Rischi, conseguenze e aspetti critici dell’operazione navale contro gli Houthi
(Aggiornato alle ore 23,55)
La “chiamata alle armi” degli Stati Uniti contro le milizie Houthi yemenite che minacciano il traffico marittimo nell’imbocco meridionale del Mar Rosso non sembra per ora aver riscosso il successo che Washington si attendeva.
Tra le nazioni che hanno aderito alla richiesta di inviare navi nello Stretto di Bab el Mandeb per scortare i mercantili che sfideranno i droni e i missili delle milizie di Ansar Allah, il braccio armato degli Houthi, vi sono per lo più quelle europee che fanno parte della NATO. La lista include Francia e Regno Unito (che hanno già navi in quel settore peraltro intervenute, come hanno fatto anche navi statunitensi, per intercettare missili e droni Houthi), Italia, Danimarca, Olanda, Norvegia, Grecia, Canada, Bahrein e Seychelles.
Come abbiamo già avuto modo di rilevare, queste ultime due nazioni lista offriranno una presenza dal valore simbolico e politico poiché non dispongono di unità navali impiegabili per intercettare droni e missili mentre il Bahrein è al momento l’unico stato arabo ad aver aderito alla coalizione ed ospita il comando della 5a Flotta americana.
L’Unione Europea non poteva non confermarsi ancora una volta la “ruota di scorta” degli Stati Uniti e ha deciso di sostenere l’operazione, come ha affermato l’Alto rappresentante Josep Borrell, sottolineando che gli Stati membri hanno accettato di contribuire attraverso l’Operazione Atalanta che avrebbe consentito anche il coinvolgimento della Spagna, non disponibile a partecipare se non all’interno di dispositivi NATO o UE.
Atalanta, attualmente a guida spagnola, si trasformerà quindi da missione europea di contrasto alla pirateria somala in missione a guida statunitense di contrasto agli attacchi degli Houthi contro i mercantili diretti in Israele o di proprietà riconducibili a interessi israeliani?
In realtà non è ancora chiaro quali modalità avrà la partecipazione europea all’operazione Prosperity Guardian, né quella italiana poiché la fregata del tipo FREMM Virginio Fasan sembra verrà assegnata all’Operazione europea Atalanta, quindi non direttamente a quella a guida statunitense. Questo potrebbe significare che le navi europee manterranno regole d’ingaggio diverse da quelle delle unità assegnate direttamente alla coalizione, replicando forse lo stesso schema che per molti anni ha visto convivere in Afghanistan la missione a guida NATO e quella statunitense “contro il terrorismo”.
Dopo un iniziale assenso, la Spagna ha posto il 21 dicembre veto alla partecipazione europea all’operazione statunitense per garantire la libertà di navigazione e la protezione delle navi nel Mar Rosso, ha riferito il quotidiano El Confidencial. Secondo il giornale, inizialmente Madrid voleva che tutta la Ue partecipasse alla missione e durante una riunione d’emergenza del 20 dicembre, il Comitato Politico e di Sicurezza ha approvato all’unanimità la partecipazione a Prosperity Guardian ampliando i compiti dell’Operazione Atalanta, che da anni contrasta i pirati somali in quelle acque.
Secondo quanto riportato dal giornale, il 21 dicembre Madrid ha cambiato posizione ma non ne ha spiegato le ragioni anche se sono note le posizioni critiche assunte da Madrid nei confronti di Israele per la recrudescenza delle operazioni in atto nella Striscia di Gaza.
Oggi invece la Spagna ha reso noto ufficialmente di aver rimosso il veto alla partecipazione dell’Unione Europea alla missione nel Mar Rosso ma non vi parteciperà. Fonti del Ministero della Difesa hanno diffuso un comunicato stampa in cui viene espressa finalmente in modo inequivocabile la posizione di Madrid. Per superare il veto spagnolo sono intervenute forti pressioni dalla Casa Bianca con una telefonata di Joe Biden al primo ministro Pedro Sanchez.
In questo contesto non ben definito anche sotto il profilo del comando e controllo dell’Operazione Prosperity Guardian, le nazioni europee potrebbero partecipare alla missione di scorta ai mercantili nell’ambito dell’Operazione Atalanta ma senza porre le proprie navi sotto il comando della 5a Flotta statunitense, cioè della componente navale del Central Command (CENTCOM).
Questo sembra essere l’orientamento dell’Italia men tre la Francia manterrà la sua fregata (FREMM) Languedoc sotto comando nazionale e non sembra intenzionata a inviare ulteriori unità navali nell’area in cui Parigi dispone di basi navali a Gibuti e Abu Dhabi. Quanto alle altre nazioni NATO che hanno aderito all’Operazione Prosperity Guardian , ben tre (Danimarca, Norvegia e Olanda) non invieranno navi nel Mar Rosso ma si limiteranno a contributi simbolici mandando da uno a 10 ufficiali presso il quartier generale della 5a Flotta in Bahrain, come riportato dall’agenzia Reuters.
Rischi e conseguenze
Anche se l’operazione si annuncia di tipo “difensivo”, caratterizzata dalla scorta e protezione dei mercantili impegnati sulla rotta dal Canale di Suez allo Stretto di Bab el Mandeb e viceversa (rotta peraltro ormai abbandonata da quasi tutti i grandi gruppi marittimi internazionali che hanno optato negli ultimi giorni per la più sicura e lunga circumnavigazione dell’Africa) i rischi certo non mancano.
Innanzitutto quello di provocare l’allargamento del conflitto nella Striscia di Gaza, finora scongiurato. L’ingaggio di droni e missili lanciati dal territorio yemenita avverrà con missili antiaerei, tuttavia gli Stati Uniti stanno valutando unilateralmente un attacco al territorio yemenita e alle basi Houthi impiegate per il lancio di droni e missili impiegando la portaerei Eisenhower nel Golfo di Aden e le forze presenti nella grande base di Camp Lemonnier, a Gibuti. Un attacco che esporrebbe a rappresaglie anche le navi europee dell’Operazione Prosperity Guardian.
Il 21 dicembre il Pentagono ha fatto sapere che aerei faranno parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti nel Mar Rosso che agirà nell’ambito dell’operazione Prosperity Guardian. Lo ha detto il portavoce del Pentagono, il general maggiore Patrick Ryder. “Non entrerò nei dettagli in termini di capacità o risorse in sé, ma sì, l’aria ne farà parte. Sapete, soprattutto quando si tratta di consapevolezza del dominio marittimo, la potenza aerea contribuisce sempre in modo significativo a questo”, ha affermato Ryder durante una conferenza stampa.
Un attacco americano agli Houthi esporrebbe anche la flotta europea al coinvolgimento nell’ennesimo attacco occidentale a un territorio araba. L’assenza di nazioni arabe nella coalizione navale appare quindi non casuale ma legata al rischio di trovarsi coinvolti in un nuovo conflitto con gli Houthi proprio ora che lunga e sanguinosa guerra yemenita scoppiata nel 2015 sta giungendo al termine grazie anche alle intese tra monarchie sunnite del Golfo e Iran mediata dalla Cina.
Proprio ieri, dopo una serie di incontri in Arabia Saudita e Oman, gli Houthi e il governo yemenita hanno concordato un pacchetto di misure volte ad attuare un cessate il fuoco in tutto il paese, l’avvio di un processo di pace per porre fine al conflitto in atto dal 2015.
Una decisione che è stata “accolta con favore” dalle Nazioni unite. Ribelli e governo yemenita si sono inoltre “impegnati in preparativi per la ripresa di un processo politico inclusivo nell’ambito del auspici delle Nazioni Unite”, si legge in un comunicato dell’ONU. La tregua era in atto dall’aprile 2022 e seppure scaduta lo scorso ottobre è stata fin9ora rispettata. L’accordo di pace sembra porre fine al conflitto: difficile quindi che sauditi o egiziani abbiano intenzione di riprendere le ostilità contro gli Houthi che peraltro in passato colpirono con missili e droni porti, aeroporti e altri e obiettivi sauditi ed emiratini nel Golfo Persico.
Il ministro degli esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha detto il 22 dicembre che spetta ai paesi che si affacciano sul Mar Rosso la responsabilità di proteggerlo dagli attacchi dei ribelli Houthi. Appare poi evidente che nessuna nazione araba ha interesse oggi a colpire una milizia araba che “combatte” per la Palestina e che chiede, per cessare gli attacchi al naviglio, la fine dell’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza: cioè la stessa richiesta presentata più volte dalle nazioni arabe alle Nazioni Unite.
In questo contesto l’operazione Prosperity Guardian, come un eventuale attacco statunitense agli Houthi, rischia di trasformarsi agli occhi del mondo arabo e islamico come l’ennesima aggressione a uno stato arabo effettuata dall’Occidente schierato al fianco di Israele: uno scenario che indebolirebbe la già da tempo calante influenza occidentale in Medio Oriente.
Chi non partecipa
A Prosperity Guardian non aderiscono ovviamente Russia e Cina ma neppure la Germania e l’Australia. In Cina la crisi nel Mar Rosso ha posto la questione della tecnologia missilistica che Pechino ha ceduto negli anni scorsi all’Iran e che Teheran avrebbe poi ceduto agli Houthi. Un esperto cinese di affari militari noto con il nome di “Korolev”, seguito da oltre 6 milioni di persone, ha accennato alla questione sull’applicazione Weibo.
In un post pubblicato la settimana scorsa, Korolev ha affermato che il missile utilizzato dagli Houthi potrebbe essere stato sviluppato a partire da tecnologie cinesi condivise con l’Iran in passato. I due missili balistici anti-ave più utilizzati dagli Houthi sono l’Asef e il Tankil (nella foto sotto) ed è noto che derivino entrambi da progetti iraniani. Tuttavia, secondo Korolev, il primo predecessore di questo tipo di tecnologia è da rintracciare nel missile terra-aria Red Flag 2A cinese, esportato in Iran negli anni ’80 durante la guerra con l’Iraq.
Berlino sembra addurre difficoltà di ordine costituzionale a partecipare a una missione che non è posta sotto l’egida di UE, NATO o ONU mentre sul piano militare solo una delle tre fregate tedesche per la difesa aerea è attualmente operativa. Il governo tedesco non ha ancora concluso la valutazione ma ha chiesto all’Iran di intervenire sulle forze Houthi affinché cessino gli attacchi contro le navi mercantili nel Mar Rosso.
Anche l’Australia, solitamente “alleato di ferro” degli USA nelle operazioni in Medio Oriente, sembra volersi tirare indietro. Il primo ministro, Anthony Albanese, ha escluso di dispiegare navi o aerei nel Mar Rosso rispondendo negativamente alla richiesta degli Stati Uniti ma offrendo da gennaio il contributo simbolico di 11 militari da assegnare al quartier generale dell’operazione che sarà a Manama (Bahrein), presso il comando della 5a Flotta statunitense. “Gli Usa comprendono che la migliore maniera per noi di dare sostegno alla missione è attraverso il supporto diplomatico”, ha detto Albanese, la cui posizione è stata accolta con favore a Pechino, come ha riferito il quotidiano cinese di stato Global Times.
Le pressioni USA e il ruolo dell’Iran
Per convincere gli alleati ad aderire all’operazione, gli Stati Uniti stanno puntando ad evidenziare il ruolo dell’Iran a sostegno degli Houthi. Al centro dei sospetti il ruolo della nave da sorveglianza iraniana ormeggiata da mesi nel Mar Rosso col compito di monitorare il traffico militare e mercantile in transito e che potrebbe guidare gli attacchi degli Houthi
L’Iran è stato “profondamente coinvolto” nella pianificazione degli attacchi dei ribelli Huthi dello Yemen contro le navi commerciali nel Mar Rosso, fornendo armi, finanziamenti, addestramento e “intelligence tattica” per consentire gli attacchi lungo un corridoio marittimo critico, ha riferito il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti Adrienne Watson. Citando dati d’intelligence recentemente declassificati, Watson ha detto che “il sostegno iraniano durante la crisi di Gaza ha consentito agli Houthi di lanciare attacchi contro Israele e obiettivi marittimi, sebbene l’Iran abbia spesso deferito l’autorità decisionale operativa agli Huthi.
Dal 2015, l’Iran ha trasferito sistemi d’arma avanzati agli Houthi, compresi sistemi aerei senza equipaggio, missili da crociera da attacco terrestre e missili balistici che sono stati utilizzati in attacchi contro navi marittime, comprese navi commerciali senza legami noti con Israele, e in attacchi contro Israele da ottobre. Senza il continuo sostegno iraniano, “gli Houthi farebbero fatica a rintracciare e colpire efficacemente le navi commerciali”, ha affermato Watson.
Il portavoce degli Houthi ha precisato il 23 dicembre che “è strano attribuire tutto all’Iran come se fosse la potenza più forte del mondo”, ha aggiunto. ”Abbiamo strutture di intelligence che si sono dimostrate efficaci nel corso degli anni di aggressione contro di noi”. Lo stesso giorno Teheran ha respinto le accuse: “la resistenza ha i suoi strumenti” e “agisce secondo le sue decisioni e capacità”, ha detto all’agenzia iraniana Mehr il vice ministro degli Esteri, Ali Bagheri Kani. E “il fatto che alcune potenze, come americani e israeliani, subiscano attacchi del movimento di resistenza non dovrebbe in alcun modo mettere in discussione la realtà della forza della resistenza nella regione”. Kani aveva già definito gli attacchi Houthi alle navi “azioni portate avanti in modo indipendente”.
Il vice comandante del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane (IRGC), Mohammad Reza Naqdi, ha invece ammonito che il proseguimento delle “azioni criminali” da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati potrebbe portare al blocco del Mar Mediterraneo. “Se i crimini continuano, gli Stati Uniti e i loro alleati dovranno aspettarsi la nascita di nuove forze di resistenza e la chiusura delle restanti strade e rotte (…) dovranno aspettarsi la chiusura del Mediterraneo”, ha detto all’agenzia Tasnim.
Valutazioni commerciali
Tra i temi che dovrebbero indurre a qualche riflessione circa le operazioni navali da attuare nel Mar Rosso spiccano le valutazioni delle compagnie marittime e assicurative e le dichiarazioni dei leader Houthi.
Nel primo caso oltre 100 navi hanno modificato la loro rotta allontanandosi dal Canale di Suez, e reindirizzandosi verso il Capo di Buona Speranza in Sud Africa, aggirando il Passaggio di Suez e aumentando la distanza tipica del viaggio commerciale di circa 6.000 miglia nautiche. Questa modifica può comportare ritardi nella consegna della merce fino a 3 o 4 settimane.
Il Canale di Suez, una rotta cruciale per il commercio globale con circa 19.000 transiti navali annuali, è vitale per il trasporto di combustibili fossili e merci tra l’Asia e l’Europa. Le interruzioni hanno causato un’impennata dei prezzi del petrolio, con i futures del greggio Brent che mercoledì scorso sono aumentati dell’1,2%, superando gli 80 dollari dopo essere scesi sotto i 74 dollari la settimana precedente. Gli aumenti dei prezzi potrebbero eventualmente avere un impatto sui costi energetici dei consumatori, contribuendo potenzialmente all’inflazione.
Negli ultimi giorni le tariffe di spedizione sono infatti aumentate del 20%, hanno riferito gli esperti, e anche i prezzi delle assicurazioni per le navi cargo che passano per il canale di Suez hanno subito una leggera impennata. Il costo di un viaggio di andata e ritorno dall’Asia all’Europa potrebbe arrivare a costare fino a quasi un milione di dollari in più, ha spiegato Peter Sand, analista di Xeneta, una società con sede a Copenhagen che monitora il mercato marittimo.
Nei primi 13 giorni di dicembre, 170 navi da carico sono passate per il mar Rosso, un calo del 17% rispetto allo stesso periodo in novembre, mostrano i dati di MarineTraffic, che potrebbero causare congestionamenti nelle prossime settimane. Tuttavia, secondo il presidente dell’Autorità del canale di Suez, Osama Rabie, gli attacchi hanno avuto finora un effetto limitato. Le navi che hanno scelto la deviazione intorno al Capo di Buona Speranza dopo il primo attacco del 19 novembre rappresentano circa il 3% delle 2.128 navi che hanno attraversato il Canale di Suez fino ad oggi, ha aggiunto Rabie. Attraverso il mar Rosso transita circa il 12% dei commerci globali, composti soprattutto dal greggio e dal gas naturale liquefatto: se le deviazioni delle navi cargo dovessero proseguire si potrebbe verificare un ulteriore rincaro dei prezzi dell’energia in Europa.
Soprattutto spicca il fatto che il mondo del trasporto marittimo esprima seri dubbi circa l’efficacia dell’operazione a guida statunitense, come ha evidenziato il 22 dicembre un lancio dell’Agenzia Nova. Corey Ranslem, amministratore delegato della società di consulenza e sicurezza marittima britannica Dryad Global, ha sottolineato al sito d’informazione “Breitbart” la mancanza di chiarezza riguardo ai dettagli della coalizione, compreso il numero di navi da guerra coinvolte, il loro tempo di arrivo, le regole di ingaggio e la durata dell’operazione.
Ranslem prevedeva un aumento delle aziende che “deviano intorno all’Africa” o che potrebbero addirittura interrompere le operazioni, se giudicheranno inadeguate le garanzie offerte dalla coalizione a guida Usa. Il traffico navale nel Mar Rosso è già diminuito di circa il 14 per cento dall’inizio del conflitto a Gaza. In particolare, Hapag Lloyd, una importante compagnia di navigazione tedesca, ha annunciato la deviazione del traffico lontano dalle acque dello Yemen almeno fino al 31 dicembre. Altre aziende disposte a attraversare il Mar Rosso richiedono premi di rischio elevati e garanzie di rimborso per potenziali perdite legate agli Houthi. Il porto di Eilat in Israele ha segnalato una diminuzione dell’attività dell’85 per cento.
Houthi bellicosi
Quanto alle reazioni degli Houthi, il 20 dicembre, il leader del gruppo sciita yemenita di Ansar Allah, Abdul Malik al-Houthi, ha accusato gli americani di essere ”complici degli orribili crimini che accadono in Palestina” sostenendo che ”alcuni paesi europei come Francia, Germania e Italia hanno una nera storia coloniale” alle spalle, e da loro ”non ci aspettiamo che svolgano un ruolo positivo a beneficio del popolo palestinese”.
Mohammed al-Bukhaiti, uno dei leader del movimento Houthi, ha detto ad al Jazeera che il suo gruppo affronterà ogni coalizione formata dagli Stati Uniti che dovesse essere dispiegata nel Mar Rosso. “Anche se gli Usa riuscissero a mobilitare il mondo interno, le nostre operazioni militari (nel Mar Rosso) non si fermerebbero fin quando non si porrà fine ai crimini di genocidio a Gaza e non sarà consentito l’arrivo di cibo, medicine e carburante alla popolazione assediata nella Striscia, indipendentemente dai sacrifici che ci costerà”,
Il portavoce Muhammad Abdel Salam ha ribadito che “il fine delle operazioni navali di Ansar Allah è sostenere il popolo palestinese nell’affrontare l’aggressione e l’assedio di Gaza, non fare una dimostrazione di forza o una sfida per nessuno. Chiunque cerchi di espandere il conflitto deve assumersi la responsabilità delle conseguenze delle sue azioni”. Salam valuta che “la coalizione formata dagli USA con lo scopo di proteggere Israele e militarizzare il mare senza alcuna giustificazione, non impedirà allo Yemen di continuare le sue legittime operazioni a sostegno di Gaza”.
“Prendiamo di mira solo le navi destinate in Israele”, ha affermato Salam elogiando le compagnie marittime “che hanno annunciato di aver sospeso le spedizioni verso i porti israeliani. “La pressione su Israele deve aumentare, affinché finisca l’assedio di Gaza. Israele sta compiendo massacri orribili. Non possiamo fermarci”. Il traffico marittimo nel porto israeliano di Eilat è calato dell’85 per cento da quando sono iniziati gli attacchi degli Houthi ai mercantili.
Un membro del Consiglio politico supremo Houthi, Mohammed Ali Al-Houthi, ha dichiarato in un’intervista alla televisione iraniana Al-Alam che “ogni paese che agisca contro di noi avrà le sue navi prese di mira nel Mar Rosso”.
Nella serata di oggi i miliziani yemeniti hanno accusato gli Stati Uniti di aver attaccato con missili uno dei droni del movimento sciita, durante una missione di ricognizione sul Mar Rosso, portando alla sua esplosione nei pressi di una nave di proprietà del Gabon, rimasta illesa. Gli Stati Uniti non hanno commentato ma all’inizio della giornata avevano riferito del lancio di due missili antinave verso le rotte commerciali marittime nel Mar Rosso meridionale dalle aree controllate dagli Houthi oltre ad attacchi di droni contro petroliere e navi militari che non sono state danneggiate.
Foto: Royal Navy, US Navy, Marine Nationale, Agenzia Tasnim, Ansar Allah e FleetMon
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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.