Perdite ucraine in aumento e forniture occidentali agli sgoccioli mentre i russi avanzano

 

L’Europa è riuscita a superare le resistenze ungheresi e a stanziare 50 miliardi di euro per sostenere nei prossimi anni l’Ucraina sul piano militare ma anche economico e sociale. Denaro che si unisce ai fondi previsti per il sostegno militare e umanitario a Kiev da accordi bilaterali tra l’Ucraina e nazioni aderenti a UE e NATO mentre sembrano potersi sbloccare presto anche i fondi statunitensi al centro di un braccio di ferro in atto al Congresso.

Da Washington come da Bruxelles si discute di denaro da fornire all’Ucraina ma non sembra emergere quale strategia e obiettivi simili investimenti debbano sostenere. Quale obiettivo perseguono USA e UE in Ucraina? Alimentare un conflitto infinito che sta già distruggendo l’Ucraina e logorando sul piano economico, politico e sociale l’Europa oppure sostenere Kiev per indurla a negoziare una pace dignitosa con Mosca? Domanda a cui nessuno finora in Occidente sembra in grado di rispondere né si può ragionevolmente credere che siano il governo ucraino, il parlamento di Kiev o il presidente Zelensky ad essere padroni dei destini della nazione.

In attesa che a Washington si elabori un compromesso tra democratici e repubblicani, i fondi europei stentano a trasformarsi in armi e munizioni quanto mai necessarie alle forze di Kiev per la ragione che l’Europa ha di fatto esaurito le forniture che avrebbe potuto cedere all’Ucraina senza Disarmare i propri eserciti. Lo dimostra chiaramente il crollo verticale degli aiuti militari certificato negli ultimi mesi dello scorso anno dal Kiel Institute (nel grafico qui sotto) come anche le ultime notizie circa gli scarni aiuti forniti dai singoli stati e l’imbarazzo dei vertici UE per la consegna di appena un terzo del milione di munizioni d’artiglieria promesse nel marzo 2023.

Nonostante gli appelli dei vertici dell’Unione a velocizzare la produzione e la consegna di munizioni a Kiev, nella migliore delle ipotesi entro marzo verrà raggiunta quota 524.000 proiettili, circa la metà di quanto promesso, tenuto conto che tutti gli eserciti d’Europa devono rimpinguare le scorte dopo averle cedute alle forze ucraine. Che la UE navighi a vista anche nel delicato settore degli aiuti militari a Kiev lo si evince anche dal paradossale appello rivolto il 5 febbraio dall’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell agli stati membri.

Per Borrell il problema nel fornire munizioni d’artiglieria all’Ucraina “non è la mancanza di capacità produttiva” in Europa, bensì il fatto che “una parte importante della nostra produzione viene esportata verso Paesi terzi. Ho spiegato ai miei colleghi ministri che il modo più rapido e meno costoso di aumentare la fornitura di munizioni all’Ucraina è di smettere di esportarle verso Paesi terzi. Solo gli Stati membri possono farlo e questa è stata la mia richiesta. Il miglior modo per donare o vendere più munizioni all’Ucraina – ha continuato Borrell – è dire agli altri Paesi ‘per favore, voi non siete in guerra, potete aspettare qualche mese’ e deviare la produzione verso l’Ucraina”.

Valutazioni semplicistiche che non tengono conto di aspetti e regole fondamentali per l’industria come il rispetto dei termini contrattuali e la necessità di soddisfare le richieste del cliente anche per evitare di perderlo e “regalarlo” alla concorrenza, sempre più agguerrita nel settore del munizionamento con l’affermarsi di nazioni “emergenti”.

Non a caso gli Stati Uniti non hanno certo ridotto l’export della Difesa o tagliato i relativi contratti da quando devono rifornire l’Ucraina: anzi lo hanno incrementato nel del 16% (raggiungendo nel 2023 la cifra record di 238,4 miliardi di dollari) potenziando le capacità produttive della loro industria.

Inoltre i programmi europei di potenziamento delle capacità produttive di munizionamento devono puntare necessariamente ad ampliare anche l’export per poter sostenere lo sforzo a lungo termine poiché le pressanti richieste emerse negli ultimi 18 mesi potrebbero ridimensionarsi o venire meno il giorno in cui il conflitto ucraino dovesse terminare e le tensioni tra Occidente e Russia raffreddarsi o placarsi.

In questo contesto per aiutare l’Ucraina il grosso delle munizioni disponibili viene prelevato dagli stock esistenti come quelli greci. Atene si è resa disponibile su richiesta statunitense a cedere a Kiev munizioni scadute o in procinto di scadere che dovrebbero venire smantellati a breve. Lo ha annunciato il 30 gennaio il ministro della Difesa Nikos Dendias. “Ci sono munizioni che scadranno nel prossimo futuro. Dovremo comunque sostituirle prima o poi, e forse saranno vendute. Ciò porterà molte entrate alle forze armate greche, e ne abbiamo bisogno”, ha detto. Denmdias valuta che la Grecia potrebbe ricevere “decine di milioni di euro” in caso di rivendita delle munizioni all’Ucraina.

Il 9 gennaio il segretario di Stato americano Anthony Blinken, durante la sua visita in Grecia (che ha anticipato il via libera ad ampie forniture militari inclusi 40 aerei da combattimento F-35A) aveva chiesto al primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis di fornire all’Ucraina nuove spedizioni di armi. Alla fine di novembre del 2023 il giornale Ekathimerini ha riferito che gli Stati Uniti stavano discutendo con la Grecia la vendita di un totale di 75mila proiettili di artiglieria dalle scorte delle forze armate greche come parte del rifornimento di munizioni ucraine. Secondo la pubblicazione, Washington prevede di acquistare 50mila proiettili calibro 105 mm, 20mila proiettili calibro 155 mm e 5mila proiettili più grandi di calibro 203 mm per un costo di circa 47 milioni di dollari.

Il 30 gennaio il Wall Street Journal aveva reso noto un altro programma per fornire munizioni d’artiglieria da 155mm a Kiev guidato dalla britannica BAE Systems che intendeva commissionarne la produzione all’industria giapponese con ordini per le forze armate britanniche che Londra avrebbe poi girato all’Ucraina. Il Regno Unito aveva inizialmente valutato la possibilità di acquistare proiettili dalla compagnia giapponese Komatsu ma ha poi scartato tale possibilità prima ancora di discuterla formalmente con Tokyo, a causa dello scarso volume produttivo dell’azienda giapponese.

Gli Stati Uniti hanno raddoppiato con successo la produzione nazionale portandola a circa 30mila proiettili al mese, numeri in ogni caso non sufficienti a sostenere le esigenze belliche in Ucraina dove le forze di Kiev impiegano 6/9 mila proiettili d’artiglieria al giorno e i russi alche più del doppio. Secondo il ministro delle Industrie Strategiche Oleksandr Kamyshin “oggi abbiamo una guerra con ritmi tali che l’intera capacità del mondo libero non è sufficiente a sostenere il nostro consumo. Non possiamo assolutamente farcela senza aiuto”.

 

Le ultime forniture

Tra le più recenti forniture giunte in Ucraina o annunciate dagli alleati vi sono le nuove bombe di precisione a lungo (140 chilometri) raggio Boeing/Saab Ground-Launched Small Diameter (GLSD) promesse dal Pentagono secondo quanto rivelato dal giornale web Politico e che dovrebbero esser5e già arrivate in Ucraina per test sul campo.

Si tratta infatti di nuovi munizionamenti (nell’immagine qui sotto) non ancora in dotazione alle forze armate statunitensi che combinano la bomba d’aereo GBU 39 Small Diameter Bomb con il razzo M26 lanciabile dai lanciarazzi campali M142 HIMARS op M270 già forniti all’Ucraina.

Il 5 febbraio l’Olanda ha reso noto che metterà a disposizione dell’Ucraina altri 6 aerei da combattimento F-16A/B radiati dopo l’ingresso in servizio dei nuovi F-35° e che avrebbero dovuto essere venduti alla società privata di servizi di addestramento aereo Draken International. Salgono così a 18 gli aerei promessi dall’Aja.

La Germania ha annunciato il 24 gennaio che fornirà per la prima volta all’Ucraina 6 elicotteri Westland Sea King MK41 già appartenuti alla Marina Tedesca che li acquisì nel 1972 e li sta sostituendo con i nuovi NH-90. La Marineflieger (aviazione di Marina) dispone di 22 Sea King di cui la metà era ancora in servizio con compiti di ricerca e soccorso.

Gli elicotteri si aggiungeranno presumibilmente ai 3 Sea King donati da Londra alla Marina Ucraina e verranno consegnati a Kiev dal secondo trimestre del 2024. La consegna include anche un “accessori, pezzi di ricambio e supporto alla formazione degli equipaggi e dei tecnici ucraini. Per il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, il Sea King MK41 “aiuterà gli ucraini in molti settori: dalla ricognizione sul Mar Nero al trasporto delle truppe”.

Il 9 febbraio il ministero della Difesa norvegese ha proposto di fornire all’Ucraina ulteriori sistemi di difesa aerea terrestre a corto e medio raggio NASAMS chiedendo al parlamento di autorizzare l’ordine a Kongsberg Defence and Aerospace (KDA) per altri 10 lanciatori e 4 stazioni di controllo per un costo di 302 milioni di euro con consegne previste nel 2027.

Infine il Kuwait ha accettato di trasferire in Croazia oltre 150 carri armati di costruzione M84A/B (versione jugoslava del T-72), quanto resta di una commessa da 500 milioni di dollari che alla fine del 1991 (subito dopo la liberazione dell’emirato dagli iracheni) vide l’acquisto di 170 carri armati oltre a 15 tank officina e 15 carri comando.

I mezzi corazzati verranno rimessi in con dizioni operative e ammodernati prima di venire consegnasti all’Ucraina. Questa commessa conferma le difficoltà degli alleati a fornire materiale bellico moderno occidentale a Kiev, condizione che impone4 di cercare di reperire sul mercato internazionale prodotti di tipo russo/sovietico o derivati. I primi M-84 sono già arrivati in Croazia a bordo di autocarri pesanti civili trasferiti dalla Slovenia dove probabilmente sono sbarcati per raggiungere gli stabilimenti Duro Dakovic  di Slavonski Brod. La Croazia aveva già ceduto a Kiev due aerei da trasporto tattico Antonov An-32B.

 

La situazione sul terreno

Sul campo di battaglia i russi continuano a premere su quasi tutti i fronti, da Zaporiozhia a Donetsk fino a Lugansk e Kharkiv, avanzando quasi quotidianamente, lentamente ma progressivamente. Sempre più difficile per gli ucraini la situazione nella roccaforte di Avdiivka, il caposaldo più fortificato del Donbass. Da tempo i russi hanno quasi circondato la città avanzando in profondità a nord e a sud di essa tagliando le linee di rifornimento e bersagliando la guarnigione ucraina che deve difendere un fronte troppo esteso ed è bersagliata da ogni direzione con perdite molte elevate.

Vitaliy Barabash, capo dell’amministrazione militare di Avdiivka, ha riferito l’8 febbraio che “nelle ultime 24 ore ci sono stati più di 50 massicci bombardamenti, dal primo gennaio sul solo territorio della città sono stati più di 800. Il nemico preme da tutte le direzioni. I russi ci stanno prendendo d’assalto con forze molto estese. Non c’è un solo edificio che non sia stato colpito in città e non esiste un posto dove ci si possa rifugiare”.  Il 6 febbraio lo stesso Barabash aveva ammesso che in alcune parti della città la situazione è “critica” a causa dei continui bombardamenti russi e delle incursioni delle forze di Mosca. “Per diverse settimane dicevamo che la situazione era molto difficile ma sotto controllo, ora la situazione è molto difficile e in alcuni luoghi critica, ha sottolineato.

Il giorno prima le truppe russe sono penetrate in città dalla ziona industriale e da nord mettendo a rischio l’ultima via di comunicazione logistica per le truppe ucraine, da cui le truppe russe distano meno di 700 metri. Difficile quindi per gli ucraini evitare che la più grande e fortificata piazzaforte del Donbass segua lo stesso destino di Bakhmut, Soledar e le altre città conquistate dai russi ma il rischio è che, sconfitta dopo sconfitta, l’esercito di Kiev sbandi sotto i colpi del nemico e per le difficoltà a ricevere aiuti, rifornimenti e rimpiazzi lasciando ai russi la possibilità di conseguire ulteriori successi.

Per evitare la caduta di Avdiivka l’esercito ucraino sta facendo affluire rinforzi da Lastochkino, Orlovka e Semenovka (lungo strade che sono però esposte al fuoco russo) e non è escluso che Kiev ordini una controffensiva su vasta scala per liberare la città dall’accerchiamento. Nelle ultime ore le forze armate ucraine hanno annunciato che Mosca sta inviando unità corazzate e di forze speciali verso Avdiivka.

Il 5 febbraio il ministro degli Interni Ihor Klymenko ha riferito che le forze russe hanno lanciato più di 1.500 attacchi contro l’Ucraina la settimana precedente, con un aumento di quasi il 25% rispetto a quelle settimane passate. Con attacchi a più di 570 insediamenti, la maggior parte dei quali nella regione di Zaporizhia dove i russi stanno respingendo gli ucraini dalle posizioni acquisite durante la controffensiva dell’anno scorso.

A fine gennaio i russi hanno conseguito progressi anche a ovest di Bakhmut dove i paracadutisti russi hanno conquistato diverse postazioni nemiche nell’area di Bogdanovka mentre nella regione nord-orientale ucraina di Karkhiv hanno presso il controllo di Tabaevka, continuando ad avanzare verso Kupyansk. Più a sud , nel settore di Ugledar i russi sono entrati a Novomikhailovka e avanzano ai lati del centro abitato mettendo in difficoltà il fronte ucraino.

Il 10 febbraio il ministero della Difesa russo ha annunciato ulteriori progressi in quattro settori. “Nel settore di Kupiansk (regione di Kharkov) durante la settimana le unità del Gruppo Occidentale hanno occupato posizioni migliori e hanno respinto 36 attacchi nemici”, ha indicato il comando russo. Inoltre, nel settore di Liman, nella regione di Lugansk, “le forze del Gruppo Tsentr (Centro) hanno migliorato le loro posizioni in prima linea e, in coordinamento con l’aviazione e l’artiglieria, hanno respinto 14 attacchi nemici”, ha indicato la Difesa.

Nel settore di Donetsk, “le unità Del gruppo Yuzhni (Sud) hanno occupato alture e posizioni più vantaggiose respingendo 26 attacchi nemici” nelle vicinanze di cinque località di questa regione uccidendo 2.190 militari ucraini.  Anche nel settore meridionale di Donetsk, vicino alla regione di Zaporizhia, le forze russe hanno migliorato le loro posizioni e respinto 5 attacchi nemici.

 

Gli attacchi ucraini alla Crimea

Alle difficoltà sui campi di battaglia si aggiungono i massicci raid in profondità condotti con missili e droni-kamikaze a lungo raggio i quali i russi bersagliano depositi, stabilimenti che producono armi e munizioni e gli hotel che a Kharkiv ospitano diversi reparti di volontari stranieri. Le operazioni in profondità hanno permesso anche a Kiev di conseguire successi. Al di là delle azioni di droni-kamikaze in territorio russo, sono soprattutto i missili da crociera Storm Shadow/SCALP e i droni navali di superficie ad aver consentito agli ucraini di colpire ancora una volta la Crimea.

Proprio nella penisola gli ucraini hanno conseguito i più recenti successi a fine gennaio con un attacco aereo e navale contro gli aeroporti russi e la motovedetta lanciamissili Ivanovets (nella foto sotto), della classe Tarantul II (Projekt 1241 Molnya) risalente agli anni 80.

Secondo ricostruzioni russe l’attacco del 31 gennaio è stato preceduto da numerose missioni di 4/6 aerei radar e da guerra elettronica delle nazioni nello spazio aereo rumeno orientale e sul Mar Nero con l’obiettivo di individuare i bersagli e probabilmente disturbare la rete radar di difesa aerea russa in Crimea: a queste missioni avrebbero partecipato gli statunitensi UAV RQ-4 Global Hawk, velivoli Boeing RC 135 e P-8 Poseidon ma anche un aereo dell’Aeronautica militare Italiana Gulfstream G550 CAEW del 14° stormo di Pratica di Mare, secondo i rilevamenti di Italmilradar (nella foto sotto).

Gli attacchi aerei del 31 gennaio contro gli aeroporti russi in Crimea hanno visto due ondate di Su-24M della base di Starokostantinov armati di missili da crociera SCALP/Storm Shadow scortati da alcuni Su-27 e Mig 29 equipaggiati decollarti da Kanatovo con missili anti-radar AGM.88 HARM e di esche per le difese aeree ADM-160 MALD.

Secondo fonti russe i 6 missili Storm Shadow sarebbero stati tutti abbattuti tutti i missili risultano abbattuti mentre altri 6 lanciati da Su-24 che sorvolavano il Mar Nero sarebbero stati anch’essi abbattuti tranne uno che sarebbe caduto nei pressi dell’aeroporto.

Gli ucraini sostengono invece di aver colpito la base aerea militare russa distruggendo almeno tre velivoli anche se le immagini rese note (qui sotto) non permettono di comprendere se l’area colpita ospitasse veri aerei o solo simulacri e profili dipinti sulla pista, escamotage utilizzati da tempo dai russi (ma anche dagli ucraini) per ingannare il nemico.

Per il colonnello Yurii Ihnat, portavoce dell’aeronautica ucraina, “la migliore conferma sono naturalmente le immagini satellitari disponibili su Internet, dovesi può vedere qualcosa. Ma una conferma ancora migliore sono i necrologi apparsi sui media russi, il fatto che loro stessi ammettano il danno e diano informazioni in proposito. Come minimo vi erano lì tre aerei e alcuni membri del personale sono stati uccisi. A quanto scrive su X Anton Gerashchenko, consigliere del ministero ucraino dell’Interno, canali Telegram russi riferiscono che nell’attacco all’aeroporto di Balbek è stato ucciso il generale Alexsandr Taranenko, comandante della brigata aerea.

Più degli aerei eventualmente colpiti, a Belbek è stato attaccato il centro di comunicazione gestito dall’Unità 80159 e secondo il bollettino attribuito quotidianamente all’intelligence britannico, l’attacco “degrada la capacità della Russia di coordinare l’attività aerea nel Mar Nero” che ora dipenderà sempre più dalla flotta “già in difficoltà” degli aerei radar da allarme e controllo A-50 Mainstay e da “un’ormai ridotto personale addestrato a dirigere le operazioni dell’aviazione”.

“La dottrina aerea russa- si legge- si basa in gran parte su stazioni di controllo terrestri come quella di Balbek per coordinare i suoi asset aerei, in particolare i caccia. Ciò accade particolarmente durante il conflitto in corso, dove lo spazio aereo è contestato e diventa sempre più complesso” sostiene il bollettino.

Nella notte del e 31 gennaio 9 droni navali di superficie ucraini hanno raggiunto l’ingresso del lago Donuzlav (allego carta) dove si trovava la motovedetta lanciamissili Ivanovets (nella foto sopra) che è stata colpita più volte con l’esplosione dei 4 missili antinave P-270 Moskit imbarcati. Nonostante i successi conseguito colpendo basi, navi e cantieri in Crimea con i missili da crociera anglo-francesi, la Marina Ucraina non è in grado di assumere il controllo del Mar Nero (dal maggio 2023 non dispone di navi più grandi delle piccole motovedette fornite dagli Stati Uniti) ma solo di indurre i russi a spostare a est, nel porto di Novorossysk, la gran parte della Flotta del Mar Nero per sottrarla ai missili.

La Marina russa ha sventato il 9 febbraio “un tentativo di attacco” da parte di Kiev “contro navi da trasporto civili” con l’uso di imbarcazioni semisommergibili senza equipaggio nella regione sud-occidentale del Mar Nero. Il ministero della Difesa russo ha riferito che la Marina ha utilizzato motovedette e aerei di flotta per fermare l’attacco e nessuna nave da civile o militare è stata danneggiata.

Gli attacchi in profondità ucraini, contro la Crimea o il territorio russo, hanno quindi un impatto rilevante sul piano psicologico ma non sembrano influire sull’andamento delle operazioni lungo la linea del fronte che vedono i russi mantenere l’iniziativa conseguendo progressi.

 

Le perdite

Il tema delle perdite in questo conflitto resta una grande incognita poiché non vi sono dati ufficiali resi noti dai belligeranti e quelli annunciati appaiono poco credibili, come abbiamo in più occasioni sottolineato.

Appare chiaro che i caduti siano tanti su ambo i lati della barricata ma quanti siano è difficile dirlo. Di certo il tasso di perdite mette in difficoltà più gli ucraini dei russi come si evince anche dal dibattito in corso a Kiev per aumentare il reclutamento presso una società che da tempo a smesso di mandare figli e mariti ad arruolarsi volontari per combattere i russi.

Se gli ucraini vantano in questi giorni di aver ucciso in quasi due anni di guerra 395.200 mila soldati russi, molte indiscrezioni sfuggite anche da fonti militari di Kiev riportano di circa mezzo milione di caduti ucraini (probabilmente contando morti e feriti gravi) che oggi sono in gravi difficoltà per la carenza di truppe dopo il fallimento della controffensiva che secondo fonti russe ha determinato tra giugno e novembre perdite superiori a 20 mila morti e feriti al mese.

Il 2 febbraio il ministro della Difesa Sergei Shoigu ha riferito che in gennaio oltre 23 mila militari ucraini sono stati feriti o uccisi. Benché il tema resti riservato, per i potenziali impatti sul fronte interno e il morale, qualche giorno prima, il 26 gennaio, il leader del partito ucraino Servitore del Popolo, Davyd Arakhamia ha dichiarato che nel corso del conflitto con la Russia l’Ucraina ha perso meno di centomila militari.  Il deputato ha detto di aver suggerito al presidente del Paese, Volodymyr Zelensky, di declassificare i dati sulle perdite dell’Ucraina in guerra. Secondo Arakhamia, il capo dello Stato “non ha ancora preso una decisione” in merito.

Improbabile però che i morti siano così pochi: 100 mila caduti militari è lo stesso numero sfuggito in una dichiarazione pubblica a fine novembre del 2022 al presidente della Commissione UE  Ursula von der Leyen, poi duramente redarguita dal governo di Kiev  al punto da condurla a cancellare dal video il passaggio in cui parlava delle perdite ucraine. Il 5 settembre 2023 Shoigu riferì Shoigu le perdite inflitte al nemico, ma non quelle sofferte dalla Russia, dall’inizio della controffensiva il 4 giugno parlando di 66.000 caduti ucraini.

Il canale Telegram ucraino WarTears al 24 agosto stimava i caduti ucraini dal 24 febbraio 2022 in 250 mila (saliti poi a 338mila a fine dicembre) mentre nell’agosto 2023 alcuni canali Telegram militari russi hanno evidenziato un video dell’operatore di telefonia mobile ucraino Kyivstar che, chiedendo una donazione a favore delle forze armate, esortava a mandare un messaggio a un militare evidenziando che “400 mila eroi non risponderanno mai più al telefono”. Il video venne rapidamente rimosso dalla rete poco dopo.

Un numero uguale a quello reso noto dal canale Telegram DD Geopolitics che al 14 gennaio 2024 riferiva di oltre 400 mila necrologi pubblicati relativi a caduti militari in Ucraina. Altre fonti hanno fornito numeri e valutazioni che sembrano confermare gravi perdite e difficoltà ucraine a rimpiazzare i caduti e i feriti. Vyacheslav Chaus, capo della amministrazione militare della regione di Chernigov ha ammesso che la regione ha perso 50mila uomini. In una intervista alla Neue Zürcher Zeitung il tenente generale tedesco Andreas Marlow ha affermato che la gran parte dei militari professionisti che componevano le forze armate Ucraine all’inizio dell’invasione russa sono  morti o feriti e che ora ad addestrarsi in Germania arrivano solo reclute e riservisti praticamente privi di conoscenze ed esperienza.

L’ex procuratore generale Yuriy Lutsenko il 7 gennaio ha riferito al canale TV Pryamoy di perdite pari a 30mila morti e feriti gravi al mese per un totale di mezzo milione da inizio guerra mentre il dottor Sergii Ryzhenko ha detto ad ABC News l’11 gennaio che il solo ospedale Mechnikov a Dnipro riceve da 40 a 100 feriti al giorno gravemente feriti e le equipe mediche fanno altrettante operazioni molte delle quali purtroppo sono amputazioni.

Secondo l’Associazione dei chirurghi militari americani, solo il 25 per cento dei militari Ucraini feriti e soccorsi mediante lacci emostatici ne aveva effettivamente bisogno. L’uso improprio dei lacci emostatici costa più arti e vite di quanti in realtà non ne salvi a causa del limitato addestramento del personale di primo soccorso in prima linea e soprattutto del fatto che il tempo minimo di evacuazione di un ferito dalla prima linea è di 6 ore. In gennaio Negli scorsi giorni il presentatore TV ucraino Daniel Yanevsky, intervenuto ad una trasmissione di Natalya Moseychuk ha affermato che “Le forze Ucraine hanno tra i mille ed i milleduecento feriti che vengono ricoverati in ospedale ogni giorno”.

Considerando l’attuale netta superiorità russa in termini di armi, munizioni e truppe è molto probabile che le perdite ucraine siano complessivamente molto più alte di quelle sofferte dai russi , almeno nell’ultimo anno di guerra, ma in ogni caso tali perdite stanno inficiando la possibilità delle forze di Kiev di tenere un fronte di oltre mille chilometri tenuto conto che i russi colpiscono in profondità le infrastrutture militari e industriali con missili e droni.

“Dall’inizio dell’anno la Russia ha lanciato oltre 330 missili di vario tipo e circa 600 droni da combattimento sulle città ucraine” ha scritto il 30 gennaio su X il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

 

Una nuova narrazione occidentale?

Non è quindi casuale che il 27 gennaio il Washington Post abbia rivelato che l’amministrazione Biden, finora incapace di illustrare al Congresso quali obiettivi intenda perseguire e quale strategia voglia applicare nel conflitto in Ucraina, punti a modificare la narrazione del conflitto abbandonando l’obiettivo della riconquista dei territori occupati dai russi per puntare invece su un approccio difensivo.

Fonti dell’amministrazione USA, come di consueto anonime, hanno riferito al WP (ripreso in Italia da Agenzia Nova) l’indirizzo del nuovo approccio, elaborato dopo il fallimento della controffensiva lanciata l’anno scorso dall’Ucraina. “E’ abbastanza evidente che sarà difficile per Kiev spingere i russi su tutti i fronti nel 2024, come hanno invece tentato di fare lo scorso anno” aggiungendo che ora è necessario fare in modo che l’Ucraina sia in grado di “mantenere la propria posizione sul campo, rafforzandola entro la fine dell’anno in maniera sostenibile nel lungo periodo”.

Secondo le fonti citate, in primavera l’amministrazione Biden renderò noto un documento per descrivere gli impegni nei confronti di Kiev da qui a dieci anni, in previsione dell’approvazione da parte del Congresso dei nuovi fondi chiesti dalla Casa Bianca per continuare a fornire assistenza militare all’Ucraina.

Meno ottimista il direttore dell’intelligence militare norvegese Nils Andreas Stensoenes, che nel rapporto annuale valuta che “in questa guerra la Russia è al momento in una situazione più forte rispetto a un anno fa e sta guadagnando terreno. Potrebbe mobilitare circa tre volte più truppe dell’Ucraina e si sta adattando meglio del previsto alle sanzioni”.

Secondo Stensoenes l’industria della Difesa russa è ora in grado di produrre munizioni, veicoli da combattimento (nella foto sopra), droni e missili. consentendo alle sue forze di “mantenere lo sforzo bellico tutto l’anno”. La Russia, ha detto, beneficia del sostegno militare della Corea del Nord, dell’Iran, della Bielorussia e della Cina, che non ha fornito armi ma “macchine, veicoli, elettronica e pezzi di ricambio” utili all’industria degli armamenti russa. “Saranno necessari sostanziali aiuti occidentali in armi affinché le forze ucraine possano difendersi e riprendere l’iniziativa nel conflitto”, ha insistito, ricordando il fabbisogno di munizioni, armi a lungo raggio, difesa antiaerea, carri armati e aerei da combattimento.

Per il ministro della Difesa norvegese Bjorn Arild Gram “la Norvegia e l’Europa devono essere pronte ad assumersi maggiori responsabilità per garantire la propria sicurezza e quella dei loro alleati”.

@GianandreaGaian

Foto: Saab, Ministero Difesa Russo, Ministero Difesa Ucraino, RIA Novosti e Italmilradar

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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