L’attentato a Mosca tra pista jihadista e ucraina
(aggiornato alle ore 11,45)
La strage al Crocus City Hall, nella città di Krasnogorsk, sembra abbia provocato 137 morti e oltre 180 feriti, secondo l’ultimo bilancio, tra le 6miila persone affluite nella sala a 20 chilometri da Mosca per assistere a un concerto. Le valutazioni circa le responsabilità e le conseguenze dell’attento compiuto da terroristi armati di kalashnikov e bombe incendiarie sono tutte da valutare considerato che le rivendicazioni effettuate dallo Stato Islamico non sembrano convincere Mosca.
Questi i fatti noti. Nel tardo pomeriggio del 22 marzo la sala concerti è stata messa a ferro e fuoco da 4 uomini con addosso mimetiche militari he dopo aver freddamente sparato sulla folla giustiziando i feriti rimasti a terra hanno abbandonato armi ed equipaggiamento riuscendo a dileguarsi a bordo di un veicolo Renault bianco.
L’attacco sembra sia stato ben pianificato e ha preso il via contemporaneamente nell’auditorium e nel foyer, dove le persone erano ancora in coda per entrare nella sala. L’incendio appiccato dai terroristi ha poi fatto crollare il tetto dell’edificio e i vigili del fuoco hanno impiegato ore a domarlo.
L’FSB (ex KGB) ha arrestato nella notte tra il 22 e il 23 marzo i quattro accusati di avere compiuto l’assalto (con altre sette persone presunti fiancheggiatori) nella regione di Bryansk, circa 350 chilometri a sud-ovest di Mosca, mentre si dirigevano verso il confine ucraino. I terroristi, tutti tagiki, viaggiavano ancora a bordo della stessa auto da cui erano stati visti allontanarsi dalla scena del crimine.
Il deputato Alexander Khinshtein, capo della commissione per la politica dell’informazione della Duma, ha affermato che a bordo sono stati trovati passaporti tagiki mentre secondo l’FSB i sospettati hanno cercato di fuggire verso il vicino confine con l’Ucraina, Paese nel quale avevano “contatti”.
In un video di tre minuti uno dei quattro arrestati ha ammesso in un primo interrogatorio sommario di avere accettato di partecipare all’azione per soldi (appena 5mila euro) dopo avere seguito online le “lezioni” di un “predicatore ma non avrebbe riferito di contatti in Ucraina.
I canali Telegram Baza e Mash hanno postato video e foto dei primi brutali interrogatori sommari degli arrestati. “Che cosa ci facevi al Crocus?”, chiede un uomo delle unità speciali a uno dei presunti attentatori, tenendolo per i capelli fermo a terra, faccia in giù, mentre lo registra con uno smartphone.
“Ho sparato”, risponde l’uomo. “A chi hai sparato?”, lo sollecita l’agente. “Alle persone”, dice l’interrogato. “Perchè l’hai fatto?”, lo incalza. “Per soldi”, confessa lui a voce bassa. Nel video pubblicato da Baza e rilanciato dal canale Telegram della direttrice della televisione Russia Today, Margarita Simonyan, l’arrestato dichiara di avere 26 anni, di aver accettato di partecipare all’attacco dopo avere ascoltato un mese fa le lezioni di un predicatore, di essere stato reclutato da un aiutante che gli ha offerto 500 mila rubli (circa 5.000 euro). Di cui 250.000 già pagati in anticipo. Nessun riferimento a eventuali contatti ucraini per la fuga dopo l’assalto.
Un altro degli arrestati che dapprima i canali Telegram russi fanno vedere con la testa e la faccia fasciate, ricoperto di sangue, tumefatto: lo stesso uomo che in un video pubblicato successivamente su X dal gruppo indipendente bielorusso Nexta e dal media russo Meduza viene mostrato mentre, tenuto fermo a terra in un luogo che sembra un bosco, gli tagliano un orecchio con un coltello e glielo infilano in bocca. Altre immagini shock fanno vedere un ragazzo, “di 19 anni, originario di Dushanbe in Tagikistan”, secondo i canali Telegram russi, con una ferita molto evidente all’occhio sinistro, supino e a terra, apparentemente privo di sensi.
Difficile verificare l’attendibilità di questi video diffusi peraltro da canali legati all’opposizione in Russia e Bielorussia. Fonti ufficiali alle 9 di mattino del 23 marzo hanno rivelato che tutti gli 11 arrestati sono provenienti dal Tagikistan, notizia smentita subito dal ministero degli Esteri di Dushanbe ma il giorno dopo Putin e il presidente tagiko Emomali Rahmon hanno avuto un colloquio telefonico
ISIS-Khorasan
Lo Stato Islamico si è attribuito la paternità della strage con una doppia rivendicazione, mostrando le immagini dei 4 terroristi (ma a volto coperto) e poi i video girati coi telefonini mentre compivano la strage. L’agenzia di stampa dello Stato Islamico, Amaq, su Telegram ha scritto: “L’attacco si inserisce nel contesto di una guerra furiosa tra lo Stato Islamico e i Paesi che combattono l’Islam” con un riferimento agli interventi militari russi in Siria e in Africa.
Da Washington fanno sapere di aver avvertito la Russia a inizio mese del rischio di attacchi da parte dell’ISIS-Khorasan, il ramo afghano dello Stato Islamico, mentre fonti di intelligence hanno riferito di aver ricevuto segnali di possibili attacchi “già da novembre”.
Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, Adrienne Watson, ha confermato che il governo statunitense aveva informazioni su un attacco pianificato a Mosca, cosa che aveva fatto scattare l’avvertimento del dipartimento di Stato ai cittadini americani, e ha sottolineato che Washington aveva condiviso le informazioni con le autorità russe in conformità con la sua politica di lunga data del “dovere di avvertire”.
“I combattenti dello Stato islamico hanno attaccato un grande raduno cristiano nella città di Krasnogorsk, alla periferia della capitale russa, Mosca, uccidendo e ferendo centinaia di persone e causando una vasta distruzione prima di ritirarsi in sicurezza nelle loro basi”, ha reso noto l’ISIS attraverso il suo canale Telegram. Il 3 marzo scorso, le forze di sicurezza russe avevano eliminato sei sospetti jihadisti in un’operazione in Inguscezia, nel Caucaso settentrionale, mentre il 7 marzo una cellula dell’Isis nella provincia di Kaluga, che intendeva attaccare una sinagoga a Mosca, era stata smantellata dal Servizio di sicurezza federale russo (FSB).
L’ISIS-Khorasan è attivo già dal 2014 in opposizione ai talebani e al governo di Kabul dell’epoca radunando membri di milizie afghane, pakistane e uzbeke. All’inizio del conflitto ucraino però l’ISIS -K aveva espresso la soddisfazione nel vedere due nazioni “infedeli” combattersi, come aveva raccontato Giampaolo Cadalanu sun Analisi Difesa nell’ottobre 2022.
All’epoca la rivista Voice of Khurasan pubblicata dalla fondazione Al Azaim, considerata il ramo mediatico ufficiale dell’Isis-Khorasan rilevava che in Ucraina “si combattono crociati contro crociati, gli infedeli si uccidono a vicenda, si invadono, dissacrano la santità dei popoli della croce. E dunque, come recita la sura Al Ma’idah del Corano, lasciamo che l’ostilità e l’inimicizia sorga tra loro fino al Giorno del Giudizio”.
L’ISIS-K interpretava lo scontro in Ucraina come una prima tappa di una conflagrazione molto più grande, dove “l’intero Occidente berrà dallo stesso amaro calice” offerto agli islamici: “Attacchi aerei, fosse comuni, grida di feriti, cadaveri insepolti, donne in lutto… tutto questo è tornato a essere uno spettacolo normale in Europa, anche se gli europei cercano, con tutte le forze, di evitare una ripetizione dell’Olocausto della seconda guerra mondiale. Ma ritornerà”.
Il Khorasan la “la terra del sole” che comprende parti dell’Afghanistan, del Pakistan e anche dell’Iran, ha colpito recentemente nel Baluchistan iraniano e raccoglie diversi miliziani ceceni, russi caucasici, ex sovietici e siriani a cui non mancano le motivazioni per colpire Mosca, alleata di ferro di Bashar Assad.
“L’ISIS-K e i suoi alleati mantengono un rifugio sicuro in Afghanistan e continuano a sviluppare le loro reti dentro e fuori il Paese”, ha affermato il generale Michael Kurilla dello US Central Command in un’audizione alla Camera di Washington ai primi di marzo. “I loro obiettivi non si fermano qui. Hanno invocato attacchi a livello globale contro chiunque non sia allineato con la loro ideologia estremista”.
Oggi è Sanaullah Ghafari, alias Shahab al-Muhajir, il leader del gruppo: secondo il Dipartimento di Stato USA, l’emiro è stato nominato nel giugno 2020 e dopo il ritiro statunitense dall’Afghanistan nel 2021, l’ISIS-K ha concentrato sempre più la sua attenzione sulla Russia, dove già era implicato in alcuni dei più grandi attacchi terroristici recenti.
Tra questi, l’attentato del 2017 nella metropolitana di San Pietroburgo che uccise 15 persone e ne ferì 45. Solo due settimane fa, i servizi d’intelligence russi hanno riferito di aver eliminato una cellula del Khorasan che pianificava un attacco contro una sinagoga proprio a Mosca.
Meglio non dimenticare che l’intero Stato Islamico, così come le sigle che si riconoscono in al-Qaeda e le milizie jihadiste di Cecenia, Daghestan e altre regioni caucasiche hanno ottime ragioni per colpire la Russia il cui intervento in Siria, nel settembre 2015, ha permesso alle truppe di Bashar Assad (che godevano anche dell’aiuto iraniano) di vincere La guerra civile e annientare molte formazioni jihadiste oggi ridotte a presidiare pochi “santuari” nella regione settentrionale.
ISIS o Ucraina?
A Mosca la rivendicazione dell’ISIS non sembra godere di molta credibilità. Dmitry Medvedev, vice capo del Consiglio di sicurezza nazionale, ha lasciato intendere che dietro l’attacco ci sia l’Ucraina e il portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha sottolineato che “negli ultimi anni il regime di Kiev ha condotto attività terroristiche attive e sistematiche contro i russi”, ricordando tra l’altro diversi “attentati contro personaggi pubblici e giornalisti”.
“Tutti e quattro autori diretti dell’attacco terroristico, tutti coloro che hanno sparato e ucciso persone, sono stati arrestati. Cercavano di nascondersi e si dirigevano verso l’Ucraina, dove, secondo le prime indagini, era stato predisposto un varco dal lato ucraino per attraversare il confine” ha detto il presidente russo Vladimir Putin nel suo videomessaggio sull’attacco terroristico.
Anche il servizio di sicurezza interna russo (FSB), citato dall’agenzia di stampa russa Ria-Novosti hanno evidenziato che “dopo aver commesso l’attacco terroristico, i criminali intendevano attraversare il confine russo-ucraino e avevano contatti importanti sul lato ucraino”. In Ucraina il consigliere presidenziale ucraino Mikaylo Podolyak ha risposto che “qualsiasi tentativo di collegare l’Ucraina all’attacco terroristico è assolutamente insostenibile” e che la versione dei servizi russi è “assurda”.
Il premier polacco Donald Tusk ha detto di sperare che la Russia non usi l’attacco di Mosca “per un’escalation della violenza” in Ucraina e il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha condannato “i terribili attacchi a Mosca e il terrorismo in tutte le sue forme”. La Casa Bianca ha confermato che gli Stati Uniti avevano avvertito i russi all’inizio di marzo di un attacco terroristico che avrebbe potuto colpire “grandi raduni” a Mosca, tra cui concerti, come aveva scritto sul suo sito l’ambasciata americana.
Il Ministero degli affari esteri ucraino ha respinto “categoricamente le accuse che i funzionari russi hanno iniziato a muovere” secondo cui l’Ucraina sarebbe coinvolta nella sparatoria alla sala concerti Crocus. “Riteniamo che tali accuse siano una provocazione pianificata da parte del Cremlino per alimentare ulteriormente l’isteria anti-ucraina nella società russa, creare le condizioni per una maggiore mobilitazione dei cittadini russi affinché partecipino all’aggressione criminale contro il nostro Paese e screditare l’Ucraina agli occhi della comunità internazionale”.
Anche la Legione Russa della Libertà, un gruppo di combattenti russi anti-Cremlino che effettua regolarmente incursioni armate nelle regioni di confine con la Russia, ha negato qualsiasi coinvolgimento nell’attacco alla sala da concerto alla periferia di Mosca. “Sottolineiamo che la Legione non combatte i civili russi”, ha detto il gruppo su Telegram, accusando “il regime terroristico di Putin” di aver “preparato” questa “sanguinosa provocazione” così come la sua “copertura mediatica”.
In realtà la pista jihadista che vede l’ISIS rivendicare l’attacco terroristico non è necessariamente disgiunta dalla pista ucraina poiché fin dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale migliaia di volontari ceceni, siriani, georgiani e di altre repubbliche caucasiche ed ex sovietiche si arruolarono in battaglioni di volontari islamici che combattevano con Kiev contro le truppe russe. Alcune immagini, difficile verificarne l’autenticità, mostravano addirittura simboli dello Stato Islamico sulle uniformi.
Si trattava per lo più di ceceni e caucasici che intendevano confrontarsi sul campo di battaglia con i reparti Akhmat messi in campo dal ministero dell’Interno della Cecenia governata da Ramzan Kadyrov, stretto alleato di Putin. Allo stesso modo diversi volontari siriani provenienti dai reparti e dalle milizie filogovernative si sono arruolati con i russi in contrapposizione ai miliziani dei gruppi jihadisti siriani che militano sotto le bandiere ucraine.
Inoltre molte delle armi fornite dall’Occidente all’Ucraina e poi vendute illegalmente all’estero sono state segnalate in mano a gruppi eversivi mediorientali o africani, inclusi quelli legati al jihadismo e del resto la malavita organizzata ucraina che gestisce tali traffici ha sempre avuto ramificazioni e contatti in Caucaso e Medio Oriente.
Anche per queste ragioni non si possono al momento escludere sovrapposizioni tra la pista jihadista/ISIS e la pista ucraina tenuto conto anche della fitta presenza della CIA (ma anche di altri servizi d’intelligence statunitensi e alleati) in Ucraina in almeno 12 basi segrete non lontane dai confini russi, come ha rivelato recentemente un’inchiesta del New York Times.
Che dire poi riguardo alle affermazioni del sottosegretario (dimissionario) del Dipartimento di Stato Victoria Nuland, che il 22 febbraio scorso ospite del CSIS a Washington affermò in riferimento agli ultimi aiuti statunitensi che “….con questi soldi l’Ucraina sarà anche in grado di accelerare la guerra asimmetrica che è stata più efficace sul campo di battaglia. E come ho detto a Kiev tre settimane fa, questo finanziamento supplementare garantirà a Putin di affrontare brutte sorprese sul campo di battaglia quest’anno”.
Difficile non notare l’accenno alla “guerra asimmetrica” contro Mosca e del resto Nuland si presta con le sue affermazioni a questo tipo di speculazioni considerato che aveva anticipato anche la distruzione del gasdotto Nordstream affermando pubblicamente che in caso di guerra in Ucraina avrebbe cessato di esistere.
La Casa Bianca ha ribadito che l’Ucraina non è coinvolta nell’attacco terroristico. “L’ISIS è l’unico responsabile di questo attacco. Non c’è stato alcun coinvolgimento ucraino”, ha affermato in una nota nella notte la portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, Adrienne Watson ma in un contesto pieno di dubbi e interrogativi le certezze espresse da Washington sembrano lasciar intendere che gli Stati Uniti dispongano di molte informazioni dettagliate circa l’attentato alla periferia di Mosca.
Inoltre i servizi segreti militari ucraini (GUR) già in passato avevano organizzato uccisioni di civili in territorio anche se si trattò di omicidi mirati tra i quali i più noti sono quelli di Darja Dugina e del blogger Vladien Tatarsky.
In ogni caso, alcuni aspetti dell’attentato a Krasnogorsk destano perplessità, innanzitutto circa i 4 attentatori terroristi:
- da quanto è emerso non erano jihadisti così motivati da cercare il “martirio” facendosi esplodere (non sembra vi fossero cinture o giubbotti esplosivi) o combattendo contro le forze di sicurezza russe
- non sono stati mostrati finora simboli specifici dell’ISIS come bandiere, copie del Corano e testamento degli attentatori: elementi di solito presenti negli attentati dell’ISIS
- il piano di fuga era approssimativo, i terroristi non si sono separati né hanno utilizzato altri veicoli diversi dalla Renault bianca utilizzata per lasciare Krasnogorsk
- l’arruolamento sui social lascia qualche dubbio: difficile organizzare un assalto così complesso senza conoscersi ed essersi addestrati insieme
- la motivazione del denaro stride con un gesto terroristico di questa portata così come la cifra del compenso (5mila euro) appare risibile anche per gli standard tagiki, tenuto conto che molti miliziani di quella nazionalità hanno combattuto sotto le bandiere dello Stato Islamico dalla Siria all’Afghanistan
Di certo tutti i nemici della Russia avrebbero avuto interesse a colpire così brutalmente Mosca, mostrandone la vulnerabilità ed evidenziando le carenze degli apparati di sicurezza, pochi giorni dopo il trionfo elettorale di Vladimir Putin.
Appare però paradossale che il terrorismo di matrice islamica colpisca la Russia proprio oggi che il posizionamento di Mosca nella crisi in Medio Oriente e nel conflitto a Gaza la pone in prima linea nel sostegno alla causa palestinese e nelle pressioni per la fine delle ostilità nella Striscia di Gaza.
Una lunga sequenza di attacchi jihadisti
Gli attacchi jihadisti in Russia non sono certo una novità e l’ISIS ha rivendicato almeno 14 attacchi in Russia tra il 2015 e il 2019 di cui quello al Crocus City Hall è uno dei più sanguinosi. Ecco un breve riepilogo dei principali episodi di terrorismo jihadista dal 1999 a oggi realizzata dall’agenzia ANSA.
8 settembre 1999 – Nella notte una bomba esplode e distrugge un edificio di nove piani, nel quartiere Piciatniki, alla periferia di Mosca. Muoiono 92 persone, i feriti sono 200.
13 settembre 1999 – Una bomba distrugge un edificio di sette piani a Mosca, lungo il viale Kashirskoe. Muoiono 118 persone, tra cui 13 bambini. Neanche questo attentato sarà rivendicato, ma sarà una delle cause dell’intervento russo in Cecenia. Gli autori dei due attentati erano stati addestrati nei campi della guerriglia cecena.
8 agosto 2000 – 13 morti e 92 feriti nell’attentato compiuto con un ordigno esplosivo nei sottopassaggi di piazza Puskhin, a poca distanza del Cremlino.
23-26 ottobre 2002 – Il sanguinoso episodio del sequestro collettivo nel teatro Dubrovka di Mosca. Uccisi i 41 guerriglieri del commando ceceno, muoiono però anche 130 ostaggi, la quasi totalità avvelenati dai gas usati dalle forze speciali della polizia.
6 febbraio 2004 – Una bomba, forse trasportata da kamikaze, esplode su un convoglio della metropolitana tra le stazioni Paveletskaia e Avtozavodskaia, a ridosso del centro di Mosca: 41 morti e 134 feriti. L’attentato mai rivendicato viene attribuito ai fondamentalisti ceceni.
24 agosto 2004 – Due donne kamikaze si fanno esplodere a bordo di due Tupolev decollati a poca distanza l’uno dall’altro da Mosca: uno si schianta nella regione di Tula causando 43 morti, l’altro non lontano da Rostov sul Don (46 morti). Attentato rivendicato dall’allora leader della guerriglia cecena Shamil Basaev.
31 agosto 2004 – Una donna kamikaze si fa esplodere all’esterno della stazione Riskaia, causando la morte di 10 passanti. Non rivendicato, anche questo attentato viene attribuito alla guerriglia cecena.
1/3 settembre 2004 – Beslan (Ossezia del Nord, Russia). Un commando inguscio-ceceno prende in ostaggio quasi 1.200 persone tra bambini, genitori e insegnanti in un asilo nel primo giorno di scuola. L’assalto delle forze russe porterà alla liberazione degli ostaggi, ma avrà un bilancio pesantissimo: 335 morti, tra cui 186 bambini e 31 sequestratori, più 400 feriti.
29 marzo 2009 – Due esplosioni, ad opera di kamikaze, si verificano nelle stazioni Lubianka, dove si trova la sede storica dei servizi di sicurezza, l’FSB e di Park Kulturi, vicino al leggendario Gorki Park: il bilancio è di 38 morti e una trentina di feriti. L’attentato è rivendicato dal ceceno Doku Umarov, capo della guerriglia del Caucaso del nord.
24 gennaio 2011 – Un kamikaze si fa esplodere a Domodedovo, uno dei tre aeroporti di Mosca, causando 37 morti e 117 feriti. La rivendicazione è firmata sempre da Umarov.
2 aprile 2017 – Attentato alla metropolitana di San Pietroburgo. L’esplosione di un ordigno all’interno di un vagone causa 14 morti e 47 feriti. Secondo i sospetti l’attentatore è Akbarzhon Jalilov, un cittadino russo di etnia uzbeka nato in Kirghizistan.
Tra i maggiori attentati jihadisti contro la Russia va inserito anche quello che colpì il volo charter Metrojet 9268 tra Sharm el-Sheikh e San Pietroburgo esploso in volo sul Sinai il 31 ottobre 2015 dopo che un ordigno era stato collocato a bordo prima del decollo. Sull’aereo, un Airbus A321, morirono 217 passeggeri e 7 membri dell’equipaggio. L’attentato venne rivendicato dallo Stato Islamico nel Sinai con un video del suo leader, Abu Osama al-Masri.
Foto TASS e CSIS
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.