Le Parole della Guerra

 

Da quando, con l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022 la grande stampa e la televisione di informazione popolare si sono “impadronite” della guerra e delle notizie militari, spessissimo sono state riportate al pubblico inesattezze concettuali e lessicali che, cumulate nel tempo, possono aver falsato la percezione degli eventi e i reali rapporti di forza sul campo, sia da parte della gente, sia, quel che è peggio, da parte delle classi politiche occidentali, meno avvezze, rispetto ai decenni passati, a trattare e comprendere questioni belliche.

Quante volte, ad esempio, abbiamo sentito i telegiornali definire superficialmente “carri armati” delle semplici autoblindo, come le francesi AMX-10RC, fornite dal presidente Emmanuel Macron a Kiev in una quarantina di esemplari? Mezzi dalla nomea evidentemente “gonfiata” per ragioni di propaganda politica, ma in realtà poco utili e, come si sa, criticate dagli stessi ucraini per la loro vulnerabilità. Che un veicolo a ruote con corazzatura leggera sia cosa ben diversa da un vero carro armato, cingolato, inteso con la terminologia inglese Main Battle Tank (carro da battaglia principale) con corazzatura assai più pesante e in grado di ingaggiare in combattimento veicoli corazzati di simile tonnellaggio, dovrebbe essere ovvio. Ma a quanto pare non lo è per molti operatori dell’informazione, si spera sempre nella buona fede del non essere esperti specializzati.

L’esigenza di una corretta informazione in termini militari è altresì aumentata dall’ottobre 2023, quando al conflitto russo-ucraino s’è aggiunto quello in Medio Oriente fra Israele e Hamas, con le sue diramazioni in Libano e nel Mar Rosso.

Ecco perché appare più che mai provvidenziale l’uscita di un nuovo libro che vuole essere anzitutto una sorta di manuale per divulgatori, ma anche per il pubblico comune, che spiega in modo sintetico e scorrevole concetti e termini base relativi alla guerra, agli armamenti e alle procedure tattiche, strategiche e logistiche.

Edito da Parabellum e Amazon, “Le Parole della guerra” (497 pagine, 24 euro) è stato scritto dal generale Paolo Capitini, già ufficiale dello Stato Maggiore della Difesa, del COVI e del Corpo d’Armata di Reazione Rapida di Lille, oltre che reduce da varie missioni internazionali in Bosnia, Kosovo, Somalia, Ciad e Repubblica Centrafricana, Libia e Haiti, insieme all’analista Mirko Campochiari, fondatore del canale Youtube Parabellum Storia e del think tank Parabellum & Partners, nonché membro della SISM (Società Italiana Storia Militare).

Il libro, dall’eloquente sottotitolo “Viaggio nel mondo dei termini militari”, è dedicato all’Esercito, ossia alle armi e dottrine di terra, configurandosi quindi come il primo di una collana che comprenderà intuibilmente anche un successivo volume dedicato alla Marina e uno ad Aeronautica e spazio. Si parte dai principi di base della dialettica della guerra, passando in rassegna pensatori come Clausewitz, per poi spiegare la differenza fra i livelli strategico, operativo e tattico, le forme organizzative degli eserciti, l’influenza del terreno, la logistica, le tipologie dei vari sistemi d’arma, dall’artiglieria ai carri, dai missili alle mine, e infine l’importanza dell’intelligence. E’ insomma un’opera esaustiva di ampio respiro, che da principi dottrinali arriva a prassi come la stesura di un campo minato.

Certamente non mancano gli esempi storici e anche di attualità, molti dei quali riferiti alla guerra russo-ucraina. Sulla difficoltà di garantire all’Ucraina rifornimenti sufficienti a una guerra di massa, senza depauperare gli arsenali dei paesi NATO, particolarmente illuminanti sono vari passi, come questo: “A maggio del 2023, gli arsenali degli Stati Uniti avevano già fornito all’Ucraina più di due milioni di granate, numero che va ben oltre le capacità produttive normali dell’industria americana, il che è tutto dire.

Lo stesso vale per altri tipi di munizioni, tanto che nella primavera 2023 un preoccupato rapporto del Dipartimento della difesa di Washington stimava in due anni e mezzo il tempo necessario a ripianare i consumi di missili Patriot, in quattro anni e mezzo quelli dei missili controcarri Javelin (consegnati in oltre 10.000 esemplari a Kiev) e addirittura in cinque anni quello per ricostituire le scorte di missili contraerei portatili (MANPADS) Stinger. Approvvigionare una forza armata è dunque un’attività logistica complessa, non priva di rischi finanziari e di sicurezza. Per questo motivo essa viene concentrata e gestita ai massimi livelli di governo, con il contributo tecnico ed esperienziale del comparto della difesa. Al termine dell’attività di approvvigionamento, quando cioè i beni richiesti sono stati prodotti e acquistati, il problema diventa farli giungere agli utilizzatori, ovvero alle unità che li impiegheranno”.

E spiegando in modo approfondito la diversità fra la logistica degli eserciti occidentali e quella dell’Armata Russa, Capitini e Campochiari osservano acutamente: “A differenza degli eserciti NATO, in cui sono le unità in combattimento ad informare quelle logistiche di quanto e di cosa stanno consumando, nelle forze armate russe avviene esattamente il contrario.

Sulla base di dati statistici e dell’esperienza, sono le unità e i comandi logistici a stimare cosa stanno consumando le unità in prima linea e a ripianarle. Così, nel paniere che giunge alle trincee non c’è esattamente quello che si è consumato ma un po’ di tutto.

Ad esempio, un gruppo d’artiglieria semovente che in un giorno spara 400 colpi ma che si sposta poco verrà rifornito, forse, di 300 granate ma anche di carburante e di altri materiali che non ha utilizzato”. In sostanza, la centralizzazione e la mancanza di autonomia decisionale delle unità sul campo, pecca storica dell’esercito russo, si riflettono anche nella determinazione arbitraria, in quantità e qualità, del materiale (armi, munizioni, vettovaglie, eccetera) da distribuire ai reparti. Il che ricorda ancora, per inciso, gli sprechi e le inefficienze dell’economia pianificata dall’alto di stampo sovietico.

Eppure, l’esercito russo riesce a bilanciare i suoi difetti con la massa, la potenza di fuoco e un livello tecnologico generalmente buono, conservando tuttora forti possibilità di vincere il conflitto o quantomeno portare l’Ucraina a trattative che “salvino” le conquiste militari sul terreno. Ciò a dispetto della narrativa imperante sui media mainstream e politically correct, che, ponendo l’accento su una goffa lettura di complessi avvenimenti geopolitici e processi storici come “Bene contro Male”, quasi la realtà fosse un film di Hollywood, rischia di falsare la percezione occidentale.

Qualcosa del genere lo si è visto anche nei vent’anni di guerra in Afghanistan e alla fine la realtà, nell’agosto 2021, ha presentato un conto salato per Washington e gli alleati, con la conseguente ritirata precipitosa da Kabul. Ecco perché, oggi più che mai, il libro di Capitini e Campochiari è un contributo importante per alimentare riflessioni pragmatiche, disincantate e con cognizione di causa, partendo da una precisa conoscenza dei fattori in gioco.

 

“Le Parole della Guerra”

di Paolo Capitini e Mirko Campochiari

Parabellum edizioni

497 pagine

24 euro

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Nato nel 1974 in Brianza, giornalista e saggista di storia aeronautica e militare, è laureato in Scienze Politiche all'Università Statale di Milano e collabora col quotidiano “Libero” e con varie riviste. Per le edizioni Odoya ha scritto nel 2012 “L'aviazione italiana 1940-1945”, primo di vari libri. Sempre per Odoya: “Un secolo di battaglie aeree”, “Storia dei grandi esploratori”, “Le ali di Icaro” e “Dossier Caporetto”. Per Greco e Greco: “Furia celtica”. Nel 2018, ecco per Newton Compton la sua enciclopedica “Storia dei servizi segreti”, su intelligence e spie dall’antichità fino a oggi.

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