Note sulle ambizioni globali della NATO e sull’irrilevanza europea
Madeleine Albright è stata una figura di spicco, per molti versi fondamentale, durante gli anni dell’ascesa dell'”unipolarismo americano”, rivestendo un ruolo chiave durante il suo mandato come rappresentante permanente degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite (1993-1997) e successivamente come Segretario di Stato (1997-2001).
Il suo contributo è stato essenziale nella definizione della dottrina del “multilateralismo assertivo”, che ha influenzato il rapporto tra gli Stati Uniti, le organizzazioni internazionali (in particolare l’ONU), e il rapporto tra la NATO e la crescente identità di sicurezza europea. Ciò è stato messo in evidenza dopo la dichiarazione del vertice anglo-francese di Saint-Malo del 4 dicembre 1998, che ha sollevato successivamente la questione dell’autonomia strategica dell’Europa dopo l’esperienza del Kosovo.
La “Dottrina Albright” rappresentava la determinazione degli Stati Uniti a usare la forza per sostenere i propri interessi strategici e valori morali, il che era in linea con i principi dell’interventismo democratico.
Nel maggio 1999, durante la campagna militare contro la Serbia, Walter Isaacson descrisse questa dottrina su Time come un tipo di interventismo che enfatizza l’uso della forza, compreso l’uso mirato della forza aerea, a sostegno di obiettivi strategici e morali. Questo atteggiamento riflette l’opinione degli Stati Uniti come una “nazione indispensabile”, un’idea che è emersa frequentemente sia nella retorica presidenziale che nelle dinamiche di un sistema internazionale che fatica a trovare un contrappeso alla crescente influenza degli Stati Uniti.
Il ruolo centrale degli Stati Uniti nel contesto internazionale si rifletteva anche nel rapporto tra Madeleine Albright e l’autonomia militare strategica dell’Europa. Le “tre D” delineate dal Segretario di Stato nel 1998 (“no decoupling“, “no duplication” e “no discrimination“), in risposta implicita alle posizioni espresse nella Dichiarazione di Saint-Malo, continuano a rappresentare il punto di vista dell’Alleanza Atlantica sulla questione.
In sintesi, la prospettiva di Albright sul futuro della NATO ha sottolineato la necessità di un approccio proattivo e inclusivo. Aderendo alle Tre D e abbracciando nuove sfide, la NATO si sarebbe affermata come un’alleanza rilevante ed efficace nel panorama globale in continua evoluzione.
Il futuro della NATO nella prospettiva di Albright
Madeline Albright ha espresso il proprio punto di vista sul futuro della NATO, sottolineando come il mondo abbia subito cambiamenti significativi. Pur sottolineando la continua importanza della difesa collettiva come obiettivo fondamentale della NATO, ha enfatizzato la necessità di bilanciare le missioni tradizionali con quelle nuove. Guardando al futuro, Albright aveva ben chiaro come la NATO dovesse adattarsi all’evoluzione del panorama della sicurezza e affrontare efficacemente le sfide emergenti, oltre a sostenere l’espansione dei partenariati della NATO con gli Stati non membri per promuovere la stabilità e la sicurezza al di là dei confini dell’alleanza.
La visione di Albright per il futuro della NATO evidenziava anche l’impegno con le potenze emergenti e la promozione di un ordine internazionale basato sulle regole sistemiche, un prodotto dell’istituzionalismo liberale, e credeva che la NATO dovesse cercare attivamente opportunità di dialogo e cooperazione con paesi come la Russia e la Cina, pur rimanendo ferma su principi come l’integrità territoriale e il rispetto del diritto internazionale.
Parlando con Jonathan Markus del BBC World Service, il Segretario Albright ha parlato dell’importanza del ruolo della NATO nella difesa degli interessi dell’Alleanza, cogliendo l’occasione per rassicurare gli alleati europei che l’obiettivo della NATO non sarebbe stato quello di espandersi a livello globale, ma di essere in grado di svolgere missioni nell’ambito del suo attuale ambito e in aree esterne, purché riguardassero gli interessi dei membri della NATO. Il Segretario Albright ha enfatizzato come non ci fosse alcuna intenzione di guidare la NATO verso operazioni globali, e ha espresso fiducia nel fatto che gli Alleati avessero condiviso o quantomeno accettato questa posizione durante le loro discussioni.
Gli Stati Uniti e l’Europa: una lunga tradizione di disuguaglianze
Il professor Christopher Layne, autore di The Peace of Illusions: American Grand Strategy from 1940 to the Present, affermava che, nonostante i discorsi periodici sulla condivisione degli oneri, gli Stati Uniti non avessero mai desiderato un’Europa veramente alla pari, tanto meno autonoma, in materia di sicurezza. Layne sosteneva come la reazione costantemente avversa dei politici statunitensi alle proposte di misure di difesa “solo per gli europei” avrebbe confermato “i timori di lunga data degli Stati Uniti che un’Europa equa e indipendente si libererebbe dalla tutela di Washington”.
I paesi europei stanno esplorando sempre più l’idea di un’autonomia strategica, cercando di migliorare le proprie capacità di difesa e di ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti. Tuttavia, i principi espressi da Albright mettono in guardia contro qualsiasi azione che possa indebolire la difesa collettiva della NATO.
Mentre Albright sosteneva i paesi europei che avessero investito nella difesa, non perdeva occasione per ribadire che ciò non sarebbe dovuto andare a scapito dell’unità e della coerenza della NATO.
Gli Stati Uniti hanno sostenuto con forza la tesi di Layne alla fine degli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000 rispondendo alla politica europea di sicurezza e difesa (PESD) e alla proposta di una Forza di reazione rapida (RRF). L’evoluzione della PESD è stata vista come minaccia alla visione statunitense, portando a segnali di panico all’interno dell’amministrazione americana e della più ampia comunità della politica estera. In seguito, nel dicembre 2000, il Segretario alla Difesa William Cohen ha lanciato un monito, affermando che la creazione da parte dell’UE di una capacità di difesa al di fuori della NATO avrebbe potuto rendere obsoleta l’Alleanza. Allo stesso modo, i funzionari della successiva amministrazione di George W. Bush hanno espresso una posizione simile.
In risposta alla PESD e al RRF, Washington ha proposto di creare una forza di risposta militare all’interno della NATO. Un’intensa attività di lobbying a favore di questa opzione alla fine ha portato la Francia e altri sostenitori di una capacità di reazione rapida controllata dall’Europa ad accantonare i propri propositi. La nuova versione della NATO è diventata operativa nel 2003 e ha acquisito rilevanza, in particolare in mezzo alle crescenti tensioni tra l’Alleanza e la Russia.
La nuova NATO in pratica
La visione della NATO di creare una comunità europea di sicurezza libera dalla minaccia di una guerra interstatale e in cui la sicurezza trascende la protezione dei confini nazionali è diventata sempre più elusiva dalla fine della Guerra Fredda.
Nella loro dichiarazione ufficiale, i leader della NATO hanno espresso gravi preoccupazioni al vertice di Vilnius del 2023, poiché la pace nella regione euro-atlantica sarebbe stata turbata e la Federazione Russa avrebbe ignorato le norme e i principi alla base di un ordine di sicurezza europeo stabile.
Inoltre, il futuro della NATO è sicuro, ma il ruolo dell’alleanza va adesso oltre la garanzia della sicurezza per l’Europa. La dichiarazione di Vilnius ha anche evidenziato:
- Il terrorismo, in tutte le sue forme, rappresenta una minaccia diretta e asimmetrica per la sicurezza dei cittadini e per la pace e la prosperità internazionali.
- Le sfide affrontate sono globali e interconnesse, e spaziano dalla competizione strategica, all’instabilità pervasiva, agli shock ricorrenti, ai conflitti, alla fragilità e all’instabilità in Africa e in Medio Oriente, con un impatto diretto sulla sicurezza della NATO e dei suoi partner.
- Le ambizioni e le politiche coercitive della Repubblica Popolare Cinese (RPC) sfidano gli interessi, la sicurezza e i valori della NATO. Ciononostante, la NATO rimane aperta a impegnarsi in modo costruttivo con la RPC per stabilire la trasparenza reciproca e salvaguardare gli interessi di sicurezza dell’Alleanza.
- La NATO continua a fare i conti con minacce cibernetiche, spaziali, ibride e altre minacce asimmetriche, nonché con l’uso dannoso di tecnologie emergenti e dirompenti.
Mentre alcuni considerano la NATO cruciale per l’ordine internazionale liberale esistente, altri, come John Ikenberry, sostengono che essa rappresenti un Occidente globale composto da democrazie liberali avanzate in competizione con i regimi più autoritari dell’Oriente globale per l’influenza sul Sud globale. All’interno della NATO, c’è stato un dibattito in corso riguardo al suo ruolo come principale fornitore di sicurezza europea o come partecipante a una più ampia capacità globale.
Questo punto di vista è ulteriormente ripreso da coloro che paragonano lo stato attuale delle cose a una nuova Guerra Fredda, in cui gli stati del Sud del mondo sono corteggiati e influenzati dai blocchi di potere in competizione dell’Occidente e dell’Oriente globali. Recentemente, il Segretario di Stato britannico per la Difesa, Grant Shapps, ha espresso preoccupazioni simili alla retorica dell'”asse del male” di George W. Bush, mettendo in guardia sulle minacce percepite da Russia, Cina, Iran e Corea del Nord.
Nel frattempo, i partner globali formali della NATO si sono espansi fino a includere vari paesi come l’Australia, la Colombia, l’Iraq, il Giappone, la Mongolia, la Nuova Zelanda, il Pakistan e la Corea del Sud. Questo elenco crescente riflette la vasta gamma di interessi globali della NATO nel ventunesimo secolo, in particolare nella regione indo-pacifica, segnando un distacco da un teatro operativo unicamente eurocentrico.
Conclusioni: Una Nato globale alla ricerca della sua rilevanza
La NATO è ben lungi dall’essere irrilevante o obsoleta. Sebbene la fine della missione in Afghanistan abbia mostrato una mancanza di partecipazione al processo decisionale e una generale mancanza di scopo nel partenariato transatlantico, la guerra in Ucraina ha dimostrato come i membri europei della NATO siano difficilmente in grado di gestire una crisi nel loro vicinato. Come affermato da Romano Prodi, la Russia difficilmente si sarebbe imbarcata nella guerra ucraina se l’Europa (leggi: Unione Europea) avesse avuto uno strumento di difesa unificato.
Gli attuali cambiamenti nella politica estera e di sicurezza europea non significano un allontanamento dal liberalismo, ma piuttosto una transizione da una forma ottimistica a una scettica di “attorialità” liberale, pur preservando gli ideali liberali fondamentali.
In ambito politico, l’avanzare dello scetticismo ha indotto una serie di nuove misure, in particolare nel settore della sicurezza e della difesa. I responsabili politici dell’UE hanno abbandonato la loro riluttanza a utilizzare la forza militare in questo campo. Secondo un funzionario del Consiglio europeo: “Stiamo intraprendendo azioni che in precedenza erano considerate non plausibili; l’idea che l’UE stanziasse fondi per fornire armi letali a una parte coinvolta in un conflitto sarebbe stata inimmaginabile solo pochi anni fa”.
In effetti, l’Europa può essere liberale senza essere coinvolta in iniziative globali con una spiccata visione militare, e il Vecchio Continente dovrebbe perseguire un migliore coordinamento negli affari esteri, apparendo credibile e influente.
C’è il rischio di un fallimento prematuro nel perseguimento legittimo ed embrionale dell’autonomia strategica continentale. Se da un lato il partenariato transatlantico è una roccaforte della politica estera europea, dall’altro un’Europa più forte garantirà un’interazione equilibrata. Per quanto riguarda la regolamentazione del commercio e dei servizi, l’Unione europea può relazionarsi con gli Stati Uniti in una posizione peer-to-peer. L’Europa ha i mezzi per divenire autonoma, o quantomeno non così palesemente subalterna, a patto che si concretizzi una visione politica ed un consenso comune in materia di difesa e sicurezza.
Foto: NATO
Luca GabellaVedi tutti gli articoli
Consulente specializzato nell'analisi e nell'esecuzione di operazioni internazionali a favore delle aziende europee. Laureato in Scienze Politiche Internazionali presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e con un Master of Science (MSc.) in Middle East Politics presso la School of Oriental and African Studies (SOAS) di Londra. Con quasi venti anni di esperienza di lavoro negli Stati Uniti, Svizzera, Regno Unito, Iraq ed Emirati Arabi Uniti, ha uno spiccato interesse per le dinamiche politiche, economiche e di sicurezza nell'area del Mediterraneo allargato. Sito internet: https://www.mandati-internazionali.eu/.