Gli effetti degli attacchi nel Mar Rosso Meridionale sull’economia italiana e il ruolo dell’Europa

 

Le tensioni nella regione sud del Mar Rosso hanno avuto un impatto significativo sul settore marittimo italiano. Il Mar Rosso è una delle rotte commerciali più importanti al mondo. Tuttavia, le tensioni geopolitiche tra gli stati della regione hanno creato significativi ostacoli per le aziende italiane.

I contrasti territoriali e i conflitti in corso hanno limitato l’accesso delle navi mercantili a questa zona strategica. Ciò ha avuto un impatto negativo sull’import ed export delle merci italiane attraverso il Mar Rosso, rallentando il commercio e causando perdite economiche.

Inoltre, la minaccia degli attacchi dei pirati e del terrorismo ha reso le acque del Mar Rosso ancora più pericolose per le navi italiane. Le aziende del settore marittimo hanno affrontato aumenti delle spese di sicurezza e hanno dovuto adottare misure straordinarie per garantire la protezione dei loro beni.

Gli effetti sul settore marittimo

Molte navi che avevano programmato il transito attraverso lo stretto tra lo Yemen e Gibuti, noto come Bab el-Mandeb o la Porta delle Lacrime, hanno invertito la rotta dopo l’inizio delle insidiose attività degli Houthi. Questa situazione ha causato un aumento dei prezzi dei beni energetici, in particolare il petrolio, alimentando i timori di un rimbalzo dell’inflazione.

Secondo gli analisti del settore, la possibilità di prolungate deviazioni dal Mar Rosso potrebbe offrire un leggero vantaggio alle navi Dry Bulk (carico alla rinfusa), anche se non sarebbe così significativo come i potenziali vantaggi per le navi cisterna o le navi portacontainer. L’attuale panorama marittimo globale ha presentato numerose sfide, con il Baltic Dry Index (BDI) che ha registrato un calo in vista delle festività natalizie. L’indice è sceso di 69 punti fino a raggiungere i 2.150 punti mercoledì, segnando il livello più basso dal 27 novembre.

Tali dinamiche si inseriscono in un contesto di rotte commerciali globali che vedono una parte significativa del commercio Bulk transitare attraverso le principali vie d’acqua. Secondo gli analisti di Hartland Shipping che hanno parlato con Lloyd’s List, circa il 6% di tutto il commercio Dry Bulk a livello globale passa attraverso il Canale di Suez. Nel frattempo, i traffici di Dry Bulk continuano a transitare attraverso il Mar Rosso, anche se nei prossimi giorni potrebbe verificarsi una leggera diminuzione dei volumi.

Questa diminuzione prevista arriva mentre gli armatori e i noleggiatori soppesano le loro opzioni, valutando se sospendere i viaggi o deviare intorno al Capo di Buona Speranza. La situazione attuale evidenzia la complessità della logistica marittima globale e il potenziale impatto delle perturbazioni sui diversi tipi di navi. Sebbene le navi Bulk carrier possano potenzialmente beneficiare di queste deviazioni dal Mar Rosso se prolungate, è chiaro che i vantaggi non sarebbero così pronunciati come per altri tipi di navi, come le petroliere o le portacontainer.

Gli effetti sullo shipping italiano

Il settore navale italiano è stato particolarmente colpito da questi sviluppi. L’Italia è al centro della tempesta, essendo una regione chiave per il traffico marittimo tra il Mediterraneo e l’Asia. Il blocco del Canale di Suez, che rappresenta il 40% dell’import-export italiano, ha avuto un impatto significativo sul commercio italiano.

I porti italiani sono a rischio di perdere terreno a causa del blocco del Canale di Suez. Le tariffe di trasporto da Shanghai a Genova sono aumentate del 25%, rispetto alla rotta da Shanghai a Rotterdam che ha visto tariffe aumentate del 23%. Questo ha portato ad un aumento dei costi per le compagnie di navigazione italiane e potrebbe avere ripercussioni significative sulla competitività del settore navale italiano.

Quale paese votato al commercio internazionale, l’Italia risente in maniera particolare delle difficoltà riscontrate nella navigazione nel Mar Rosso, rendendo il passaggio da Suez meno appetibile rispetto alla consuetudine. L’approvvigionamento energetico e l’import/export sono solo due dei principali ambiti in cui la tensione internazionale presenterà un conto considerevole per l’economia italiana.

Il gas del Qatar

Il settore energetico è uno dei più vulnerabili alle tensioni in Medio Oriente. Recentemente il Qatar, il più grande esportatore di gas naturale liquefatto (GNL) al mondo, ha bloccato il transito delle sue navi gasiere dal Mar Rosso. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina (e la rottura diplomatica con Mosca), la monarchia del Golfo è diventata uno dei principali fornitori di GNL all’Europa.

La sospensione delle spedizioni, quindi, sta causando nuove incertezze ai Paesi europei, ma gli esperti ritengono che non metterà a rischio la loro capacità di soddisfare la domanda invernale. Questo perché l’Unione Europea nel suo complesso dispone di elevati livelli di riserve di gas, una misura strategica per rispondere a eventuali shock di approvvigionamento. Secondo i dati del Gie Agsi, le riserve italiane sono attualmente piene per circa il 75%. Il rischio di rimanere senza gas è quindi minimo. Tuttavia, potrebbero esserci preoccupazioni per i prezzi. Recentemente, al Ttf di Amsterdam, il gas è sceso brevemente sotto la soglia dei 30 euro per megawattora, ma potrebbe risalire in caso di nuovi attacchi e sospensioni delle forniture.

Le PMI

A preoccuparsi del rischio di escalation del conflitto in Medio Oriente sono soprattutto le imprese. Secondo Confartigianato, il valore dell’import-export italiano che ogni anno passa per il Canale di Suez ammonta a 148,1 miliardi di euro, di cui 93,1 miliardi di importazioni e 53 miliardi di esportazioni. Marco Granelli, presidente dell’associazione di categoria, ritiene che quanto sta accadendo nel Mar Rosso “penalizza il sistema del made in Italy e la fornitura di prodotti essenziali per la trasformazione del manifatturiero italiano”. In percentuale, le merci italiane che passano attraverso il Canale di Suez rappresentano il 15,2% del totale delle importazioni dall’estero e l’8,7% delle esportazioni.

Esistono differenze significative tra le regioni in termini di esposizione a una potenziale crisi. La regione più a rischio in termini assoluti è la Lombardia, che nell’ultimo anno ha esportato attraverso il Mar Rosso merci per 12,9 miliardi di euro. Se si considerano le esportazioni in rapporto al PIL regionale, le regioni più esposte sono l’Emilia-Romagna, che vede passare attraverso il Canale di Suez merci per un valore pari al 5,3% del PIL regionale, il Friuli-Venezia Giulia (4,7%) e la Toscana (3,7%).

L’Europa divisa

La crisi in Yemen si inserisce nel più ampio conflitto mediorientale. Se da un lato gli effetti delle azioni dei ribelli Houthi contro la libertà di navigazione sono scontati, l’irrilevanza europea è un dato tanto palese quanto avvilente.

Nonostante l’Unione Europea abbia delle navi che operano tra Mar Rosso ed Oceano Indiano, non si registra un indirizzo politico comune: mentre Germania, Danimarca e Paesi Bassi sono propensi ad azioni dirette contro i ribelli, Italia, Francia e Spagna desiderano mantenere un atteggiamento neutrale, limitandosi ad intercettare le minacce alla navigazione. Senza voler giudicare la bontà di una posizione a scapito dell’altra, si rileva comunque come l’Europa sia un gigante economico che diventa nano quando si discute di politica e sicurezza.

Le azioni degli Stati Uniti nel Mediterraneo allargato (punto centrale della politica marittima italiana) difendono un principio – quello della libertà di navigazione – che non necessariamente corrisponde con un interesse vitale americano: alla luce dell’autosufficienza energetica e della geografia (una nave che parte dalla Cina diretta in America non passa dal Mar Rosso), la US Navy potrebbe avere altre priorità nel futuro, lasciando un vuoto che sarebbe subito colmato da altri attori. L’Europa è pronta a prendersi in carico la difesa dei propri interessi?

Foto: Marina Militare, Marina francese e UKMTO

 

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Consulente specializzato nell'analisi e nell'esecuzione di operazioni internazionali a favore delle aziende europee. Laureato in Scienze Politiche Internazionali presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e con un Master of Science (MSc.) in Middle East Politics presso la School of Oriental and African Studies (SOAS) di Londra. Con quasi venti anni di esperienza di lavoro negli Stati Uniti, Svizzera, Regno Unito, Iraq ed Emirati Arabi Uniti, ha uno spiccato interesse per le dinamiche politiche, economiche e di sicurezza nell'area del Mediterraneo allargato. Sito internet: https://www.mandati-internazionali.eu/.

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