Niger: un caso esemplare di guerra di influenze

 

Fra i conflitti striscianti, oscurati dall’attualità, quelli per procura nel Sahel hanno fatto del Niger un caso esemplare. I seguiti del colpo di Stato militare in Niger del luglio 2023 riservano ancora colpi di scena. Con la cacciata dei francesi, di due missioni Ue, nell’ambito della sicurezza e del partenariato militare, e da ultimo la chiusura della cooperazione militare con gli Usa, si assiste ad una singolare battaglia di posizionamento fra Federazione Russa, Turchia, Qatar, Cina da un lato e Occidente in ritirata e declassato dall’altro.

Une specie di laboratorio di quello che potrà accadere, in effetti è già in atto, nei tre Stati saheliani limitrofi, Mali, Burkina Faso e Niger. Quest’ultimo di rilevante importanza per l’Italia sia per le conseguenze migratorie, per la presenza in loco di militari italiani che per le attività da lanciare nell’ambito del nascituro Piano Mattei.

Tre colpi di Stato hanno portato al potere giunte militari. Iniziò nel 2021 il Mali, nel 2022 il Burkina Faso, infine nel 2023 il Niger. I francesi furono costretti dagli eventi prima a ridurre drasticamente la loro presenza poi a lasciare i tre Paesi francofoni. Volontariamente in Mali e Burkina Faso, letteralmente cacciati dal Niger dove gli interessi sono tuttora più che consistenti, estrazione e forniture di uranio per il 30% circa del fabbisogno transalpino.

Il Mali da parte sua ha anche ottenuto la chiusura della inefficace, costosissima missione ONU Minusma che in oltre 10 anni ha garantito ben poca sicurezza alle popolazioni nella lotta contro le bande terroristiche per niente impressionate, né tantomeno impaurite dal dispiegamento di oltre 16.000 caschi blu.

Inoltre cogliendo la palla al balzo del colpo di Stato in Niger i tre Paesi hanno stretto accordi vincolanti di cooperazione militare e assistenza reciproca in caso di intervento militare esterno, sono usciti dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale, hanno fatto saltare l’organizzazione G5 Sahel creata e finanziata in massima parte da Ue e Francia per coordinare le politiche di sicurezza e sviluppo, combattere l’insorgenza terroristica in 5 Paesi saheliani, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Chad.

Qual è lo stato dell’arte oggi? Si è trattato di mosse a difesa della sovranità degli Stati, della piena indipendenza dalla ex potenza coloniale e dall’occidente, del benessere delle popolazioni?

Messi da parte i proclami anticolonialisti, la realtà racconta altro. Ci si è mossi piuttosto sobillati da altre potenze che hanno rapidamente rimpiazzato le influenze occidentali, attuando un piano di destabilizzazione preordinato da tempo ed eseguito a regola d’arte in barba a rapporti consolidati, alle intelligence occidentali sorprese e smarrite, alla unione francofona.

La Cina è presente da tempo finora poco interessata a stringenti cooperazioni militari (anche se vende molti armamenti) , molto di più ad accaparrarsi risorse naturali, terre rare e petrolio. I nuovi attori entrati prepotentemente a riempire il vuoto sono stati la Federazione Russa e la Turchia largamente finanziata e sostenuta dal Qatar.  Nel caso dei russi la guerra in Ucraina ha accelerato le manovre destabilizzanti da usare ovunque contro gli alleati occidentali del nemico ucraino, in particolare Usa, Francia, Paesi membri Ue.

Abili campagne di disinformazione anti francesi e anticoloniali hanno preparato il terreno per il ricorso alla organizzazione di mercenari Wagner, ora rinominata Africa Corps, utilizzata da Mosca per azioni in territori esteri, ingaggiati per combattere meglio, con metodi spicci le bande terroristiche e perché no anche i dissidenti interni, le etnie riottose, successivamente per spingere i Paesi saheliani di cui sopra a rifiutare i francesi e a umiliare Onu e Ue. La Turchia guidata sapientemente dal sultano Erdogan, vicina ai fratelli musulmani, struttura politica e militare, considerata terroristica in Egitto e nei Paesi arabi moderati, ha accresciuto enormemente la sua influenza negli ultimi 10 anni.

Fra cospicui finanziamenti del Qatar, vendita di sistemi d’arma efficaci e più economici, risposte rapide alle richieste di armamenti e consiglieri militari senza pretendere di impartire lezioni di democrazia ai committenti africani, è riuscita a rendersi quasi indispensabile nelle forniture militari e nella risoluzione di conflitti interni fra fazioni bellicose. Del resto non andando per il sottile in Somalia prima e in Libia poi è riuscita a rimpiazzare la determinante, allora, influenza italiana.

E l’Italia? Promossa per ora in Niger. Il nuovo regime militare ha richiesto ai militari statunitensi, in un primo momento, e alla missione militare italiana di formazione MISIN, operativa dal 2019, di restare.

L’ennesimo colpo di scena è avvenuto al termine di una missione ufficiale di alto livello Usa guidata dall’Assistente segretaria di Stato per le questioni africane, comprendente il generale Langley, capo del comando Usa per l’Africa (AFRICOM), in visita in Niger dal 12 al 14 Marzo. Il nuovo governo nigerino adducendo infrazioni protocollari e velate minacce Usa in relazione con le nuove alleanze stipulate, in particolare Federazione Russa e Iran, ha deciso di interrompere la cooperazione militare e ha denunciato l’Accordo di cooperazione bilaterale siglato nel 2012 e relativo status delle forze armate Usa e del personale civile presente nel territorio.

Gli americani dovrebbero quindi rimpatriare a stretto giro circa 1.000 militari sul terreno, soprattutto lasciare la Base 201 per droni di Agadez, costata oltre 100 milioni di dollari divenuta operativa nel 2018, di rilevante importanza strategica per la lotta al terrorismo jihadista nel Sahel. Difficile immaginare che un regime africano nato da un colpo di Stato militare contro un presidente eletto democraticamente, possa rompere impunemente e definitivamente con gli Usa, pur beneficiando di una protezione russa assai evidente.

Sembra lecito attendersi nuovi sviluppi non solo in Niger. In caso contrario qualora l’influenza e la presenza russo-turco-cinese da un lato jihadista dall’altro, si rafforzasse si registrerebbe non solo un tracollo ma una concreta minaccia destabilizzante per il lato sud europeo e la Ue in generale.

Attualmente quindi l’Italia schiera l’unica missione militare europea e occidentale presente. Nonostante le richieste di tornare al più presto a libere elezioni, di liberare il presidente deposto Mohamed Bazoum tenuto ancora in residenza sorvegliata, Italia sembra godere di un trattamento privilegiato. Un esito non scontato dovuto molto probabilmente alla semplice considerazione che suggerisce di non rompere del tutto i ponti con l’Occidente dopo le fragorose richieste di lasciare il Niger indirizzate ai francesi, alle missioni Ue e agli Usa.

La firma di un importante accordo di cooperazione militare con la Federazione Russa a sancire ufficialmente la presenza russa e della Wagner, ora supervisionata direttamente dal ministero della difesa russo, rende quindi il Paese saheliano un vero laboratorio di miscele inedite. Russi, turchi, cinesi, e italiani fra cooperazioni militari e civili a lavorare, nella stessa area per un regime militare insediato con un colpo di Stato.

Intendiamoci, per l’Italia la scelta di non smobilitare è senza dubbio la migliore pur in presenza di una situazione politica interna ben diversa da quella di inizio missione. Se si intende perseguire una strategia africana, finalmente messa a punto, il Niger resta un Paese chiave. A maggior ragione da quando il nuovo regime ha rotto con i francesi, è entrato in collisione con gli USA ridimensionato la UE, abolito la legge che puniva duramente i traffici di migranti limitando le infiltrazioni di irregolari da altri Paesi sulla rotta di Agadez verso la Libia, destinazione finale Mediterraneo.

Infine le iniziative di cooperazione da attivare con il Piano Mattei troverebbero terreno fertile in Niger dove l’Italia, ben vista in generale in tutti i Paesi saheliani, potrebbe accrescere popolarità e influenza.

Resta l’incognita dell’indispensabile sostegno alle iniziative italiane da parte francese, americana e della stessa Ue. Dovrebbe essere scontata l’unità di intenti europea per impedire che l’attuale regime nigerino, già più che compromesso con i nuovi alleati russi, divenga irrecuperabile e un eventuale Piano Mattei, Marshall o come lo si voglia chiamare, venga lasciato, e con ben altri fini, a russi, turchi e cinesi. I precedenti tuttavia non sembrano incoraggianti.

Più che dagli Usa, pragmatici e riconoscenti per il sostegno concreto del nostro Paese a tante missioni militari di stabilizzazione al fianco degli americani e di altri alleati occidentali, ci sarà da temere il “fuoco” amico europeo. Sarà consentito a Roma di essere il capofila europeo e occidentale in un importante Paese francofono?

Foto: US DFoD, AFP e Governo nigerino

 

E' uno dei maggiori esperti italiani di operazioni internazionali di stabilizzazione, peacebuilding, cooperazione e comunicazione nelle aree di crisi. Dagli anni 80 ha ricoperto incarichi di responsabilità crescenti per l’Onu, la UE e il Ministero degli Esteri in Africa (13 anni), Medio Oriente e Balcani. Specialista di negoziati complessi, è stato Sindaco Onu in Kosovo della città mista di Kosovo Polje dal 1999 al 2001, ha guidato, primo non americano, il PRT di Nassiriyah in Iraq nel 2006 ed è stato Portavoce e Capo della comunicazione della missione europea di assistenza antiterrorismo EUCAP Sahel Niger fino al 2016. Destinatario di un’alta onorificenza presidenziale Senegalese, per l’editore Fermento ha scritto "Alla periferia del Mondo". Scrive su riviste specializzate ed è un apprezzato commentatore per radio e tv.

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