Due anni di guerra in Ucraina tra crisi di nervi e pericoli per l’Europa
La guerra iniziata poco più di due anni fa (o, meglio, dieci anni fa) tra Russia e Ucraina è arrivata ad un punto di svolta importante, sul campo, ma anche sotto il profilo politico.
Vale quindi la pena di ricapitolarne lo svolgimento date le accelerazioni imprevedibili che potrebbero accadere e che, fino a un paio d’anni fa, non sarebbero state neppure ipotizzabili a meno di essere presi per pazzi.
La guerra, o se si vuole l’Operazione Militare Speciale, è iniziata con l’offensiva iniziale russa (22 febbraio 2022) che ha portato velocemente all’occupazione degli Oblast ucraini di Karkov, Zaporizhzhia e Cherson e di larga parte del territorio a nord della Capitale Kiev e negli Oblast di Chernihiv e Sumy. E’ in questa fase che si è avuta già ad aprile 2022 la caduta di Mariupol, la prima vera battaglia tra le forze in campo, mentre altre città, come Melitopol, Berdiansk, e Cherson passavano di mano senza troppi problemi.
Nonostante i toni sorprendentemente bellicosi adottati imprevedibilmente da tutte le leadership europee, con più di un sorprendente ribaltamento di 180° rispetto a posizioni di pochi mesi prima, rimaneva ancora forte la speranza di una trattativa che salvasse la pace e anche l’industria continentale, legata a doppia mandata al rifornimento energetico dalla Russia.
Un primo tentativo di negoziato in Bielorussia faceva intravvedere qualche speranza nonostante l’uccisione di un delegato ucraino accusato di essere pro-Mosca; poco dopo toccava alla Turchia, grazie all’iniziativa di Erdogan che ha manifestato fin da subito una sua rimarchevole libertà di manovra rispetto alle linee di condotta della Nato.
In quest’ultimo contesto si arrivava addirittura ad un accordo che prevedeva come primo passo la ritirata russa dal settore settentrionale (Kiev, Chernihiv e Sumy), cosa che avveniva velocemente. Ma i negoziati improvvisamente si interruppero a causa dell’affare Bucha e della pressione esercitata dal Premier britannico Boris Johnson, recatosi a Kiev per esortare Zelensky a continuare, affermando che era giunto “il momento della gloria”.
Iniziava così una seconda fase, che ha portato alle offensive ucraine a Karkov e a Cherson. A settembre 2022, infatti, i Russi venivano respinti dall’Oblast di Karkov dalla pressione di una potente puntata offensiva ucraina, condotta con un notevole impiego di forze. Non si erano verificati combattimenti significativi, ma per la Russia si è trattato di un grave colpo alla propria credibilità militare, con ovvie conseguenze sul morale.
Mosca correva quindi rapidamente ai ripari istituendo un comando unico delle operazioni: incredibilmente, infatti, non aveva ancora provveduto in tal senso, forse confidando in una guerricciola breve, da dirigersi direttamente dallo Stato Maggiore generale e da concludersi con un cambio di regime a Kiev, organizzato da tempo come rivelato da alcune inchieste giornalistiche.
Veniva così nominato comandante delle operazioni il generale Surovikin, precedentemente alla testa delle Forze Aerospaziali, che decideva immediatamente di abbandonare la città di Cherson e tutta la parte del relativo Oblast sulla riva destra del Dniepr per procedere ad un rafforzamento difensivo della linea di contatto. In questa fase, le truppe russe assumevano quindi una postura essenzialmente difensiva procedendo alla realizzazione di opere della fortificazione campale ed al minamento della linea del fronte: imponenti e stratificate strutture difensive che verranno poi definite la “linea Surovikin”.
Tra l’inverno e la primavera 2023 si avviava una nuova fase, con l’annuncio di una imminente controffensiva ucraina, accompagnato dalla pressante richiesta, da parte di Zelensky, di carri armati ai paesi occidentali. Carri che nell’immaginario occidentale dovevano rappresentare l’arma risolutiva contro “l’arretrato” esercito russo costretto a combattere con “le pale” e a rubare i chip dalle lavatrici per montarli sui propri missili.
Quello che ci siamo bevuti in quel periodo ha dell’incredibile!
Intanto, il mandato di arresto per Putin da parte della Corte Penale Internazionale metteva la pietra tombale su ogni possibilità di negoziato, relegando la soluzione agli esiti delle operazioni sul campo, sulle quali Zelensky puntava tutto, evidentemente rassicurato in merito dall’Occidente estremo. Invece, le forze russe concentravano i propri sforzi contro la città di Bakmuth (Artemovsk in russo) che cadeva nel maggio dello stesso anno dopo una battaglia durissima per entrambi i contendenti, nella quale Mosca aveva concentrato buona parte delle proprie migliori risorse in termini di unità, armi e munizioni. Fu in questo contesto che si cominciano a registrare le forti prese di posizioni di Prigozin, il Capo della Wagner, che avrebbe voluto un’ancora maggiore gravitazione delle risorse a favore del suo impegno per la conquista della città.
Ma il nuovo comandante in capo subentrato a Surovikin all’inizio dell’anno, il generale Gerasimov già Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate russe, da quest’orecchio non ci voleva sentire, probabilmente preso dall’esigenza di far fronte a una prossima controffensiva ucraina che, seppur ripetutamente annunciata, non partiva mai.
La controffensiva, infine, partiva a giugno 2023, andando però a sbattere contro il muro delle stratificate linee difensive predisposte dai Russi nel frattempo, di cui solo l’esterna, nell’Oblast di Zaporizhzhia a sud di Orikiv veniva intaccata con una penetrazione complessiva di circa 6-7 km e per un’ampiezza di 10 km, tra Robotinye e Verbove.
Venivano anche ridotti i salienti russi a nord e sud di Bakmut, ma senza interessare la città e soprattutto senza che si producesse un effetto anche lontanamente paragonabile alle ritirate di Karkov e Cherson. Insomma, le linee russe tenevano, tra lo sconcerto di tutto l’occidente, mentre gli Ucraini soffrivano grandi perdite tra le proprie truppe impiegate contro difese fortemente ancorate al terreno, nonché potenziate da una supremazia assoluta in termini di fuoco a tiro curvo e fuoco aereo.
Col sostanziale fallimento della controffensiva ucraina, nonostante gli ingenti rifornimenti di armi e munizioni da parte di tutti i paesi Nato, è infine iniziata quella che potremmo considerare la fase attuale, con i Russi passati all’offensiva lungo tutto il fronte, fino a conquistare al termine di una battaglia durata mesi l’abitato minerario di Avdiivka, a pochi chilometri da Donetsk.
La caduta della città a febbraio 2024 si conferma un passaggio importante e significativo, non essendo stata ottenuta mediante una superiorità locale russa ottenuta per sottrazione di risorse da altre parti del fronte, come nel caso di Bakmuth, ma esercitando una pressione costante ovunque, chiaro indizio di una superiorità generale indiscutibile.
A differenza di Bakmuth, inoltre, le forze russe non si sono accontentate di conquistare la città, ma hanno proseguito verso ovest con una penetrazione dell’ordine della decina di chilometri alla data in cui scrivo queste note, allontanando sempre più da Donetsk la minaccia della presenza ucraina.
Ma, appunto, in altri settori la pressione russa continua senza soste, a nord verso Kupiansk, a Terny, a Bakmuth stessa verso Ivanivske e Chasiv Yar, a Robotinye che sembra sul punto di passare ancora di mano. Gli Ucraini, a loro volta, hanno realizzato una testa di ponte a Krynky, sulla riva sinistra del Dniepr sotto controllo russo a nord est di Cherson, che potrebbe rappresentare una seria minaccia per le forze russe data la prossimità alla penisola di Crimea.
Ciò detto, fatti salvi eventuali ulteriori sviluppi, nel teatro terrestre, la caduta di Avdivka sancisce chiaramente la superiorità militare aeroterrestre russa nei confronti dell’Ucraina, cosa che era ampiamente prevedibile fin dall’inizio delle ostilità.
Peraltro, la situazione è diversa nel settore navale, dove grazie all’impiego di mezzi subacquei non pilotati di elevato livello tecnologico, nonché per merito di una intelligence troppo accurata e puntuale per essere solo farina del sacco di Kiev, sono state inflitte perdite alla Marina russa che Mosca non può ignorare.
Ovviamente la scansione in fasi sopradescritta corrisponde ai criteri soggettivi che possono cambiare a seconda della prospettiva di osservazione e ha quindi un valore relativo. Quella su cui invece credo che tutti possano convenire è la difficile congiuntura politica che si è venuta a creare a partire dal fronte interno ucraino.
Il sostanziale fallimento della controffensiva sul campo ha infranto indubitabilmente, infatti, il mito di una superiorità tecnologica occidentale che avrebbe già dovuto avere la meglio dello sforzo russo da almeno un anno e mezzo, a sentire molti “esperti” da talk show in questi ultimi due anni; ma ha anche innescato una situazione di crisi cronica all’interno della società ucraina, alla disperata ricerca di un successo che possa convincere i “donors” occidentali a continuare a rifornirla di grandi quantità di armi e munizioni.
Purtroppo per l’Ucraina, pare che il ricco occidente cominci ad essere in debito d’ossigeno al riguardo, vista anche l’altra guerra in Medio Oriente che incombe. Guerra nella quale, ahinoi, si ripropongono sostanzialmente gli stessi schieramenti dell’Ucraina, fatte le debite proporzioni.
In questa situazione obiettivamente difficile, l’eroismo dell’Esercito ucraino ha certamente salvato l’onore fronteggiando un avversario più forte ed altrettanto valoroso, ma non è stato sufficiente ad evitare il deteriorarsi del clima politico nazionale. Zelensky, infatti, si libera dell’ingombrante e carismatico comandante delle Forze Armate, generale Valery Zaluzhny, ingiustamente accusato della perdita di Bakmuth, Avdiivka e della fallita controffensiva ma anche di non risparmiare critiche al suo presidente, presentandosi quasi come suo competitore in un anno che avrebbe dovuto essere “elettorale”.
In realtà, entrambe le città erano indifendibili e Zaluzhny le avrebbe volute abbandonare prima per risparmiare le forze e assumere una postura difensiva. Ma la cosa non era in linea con la necessità di Zelensky di poter almeno fingere una “tenuta” del fronte a beneficio delle opinioni pubbliche occidentali e delle rassegnate elites europee. Resta il fatto che Zaluzhny viene trasferito a Londra, come Ambasciatore (o forse come futuro Presidente del Governo in esilio dopo la possibile caduta di Zelensky) mentre nel suo ruolo è avvicendato dal Gen.Syrs’kyj, già comandante dell’Esercito, di origine russa e con i genitori a Mosca, poco amato per le alte perdite imposte dalle sue scelte ai propri uomini in operazioni.
Una scelta che causa più di un malumore nei bassi ranghi con importanti conseguenze sul morale. La frettolosa e sanguinosa ritirata da Avdivka, disposta troppo tardi per queste ragioni, ha ben evidenziato i segni di questa crisi tattica e morale. Crisi morale che si rileva anche nella società civile, sempre meno entusiasta di una guerra che sembra non voler finire mai e di una mobilitazione continua nella quale non si va molto per il sottile nel rastrellare giovani e vecchi da mandare al fronte con prospettive di sopravvivenza marginali.
Ma quella che è più preoccupante è la crisi di nervi verificatasi nell’occidente a seguito del fallimento della controffensiva ucraina e della dimostrazione di forza russa in quest’ultima fase. Una dimostrazione di forza che non si limita all’impiego delle unità aeroterrestri e di una quantità impressionante di munizionamento di cui la produzione occidentale non riesce a tenere il passo; ma che è anche economica, con una imprevedibile e politicamente scorretta crescita del PIL russo nonostante sanzioni e taglio dei contatti con l’Europa che dovevano portare la Russia al default in pochi mesi, mentre il PIL dei paesi europei arranca.
E’ questo clima che ha portato il generale Lloyd Austin, Segretario alla Difesa USA, ad affermare che in caso di vittoria russa in Ucraina la NATO interverrà sul campo, impegnando senza averne titolo tutta l’Alleanza con la sua dichiarazione, ben al di fuori delle norme che la stessa si è data e senza che i singoli paesi abbiano preso posizione in merito; a questo proposito, non si può però non registrare l’eccezione di Macron, probabilmente indispettito dalla sostanziale sostituzione della presenza francese in Africa da parte della Wagner, che non esclude l’intervento diretto nel conflitto, anche se smentito da tutti i principali leaders europei.
Tra di essi, il Primo Ministro tedesco Olaf Scholz che, per rafforzare la contrarietà della Germania a una tale eventualità, si lascia scappare di non voler fare come britannici e francesi che sarebbero già presenti nel paese; giusto in tempo per farsi smentire da alti Ufficiali della sua aeronautica che vengono intercettati mentre discutono della necessità di usare i missili Taurus tedeschi per attaccare il Ponte di Kerk in Crimea.
Insomma, il re è nudo, a dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che la guerra non è mai stata semplicemente tra Ucraina e Russia, circostanza che invece ne avrebbe facilitato una conclusione negoziata da tempo. Putin, dal canto suo, nell’ambito di un lunghissimo intervento del 29 febbraio 2024 all’Assemblea Federale di Russia nel quale ha trattato a giro d’orizzonte tutti i principali problemi del paese nel lungo periodo, non ha perso l’occasione per ribadire i propri obiettivi in Ucraina, ricordando la capacità delle proprie armi di colpire anche l’Occidente se questo si intromettesse, con una rapida ma efficace elencazione delle principali tra quelle a disposizione, a cominciare dai missili ipersonici.
Insomma, ci troviamo in una contingenza delicatissima, con un’accelerazione continua verso la possibile catastrofe di una guerra che né la Russia né gli Stati Uniti possono perdere e che pare si limiti a stuzzicare la curiosità dei governanti europei, anziché le loro preoccupazioni per le rispettive popolazioni; e questo è il pericolo principale, visto che un’eventuale escalation militare si scaricherebbe sul nostro ignaro e ignavo continente e non sulla Luna come pare che alcuni ritengano.
Ne vedremo delle belle, o più probabilmente delle brutte temo, a meno che – per rimanere all’Aldiquà – non si rafforzino le posizioni di quanti in questi due anni hanno dato maggior prova di prudenza su questa guerra nel nostro continente. Per iniziare, vedremo cosa succederà negli Usa con le elezioni di novembre, anche se i precedenti non consentono di escludere nessuno scenario. Poi, ci sono le speranze che possiamo riporre nell’intervento dell’Aldilà. Ma questa è un’altra faccenda.
Foto: RIA Novosti, Telegram, Ministero Difesa Russo e Ministero Difesa Ucraino
Marco BertoliniVedi tutti gli articoli
Generale di corpo d'armata, attualmente Presidente dell'Associazione Nazionale Paracadutisti d'Italia, è stato alla testa del Comando Operativo di Vertice Interforze e in precedenza del Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali, della Brigata Paracadutisti Folgore e del 9° reggimento incursori Col Moschin. Ha ricoperto numerosi incarichi in molti teatri operativi tra i quali Libano, Somalia, Balcani e Afghanistan.