Alla conferenza di Monaco molti slogan e poco pragmatismo
Dal nostro inviato a Monaco
“Date all’Ucraina tutto quello che le serve”. È il mantra che ha permeato gli interventi dei leader politici, diplomatici e dei funzionari europei (a fortissima trazione tedesco-scandinava) intervenuti nei numerosi tavoli di discussione e approfondimento dedicati alla crisi ucraina della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco edizione 2024. Un common wording sincronizzato e coordinato a tutti i livelli volto a convincere gli Stati uniti a non staccare la spina e a preparare l’Europa a fare da sola nel caso il sostegno militare e finanziario incondizionato che Washington ha fornito sino ad ora a Kiev si sblocchi o, ancora peggio, venga definitivamente sospeso.
Infatti, ci sono molti dubbi circa il fatto che gli europei siano in grado di sostenere gli sviluppi della crisi ucraina senza gli Stati Uniti. D’altronde, alla domanda “l’Europa è pronta a difendere sé stessa?” sono state fornite risposte evasive che erano molto vicine a un “no”, anche perché il sostegno militare a favore di Kiev ha depauperato i nostri arsenali. Da qui la necessità di “fare di più” non solo per l’Ucraina, ma anche per noi.
Il “tutto quello che serve” è stato declinato tramite la definizione di tre principali linee d’azione: il rafforzamento del comparto dell’industria della difesa dei paesi dell’UE, il sostegno militare in tutti i suoi aspetti, l’accesso dell’Ucraina, soprattutto, alla NATO.
Spendere di più, produrre di più (e meglio?)
Per Ursula von der Leyen il 20% l’incremento netto della spesa per la difesa dei paesi UE rilevato lo scorso anno non è sufficiente, ma non bisogna solo spendere di più. Bisogna spendere in Europa in un’ottica di joint procurement creando posti di lavoro in Europa. Il che non significa, secondo la von der Leyen, non acquistare materiali da paesi non europei, ma produrli da noi. Il modello? La produzione del sistema antimissile Patriot (statunitense) su suolo tedesco.
Berlino è la capofila in Europa del supporto militare all’Ucraina (7 miliardi di euro quest’anno e 6 il prossimo) e dell’incremento della quota di PIL nazionale da dedicare alle spese per la difesa (quest’anno raggiungerà il 2% e lo manterrà per gli anni a venire), e anche il Cancelliere tedesco Olaf Scholz è fermamente convinto che l’Europa debba fare di più per la propria sicurezza (e per quella della Germania ovviamente). Un vero peccato che il progetto della Germania di introdurre uno scudo antimissile europeo sotto l’egida della Nato (l’European Sky Shield Initiative) sostenuto da altri 14 Stati, oltre a Berlino, non sia stato affatto concordato a livello europeo e che abbia escluso dalla partita due giocatori importanti come l’Italia e la Francia.
Infatti, l’iniziativa tedesca prevede l’utilizzo dei sistemi Iris-T Slm prodotto dalla Germania, i già citati Patriot americani e l’israeliano Arrow-3. Il tutto mette fuori gioco la nuova versione del sistema di difesa aerea terra-aria Samp/T, anche conosciuto come “Mamba”, alla quale lavorano dal 2021 il nostro Paese e i cugini d’Oltralpe. Alla faccia del joint procurement!
La “strategia shock” di Rasmussen per il sostegno militare
Quando si parla di sostegno militare e di accesso alla NATO è utile seguire le attività della International Task Force on Security and Euro-Atlantic Integration of Ukraine sul sito della presidenza di Kiev. A Monaco, Andriy Yermak, Capo dell’ufficio del Presidente Zelensky e Anders Fogh Rasmussen (già Segretario Generale della NATO che presiede la task force) hanno illustrato le attività di questa organizzazione (evoluzione del “Kiev Security Compact” istituito subito dopo l’inizio del conflitto) che fa capo direttamente al Presidente ucraino.
La “sicurezza” ha a che fare con il supporto militare, mentre l’integrazione euro-atlantica con il processo di adesione alla NATO. In merito a quest’ultimo aspetto la task force è quella che dovrà creare le condizioni perché i requisiti per l’accesso vengano soddisfatti. Soprattutto, convincere gli alleati ad approvare all’unanimità l’avvio del processo.
Rasmussen (nella foto di repertorio qui sopra), nella convinzione che sino ad ora sia stato fornito all’Ucraina solo il necessario per sopravvivere, ha affermato il bisogno di fare di più adottando una “strategia shock” (testuali parole), per assicurare la vittoria a Kiev a fronte dei manifesti insuccessi sul campo di battaglia. Tale strategia consisterebbe nell’eliminare tutte le restrizioni che ciascun paese europeo e gli Stati Uniti hanno posto sulla tipologia di armi da inviare in Ucraina, soprattutto il munizionamento a lungo raggio. La fornitura di “tutto il necessario” (vale a dire qualunque cosa chiedano) non solo dovrebbe avvenire per tutto il tempo che ci vorrà (as long as it takes), ma anche nel quantitativo indispensabile (as much as it takes).
Infine, ha chiosato l’ex Segretario Generale della NATO, non è detto che le nuove forniture debbano necessariamente essere rese pubbliche, in modo da prendere di sorpresa i russi! Purtroppo, il problema è che, oltre alle legittime considerazioni di carattere etico e politico circa la trasparenza dei processi decisionali in tema di forniture di armamenti a un paese estero, una conferenza stampa non è proprio il luogo ideale per mantenere un segreto. Inoltre, è difficile valutare che i servizi d’informazione russi avrebbero difficoltà a comprendere in tempo utile la presenza di una minaccia diretta al loro territorio, con le conseguenze che possiamo immaginare.
Nel frattempo, il primo ministro danese Mette Frederiksen ha annunciato che il proprio Paese trasferirà una parte del proprio arsenale all’Ucraina e ha invitato gli Stati europei a fornire munizioni e sistemi di difesa aerea. “Abbiamo armi, munizioni e sistemi di difesa aerea che non stiamo ancora utilizzando. Dovrebbero essere trasferiti in Ucraina” ha affermato il ministro a latere della conferenza.
L’accesso alla NATO
Riguardo all’accesso dell’Ucraina nella NATO (Yermak ha affermato che l’Ucraina ha bisogno della NATO, ma la NATO ha bisogno dell’Ucraina…), Rasmussen ha auspicato che Kiev venga invitata nel corso del prossimo summit di Washington perché il non parlare della futura membership durante il conflitto offre di fatto a Putin il potere di veto per evitarla. Inoltre, sempre secondo Rasmussen, la membership ucraina sarebbe un deterrente per Putin che avrebbe timore di provocare l’applicazione della clausola della difesa collettiva (il famigerato Art.5).
Per scongiurare un conflitto diretto tra NATO e Russia sarebbe sufficiente fornire garanzie di sicurezza a quest’ultima. Sfortunatamente, se dovessimo giudicare l’efficacia dei meccanismi delle garanzie di sicurezza sulla base di quelle che la comunità internazionale aveva sottoscritto con Mosca con gli accordi di Minsk, le prospettive non sarebbero molto rosee, senza contare che la Russia non accetterà mai la presenza di uno stato “ostile” direttamente confinante. Ricordiamoci che l’Ucraina neutrale, fuori dalla NATO e dalla UE è uno degli obiettivi strategici di Mosca.
Come sappiamo, non esiste un punto di vista condiviso tra i paesi dell’Alleanza su questo argomento e speriamo che in futuro prevalga il buon senso. “La Germania garantirà il proprio supporto per l’adesione dell’Ucraina alla NATO”? ha chiesto un membro del Parlamento di Kiev a Olaf Scholz. Il Cancelliere ha eluso l’argomento limitandosi a elogiare il sacrificio degli ucraini e a ribadire che il tema viene trattato di concerto con gli alleati.
Ma la pace no?
È singolare che l’elenco di “tutto quello che serve all’Ucraina” non comprenda la pace e l’avvio di negoziati dal momento che gli sviluppi degli eventi sul campo di battaglia non fanno affatto sperare ad un esito favorevole per Kiev nonostante il Presidente Zelensky, il capo dell’ufficio del presidente Yermak, e il Ministro degli esteri Kuleba continuino a parlare di vittoria.
Ian Bremmer, Presidente di Eurasia Group, celebre think-tank statunitense, in una delle conferenze stampa di apertura della Conferenza di Monaco ha affermato che “la divisione dell’Ucraina è un fatto non giusto ma inevitabile”, poiché sussiste una generale consapevolezza che gli ucraini non potranno mai più riconquistare il territorio che hanno perso. Non mi sembra che questa dichiarazione sia stata ripresa dalla stampa internazionale più accreditata (è una voce dissonante…), ma esprime esattamente la situazione nella quale ci troviamo.
Curiosamente, il messaggio politicamente più rassicurante è stato quello del Ministro degli Affari esteri della Repubblica popolare cinese Wang Yi (nella foto sopra). “La Cina sarà fonte di stabilità nel mondo e promotrice della collaborazione con le nazioni più importanti”. Così il ministro ha iniziato il suo discorso a Monaco. Parole ricorrenti: imparzialità, riconciliazione, consenso, mediazione, sforzo comune. Tutti i tentativi di ottenere la pace (specie in Ucraina) devono essere supportati. Opportunisti o meno (ognuno la pensi come crede sul ruolo di Pechino Cina nel mondo) i cinesi hanno bisogno di stabilità e certezze a livello mondiale. Ma noi europei no?
Foto MSC
Maurizio BoniVedi tutti gli articoli
Nato a Vicenza nel 1960, è stato il vice comandante dell'Allied Rapid Reaction Corps (ARRC) di Innsworth (Regno Unito), capo di stato maggiore del NATO Rapid Reaction Corps Italy (NRDC-ITA) di Solbiate Olona (Varese), nonché capo reparto pianificazione e politica militare dell'Allied Joint Force Command Lisbon (JFCLB) a Oeiras (Portogallo). Ha comandato la brigata Pozzuolo del Friuli, l'Italian Joint Force Headquarters in Roma, il Centro Simulazione e Validazione dell'Esercito a Civitavecchia e il Regg. Artiglieria a cavallo a Milano ed è stato capo ufficio addestramento dello Stato Maggiore dell'Esercito e vice capo reparto operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma. Giornalista pubblicista, è divulgatore di temi concernenti la politica di sicurezza e di difesa.