interessi”, ha dichiarato il segretario alla Difesa Lloyd Austin in una nota.

L’ultimo attacco americano in Siria è stato progettato per eliminare rifornimenti, armi e munizioni nel tentativo di erodere la capacità dei militanti sostenuti dall’Iran di attaccare gli americani con sede in Iraq e Siria. E riflette la determinazione dell’amministrazione Biden a mantenere un delicato equilibrio. Gli Stati Uniti vogliono colpire il più duramente possibile i gruppi sostenuti dall’Iran sospettati di prendere di mira gli Stati Uniti per scoraggiare future aggressioni, possibilmente alimentate dalla guerra di Israele contro Hamas, lavorando anche per evitare di infiammare ulteriormente la regione e provocare un conflitto più ampio.

Simili attacchi aerei statunitensi il 27 ottobre hanno preso di mira anche strutture in Siria, e i funzionari dell’epoca hanno affermato che i due siti erano affiliati alla Guardia rivoluzionaria iraniana. Alla domanda sul perché siano stati scelti quei luoghi in Siria – dal momento che molti degli attacchi sono avvenuti in Iraq – i funzionari hanno detto che gli Stati Uniti hanno cercato siti di stoccaggio di munizioni che potrebbero essere collegati agli attacchi contro il personale americano.

Come riferisce l’agenzia Associated Press, gli Stati Uniti hanno spesso evitato di bombardare i siti in Iraq per ridurre le possibilità di uccidere iracheni o di irritare il governo iracheno che ha autorizzato con un accordo bilaterale la presenza di truppe statunitensi (e della Coalizione a guida USA) sul suolo iracheno.

Al contrario le basi militari statunitensi in Siria, presidiate da circa un migliaio di uomini, costituiscono una decisa violazione del diritto internazionale e una forza di occupazione poiché né le Nazioni Unite né il governo siriano hanno mai autorizzato tale presenza che peraltro Damasco ha più volte condannato. Secondo il Pentagono, un totale di 45 membri del personale sono rimasti feriti e tutti erano coinvolti negli attacchi del 17 e 18 ottobre.

Di questi, 32 erano nella guarnigione di al-Tanf, nel sud-est della Siria, con un mix di ferite lievi e trauma cranico. feriti e 13 erano nella base aerea di al-Asad nell’Iraq occidentale, con quattro casi di lesioni cerebrali traumatiche e nove di lesioni lievi. Una persona è rimasta ferita nella base aerea di Irbil in Iraq.

Lo US Central Command ha spostato sistemi di difesa aerea e altre forze nella regione per rafforzare la protezione delle basi. Secondo un funzionario statunitense che ha parlato in condizione di anonimato con l’AP, il numero di navi in Medio Oriente è più che raddoppiato, il numero di sistemi missilistici di difesa aerea Patriot è quasi triplicato, sono stati aggiunti alcuni squadroni di aerei da caccia e centinaia di truppe aggiuntive sono state dispiegate nel Medio Oriente. per discutere i numeri delle forze armate non ancora resi pubblici.

L’8 novembre inoltre un UAV MQ-9 Reaper dell’USAF è stato abbattuto nello spazio aereo dello Yemen dalle milizie scite Houthi yemenite dello Yemen. Un alto funzionario americano ha all’AP che è in corso un’inchiesta per stabilire le cause dell’abbattimento e la posizione dell’UAV che secondo il Pentagono sorvolava le acque internazionali quando è stato abbattuto.

Il relitto è caduto in mare. Gli Houthi hanno lanciato almeno quattro serie di droni e missili verso il sud di Israele dal 7 ottobre. Il gruppo controlla la capitale e gran parte dello Yemen settentrionale e occidentale, dove vive la maggior parte della popolazione del paese.

Immagini: IDF, AP, US DoD e WarMapper

 

Eugenio Roscini VitaliVedi tutti gli articoli

Colonnello dell'Aeronautica Militare in congedo, ha conseguito un master di specializzazione in analisi di sistema e procedure all'Istituto Superiore di Telecomunicazioni. In ambito internazionale ha prestato servizio presso il Comando Forze Terrestri Alleate del Sud Europa, la 5^ Forza Aerea Tattica Alleata e il Comando NATO di AFSOUTH. Tra il 1995 e il 2003 ha preso parte alle Operazioni NATO nei Balcani (IFOR/SFOR/KFOR). Gestisce il sito ITlogDefence.

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