L’attentato a Kerman punta a trascinare l’Iran in guerra? (AGGIORNATO)
Le due esplosioni avvenute ieri a Kerman nei pressi del cimitero dove è sepolto il generale Qasem Soleimani, comandante della divisione al-Quds ei pasdaran iraniani, costate la vita a 95 persone rappresentano il più grave attentato terroristico compiuto sul territorio iraniano.
Le due esplosioni, verificatesi con un intervallo di 20 minuti una dall’altra con una tecnica già adottata in passato da diverse milizie e organizzazioni terroristiche giungono in un momento di grande tensione in cui la crisi in Medio Oriente determinata dal confronto tra Hamas e Israele nella Striscia di Gaza minaccia di coinvolgere direttamente gli alleati dell’Iran: dalle milizie Houthi nello Yemen agli Hezbollah in Libano alle milizie scite in Iraq e Siria. Gruppi armati finiti recentemente nel mirino delle forze israeliane o statunitensi a causa delle loro iniziative militari.
In questo contesto il sanguinoso attentato rischia di provocare un’escalation della crisi. Israele ha informato i suoi alleati di non essere coinvolta nella duplice esplosione di Kerman.
“Le autorità statunitensi per il momento non dispongono di informazioni dettagliate” ha detto il coordinatore per le comunicazioni strategiche al Consiglio per la sicurezza nazionale statunitense, John Kirby. “Siamo dispiaciuti per le vittime innocenti e per le famiglie: al momento non siamo in grado di stabilire cosa sia accaduto o chi sia il responsabile”, ha detto mentre il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Matthew Miller ha precisato che “gli Stati Uniti non sono coinvolti in alcun modo nell’attentato né hanno ragione di credere a un’eventuale implicazione di Israele”.
L’Unione Europea “condanna nei termini più decisi” l’attentato ed “esprime la propria solidarietà con il popolo dell’Iran” si legge in una nota del Servizio di azione esterna dell’Ue.
Il Wall Street Journal, che cita fonti vicine agli ambienti militari e di intelligence israeliani, sottolinea che il modus operandi nella strage non coincida con quello adottato da Israele che in più occasioni ha colpito in Iran prendendo di mira singole persone o infrastrutture militari o strategiche con operazioni mirate. Anche le recentissime operazioni israeliane (non rivendicate) che hanno portato all’eliminazione del generale dei pasdaran iraniani Sayyed Razi Mousavi a Damasco e del dirigente di Hamas Saleh al-Arouri a Beirut sono state operazioni chirurgiche contro obiettivi definiti.
Considerazioni che non sgomberano il campo dall’ipotesi che Israele o Stati Uniti possano aver commissionato l’azione terroristica a qualche gruppo eversivo di oppositori del regime iraniano. Ipotesi che sembra trovare sostenitori in Iran dove Mohammad Jamshidi, vice capo dello staff per gli Affari politici del presidente iraniano Ebrahim Raisi, ha scritto su X (ex Twitter): “Washington afferma che Stati Uniti e Israele non hanno avuto alcun ruolo nell’attacco terroristico a Kerman. Veramente? La volpe annusa per prima la propria tana. Non fate errori. La responsabilità di questo crimine ricade sugli Stati Uniti e sui regimi sionisti e il terrorismo è solo uno strumento”.
Il procuratore capo Gholam-Hossein Mohseni-Ejei, ha accusato “terroristi mercenari al servizio di potenze arroganti” mentre la Guida suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei (nella foto sotto), ha assicurato una “dura risposta” all’attacco. “I nemici dovrebbero sapere che, con il permesso di Dio, i responsabili di questa tragedia riceveranno una dura risposta”, ha detto in un messaggio alla nazione. “Il nemico dovrebbe sapere che i soldati sul luminoso sentiero di Soleimani non tollereranno la loro viltà e il loro crimine: le mani macchiate del sangue di persone innocenti e le menti corrotte e malvagie che le hanno mal indirizzate saranno sicuramente il bersaglio di una dura risposta e di una meritata punizione”.
In una lettera al segretario generale dell’Onu e al Consiglio di Sicurezza, la missione dell’Iran al Palazzo di Vetro ha affermato che “sono attualmente in corso indagini approfondite per identificare gli autori e gli organizzatori dietro le due esplosioni terroristiche a Kerman” e “siamo impegnati a sfruttare tutti i meccanismi disponibili per chiederne conto ai responsabili e ai loro complici”.
Tra le ipotesi legate al terrorismo interno all’Iran tra gli indiziati vi sono i due movimenti indipendentisti del Baluchistan che anche in passato hanno colpito esponenti del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione: Jaish al Adl (considerato gruppo terrorista anche dagli Stati Uniti) e Ansar Al-Furqan che in passato aveva relazioni con gruppi qaedisti incluso il Fronte al Nusra siriano. Movimenti consolidatisi presso la minoranza sunnita Baluchi ma con una presenza anche nella minoranza araba delle regioni di confine con l’Iraq e che, secondo i dettami di Osama bin Laden, combattono gli sciti e in particolare i pasdaran.
Infine non si può escludere neppure l’infiltrazione in Iran di sabotatori incaricati di compiere l’attentato per far ricadere le responsabilità sui nemici interni o esterni dell’Iran provocando una reazione del regime degli ayatollah.
L’attentato è avvenuto durante la processione verso la tomba del generale Qasem Soleimani (nella foto sotto), ucciso nei pressi dell’aeroporto internazionale di Baghdad insieme ad Abu Mahdi al-Muhandis vice comandante delle Unità di Mobilitazione Popolare (le milizie scite irachene filo-iraniane protagoniste della campagna vittoriosa contro lo Stato Islamico) dal missile lanciato da un drone statunitense il 4 gennaio del 2020 per ordine dell’allora presidente Donald Trump.
Un attacco mirato che all’epoca determinò dure reazioni del governo iracheno e rappresaglie contro le basi statunitensi e della coalizione in Iraq. Stati Uniti e Israele non erano certo i soli ad avere conti in sospeso con i pasdaran e in particolare con la Divisione al-Quds guidata da Soleimani, responsabile per le operazioni all’estero del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione.
Proprio i pasdaran, con propri reggimenti e coordinando le milizie scite, permisero al governo iracheno di fermare l’avanzata delle milizie sunnite dello Stato Islamico su Baghdad nell’estate del 2014 e poi di stroncare l’ISIS in nord Iraq mentre in Siria hanno affiancato le truppe di Damasco che (anche grazie al decisivo supporto russo) hanno sconfitto le milizie dello Stato islamico e di al-Qaeda. I gruppi jihadisti sunniti avrebbero quindi fondati motivi per colpire le celebrazioni riservate alla memoria di Soleimani.
A possibile conferma di questa pista, nel pomeriggio del 4 gennaio un comunicato dello Stato Islamico ha rivendicato su Telegram la paternità dell’attentato attribuito a due suoi attentatori suicidi. Una “fonte bene informata” citata dall’agenzia di stampa di stato iraniana IRNA ha riferito che i due attentatori, non riuscendo a superare gli stretti controlli di sicurezza per avvicinarsi alla tomba di Soleimani, si sono fatti saltare in aria uno a distanza di 1,5 chilometri e l’altro a 2,7 chilometri dalla moschea di Saheb al-Zaman, dove il generale è sepolto.
Se risulta difficile al momento attribuire con certezza le responsabilità della strage, l’obiettivo indiretto degli attentatori di Kerman sembra essere duplice: da un lato evidenziare la vulnerabilità della Repubblica Islamica iraniana e dall’altro indurre Teheran a una reazione che rischierebbe di coinvolgerla direttamente nel conflitto contro Stati Uniti e Israele, Coinvolgimento da cui finora l’Iran si è tenuto lontano precisando in più occasioni di non aver avuto nulla a che fare con l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre scorso, attacco di cui Teheran ha affermato di non essere neppure stata informata.
Foto Agenzia Tasnim
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.