Coalizione anti ISIS a rischio in Iraq dopo il raid americano a Baghdad

 

Il primo ministro iracheno Mohammed Shia al-Sudani ha condannato il 5 gennaio l’attacco condotto il giorno precedente, probabilmente da un drone statunitense MQ 9 Reaper, nel centro di Baghdad contro il quartier generale delle Unità di Mobilitazione Popolare (PMU), milizie scite legate all’Iran ma integrate nelle Forze Armate irachene.

Il raid è costato la vita a tre membri delle PMU (altri 6 sono rimasti feriti) durante le celebrazioni per l’anniversario della morte di Abu Mahdi al Muhandis, ex vice capo delle PMF e comandante della milizia Kataib Hezbollah, una delle più importanti a combattere lo Stato Islamico, ucciso da un altro raid compiuto da un drone statunitense avvenuto nel gennaio 2020 all’aeroporto di Baghdad in cui venne ucciso il generale delle Guardie Rivoluzionarie iraniane Qasem Soleimani.

Tra le vittime del raid americano il comandante della fazione di Al-Nujaba, Taqwa al Saidi, a Baghdad, come ha riferito l’agenzia di stampa irachena Shafaq News. I leader delle PMU hanno adottato misure di sicurezza preventiva che includono il cambiamento regolare delle residenze in previsione di possibili attacchi. La fonte ha rivelato che “la maggior parte dei quartieri generali e dei siti militari delle fazioni sono diventati praticamente deserti, ad eccezione di alcune guardie. Tale procedura riguarda anche le fazioni che non sono attivamente coinvolte” negli attacchi contro le basi Usa in Iraq e in Siria.

 

L’Iraq non vuole più la Coalizione

Al-Sudani ha definito l’attacco americano una violazione della sovranità irachena e ha ribadito le recenti richieste di ritiro delle truppe statunitensi dal Paese affermando che gli Stati Uniti hanno aggirato il governo iracheno, che è “l’organo autorizzato a imporre la legge”. Ha aggiunto che le PMU “rappresentano una presenza ufficiale affiliata allo Stato e parte integrante delle nostre forze armate” e che “gli attacchi contro le nostre forze di sicurezza vanno oltre lo spirito del mandato che ha creato la coalizione internazionale”, cioè la lotta contro l’Isis.

Le forze di sicurezza irachene hanno affermato che l’attacco missilistico statunitense a Baghdad “è stato condotto direttamente (dagli Usa) senza che nessuna entità militare o di sicurezza irachena ne fosse a conoscenza”. Lo ha dichiarato l’ufficio comunicazione delle forze di sicurezza irachene in una nota ufficiale, secondo cui il bombardamento “danneggia completamente il rapporto” tra le forze irachene e la Coalizione internazionale contro lo Stato islamico, a guida USA e costituisce “una chiara violazione del mandato legale per cui questa Coalizione è stata costituita”.

Durante un briefing con la stampa, il portavoce del Pentagono, Pat Ryder, ha affermato che “le forze statunitensi sono in Iraq su invito del governo iracheno”, aggiungendo che “sono lì per una sola ragione, ovvero per sostenere la missione di sconfitta dello Stato Islamico. Continueremo a lavorare a stretto contatto con i nostri partner iracheni per quanto riguarda la sicurezza delle nostre forze”. .

Gli Stati Uniti rispettano la sovranità dell’Iraq, a differenza delle autorità iraniane, ha detto il coordinatore per le comunicazioni strategiche al Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby, durante un briefing con la stampa. “Tuttavia, prendiamo altrettanto sul serio la difesa dei nostri soldati che si trovano nel Paese, per aiutare le autorità irachene a combattere il terrorismo: abbiamo il dovere di proteggerli e continueremo a farlo”, ha detto.

Il raid americano aver esacerbato gli animi in Iraq come accadde quattro anni or sono con l’uccisione di Soleimani e Muhandis. Definendo l’incidente “estremamente grave”, al-Sudani ha insistito ancora una volta sul fatto che “in caso di violazione o trasgressione da parte di qualsiasi parte irachena, o se la legge irachena viene violata, l’unica parte che ha il diritto di dare seguito nel merito di questi eventi è il governo iracheno”, si legge in una dichiarazione del suo ufficio pubblicata su X.

Per tutte queste ragioni, il premier ha ribadito la posizione ”ferma e di principio” del governo iracheno di “porre fine alla presenza della Coalizione internazionale una volta finite le giustificazioni della sua esistenza”, e ha convocato un comitato bilaterale per determinarne la fine.” “Si tratta di un impegno dal quale il governo non si tirerà indietro e non trascurerà nulla che possa garantire la sovranità nazionale sulla terra, sul cielo e sulle acque dell’Iraq”, ha sottolineato il premier.

Un membro della Commissione parlamentare per la Sicurezza e la difesa, Waad Al Qaddu, ha chiesto di tenere una riunione straordinaria del parlamento per emanare una legge che obblighi il governo a rimuovere le forze statunitensi dall’Iraq. Al Qaddu – esponente della Coalizione Stato di diritto dell’ex premier Nuri al Maliki – ha detto all’emittente “ABC Arabia” che “la nuova legislatura, che inizierà il 9 gennaio, vedrà la questione inserita nell’agenda del Consiglio”.

L’Iran ha espresso inevitabilmente sostegno all’iniziativa del governo iracheno per preparare la “fine” della missione nel Paese arabo della coalizione internazionale a guida USA. “Siamo convinti che le forze armate irachene abbiano l’autorità e il potere necessari per garantire la sicurezza. Per Washington è arrivato il momento di lasciare l’Iraq”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanani.

Teheran del resto accusa apertamente Washington anche per l’attentato di Kerman. Il capo di Stato maggiore delle Forze armate dell’Iran, Mohammad Bagheri, ha dichiarato oggi che “gli Stati Uniti addestrano i gruppi terroristici e forniscono loro sostegno di intelligence”. Lo ha riferito l’agenzia di stampa iraniana “Tasnim”, secondo cui Bagheri ha rilasciato queste dichiarazioni durante la conferenza dei dirigenti della Fondazione per la conservazione delle opere e la pubblicazione dei valori della sacra difesa. Il generale iraniano ha accusato Washington di “ipocrisia pubblica, in quanto condanna l’attacco terroristico a Kerman (rivendicato dallo Stato islamico lo scorso 3 gennaio in Iran, nei pressi della tomba del generale dei pasdaran Qassem Soleimani, ndr) ed esprime le proprie condoglianze, ma dietro le quinte sostiene i terroristi, lavora per potenziarli a livello educativo e nell’addestramento, mandandoli a uccidere gli iraniani e altri popoli”.

 

Italiani e altri alleati nella Coalizione

L’attacco americano del 4 gennaio rischia quindi di portare alla cacciata dall’Iraq dell’intera Coalizione oltre a esporre i contingenti alleati (incluso quello italiano basato a Erbil, nel Kurdistan, dove oggi un drone è stato abbattuto dalla Coalizione internazionale mentre si avvicinava alla base) a ripercussioni e rappresaglie militari delle PMU in risposta a un’iniziativa unilaterale degli Stati Uniti.

Se le Forze Armate irachene lamentano di non essere state avvisate preventivamente del raid americano, è molto probabile che neppure gli alleati della Coalizione ne siano stati informati: contesto che complica i rapporti tra gli alleati occidentali. L’Italia ha ottime relazioni con l’Iraq (e le sta potenziando anche sul piano militare) che rischiano di venire messe in pericolo dalle iniziative unilaterali statunitensi che si sviluppano su un territorio in cui operano sotto comando USA anche contingenti di diverse nazionalità.

Un motivo che sta sconsigliando diverse nazioni europee (Italia e Francia in testa) dal porre le proprie navi sotto il comando statunitense nell’Operazione Prosperity Guardian a protezione del traffico mercantile nello stretto di Bab el Mandeb, specie dopo che Stati Uniti e Gran Bretagna hanno “non escluso” attacchi aerei o missilistici contro le milizie Houthi sul territorio yemenita.

Secondo il quotidiano on line Politico, che cita fonti dell’amministrazione USA, Biden si sta preparando a una escalation regionale del conflitto israelo-palestinese, a seguito degli attacchi israeliani contro un leader di Hamas a Beirut e milizie filo-iraniane in Libano e Iraq e dell’attentato che ha causato quasi cento vittime in Iran.

Per un “alto funzionario” la Casa Bianca è al lavoro per prepararsi ad una “crisi regionale di lunga durata”, il Pentagono sta approntando piani per colpire sul territorio dello Yemen le milizie Houti mentre l’intelligence è attivata per prevenire attacchi contro le forze Usa in Iraq e in Siria. In quest’ultima nazione la presenza di forze statunitensi non è mai stata legittimata né da un accordo col governo di Damasco né da un mandato internazionale.

 

Il fronte siriano

Se in Iraq la Coalizione a guida statunitense rischia di venire cacciata per violazione della sovranità irachena e degli accordi con il governo di Baghdad, in Siria le truppe americane sono da anni presenti illegalmente, come forza d’occupazione o “invasori”, come sostiene il governo siriano, con il compito di sostenere le milizie curde delle Siryan Democratic Forces, presidiare la regione meridionale di al-Tanf (roccaforte dei ribelli anti-Assad) e controllare i pozzi petroliferi delle regioni orientali per impedire al regime di Bashar Assad di riprenderne il possesso.

Proprio l’assenza di un accordo con il governo di Damasco ha indotto molte nazioni che hanno aderito alla Coalizione a non partecipare ad operazioni in Siria.

Se Baghdad decidesse realmente di espellere le forze americane dall’Iraq anche il sostegno alle basi in Siria (dove sono presenti tra mille 2 mila militari americani) risulterebbe più difficoltoso e potrebbe appoggiarsi solo su retrovie in Giordania. Del resto nel luglio scorso Iraq e Siria hanno rafforzato le relazioni in tema di sicurezza (nella foto sotto al-Sudani conm Bashar al-Assad) con un’intesa gradita all’Iran.

Negli ultimi giorni le milizie scite hanno lanciato decine di razzi contro le forze statunitensi in Siria, prendendo di mira in particolare la base situata in prossimità del giacimento petrolifero di al-Omar: le stesse fazioni filo-iraniane avevano dichiarato di aver preso di mira “un obiettivo strategico” in Israele usando un missile da crociera al-Arkab.

Ieri pomeriggio le milizie hanno attaccato con due razzi la base militare statunitense “Green Village”, situata in prossimità del giacimento di gas di Conoco, nella campagna di Deir ez Zor, nell’est della Siria. Nell ore precedenti la Resistenza islamica in Iraq ha rivendicato un attacco con droni contro la base militare americana di Rmeilan, nel governatorato di Al Hasakah, nel nord della Siria.

Gli Stati Uniti hanno inviato rinforzi, in particolare medicinali e attrezzature, ai propri militari di stanza in Siria, attraverso il valico di Al Waleed, alla frontiera con l’Iraq, ha riferito l’agenzia di stampa turca Anadolu, secondo cui il convoglio statunitense composto da circa 15 veicoli carichi di forniture mediche e attrezzature, ha raggiunto le basi statunitensi nel governatorato siriano di Deir ez Zor, nell’est del Paese, compresa quella situata nei pressi del giacimento petrolifero di Al Omar.

Inoltre, sabato scorso, due aerei cargo statunitensi erano atterrati nell’aeroporto di Kharab al Jir, nella campagna di Al Hasakah, nel nord del Paese, dove si trova un’altra base Usa. Si tratta dei primi rinforzi inviati quest’anno dagli Stati Uniti alle proprie forze presenti sul territorio siriano. A partire dal 17 ottobre 2023, le basi Usa in Siria e Iraq hanno subito oltre 100 attacchi da parte delle milizie filo-iraniane.

Foto SANA, Governo Iracheno, al-Sharquya, US DoD e Kurdistan 24

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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