Alla NATO fa più danni Stoltenberg di Putin

 

Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ci ha ormai abituato a dichiarazioni roboanti e gaffes madornali ma questa volta ha probabilmente esagerato confermandosi una “mina vagante” capace di mettere in difficoltà l’alleanza e gli stati membri più di quanto riescano a fare Vladimir Putin e la Russia.

“E’ giunto il tempo per i Paesi membri della NATO di considerare se debbano revocare alcune delle restrizioni all’uso delle armi che hanno donato all’Ucraina”, ha detto in un’intervista al settimanale britannico The Economist. “Negare all’Ucraina la possibilità di usare queste armi contro obiettivi militari legittimi nel territorio russo rende loro difficile difendersi soprattutto ora che ci sono molti combattimenti in corso nella regione di Kharkiv, vicino al confine”, ha spiegato Stoltenberg ammettendo che la situazione è difficile.

Gli alleati europei hanno promesso un milione di munizioni di artiglieria e non abbiamo ancora visto nulla di simile” ha lamentato ricordando l’impegno assunto nel marzo 2023 dalla UE per la consegna a Kiev di un milione di proiettili d’artiglieria entro marzo di quest’anno e che oggi Bruxelles valuta di poter raggiungere entro fine anno, con 9 mesi di ritardo se andrà tutto secondo le previsioni.

A questo proposito “avremmo dovuto raggiungere l’obiettivo a marzo, sappiamo che abbiamo avuto ritardi, ma ora riusciremo a farlo prima della fine dell’anno”, ha spiegato anonimamente un alto funzionario europeo in vista del Consiglio Difesa in programma martedì 28 maggio.

Ma se la UE in questo conflitto non brilla per credibilità pure la NATO sembra tentennare anche a causa delle dichiarazioni di Stoltenberg. Il segretario generale sprona gli stati membri a consentire che le armi a raggio più esteso fornite a Kiev, cioè al momento i missili da crociera Storm Shadow/Scalp EG forniti da Gran Bretagna, Francia e anche Italia (secondo quanto dichiarato nelle scorse settimane dal ministro britannico Grant Shapps, non smentito da Roma), oltre ai missili balistici tattici ATACMS forniti più recentemente dagli Stati Uniti, possano colpire il territorio russo.

Da un lato è evidente che il suo incarico dovrebbe imporre a Stoltenberg di astenersi da suggerimenti e valutazioni personali circa le decisioni che dovrebbero assumere i governi e i parlamenti legittimi degli stati membri.

Specie in un momento così delicato del conflitto che vede i russi avanzare ogni giorno ormai su tutti i fronti escluso quello di Kherson dove i belligeranti sono separati dal fiume Dnepr. Il segretario generale ha di certo molte opportunità per sostenere la causa dell’impiego dei missili occidentali contro la Russia ma nelle sedi appropriate che sono quelle collegiali dell’Alleanza Atlantica.

Utilizzare i grandi media per “fughe in avanti” consente a Stoltenberg di inseguire sul fronte della visibilità mediatica il presidente francese Emmanuel Macron, che non escluse l’invio di truppe francesi in Ucraina nell’ambito dell’autorità garantitagli dal ruolo di presidente della Republique.

L’incarico di Stoltenberg è però “leggermente diverso” (innanzitutto lui è stato nominato, Macron eletto) e il suo primo obiettivo dovrebbe essere mantenere compatta la NATO in un conflitto in cui ufficialmente non è ingaggiata poiché sono i singoli stati membri a decidere che postura assumere e in che misura rispondere alle richieste di aiuti militari formulate dall’Ucraina.

L’ipotesi dell’ennesima gaffe compiuta da Stoltenberg non si può quindi escludere. Del resto alcune sue dichiarazioni dall’inizio della guerra in Ucraina hanno lasciato sconcertati anche diversi funzionari dell’Alleanza Atlantica: come quando ha ammesso che la NATO addestra e arma gli ucraini per combattere i russi fin dal 2014 o quando ha affermato che l’Alleanza Atlantica aveva respinto nel dicembre 2021 la proposta russa per evitare la guerra in Ucraina basata su un trattato di sicurezza che stabilisse la neutralità di Kiev e lo stop all’ampliamento a est della NATO.

Stoltenberg disse il vero in entrambi i casi, sia ben chiaro, ma entrambe queste ammissioni non fanno che confermare le motivazioni addotte da Vladimir Putin per spiegare l’inevitabile avvio dell’Operazione Militare Speciale in Ucraina.

L’impressione però è che Stoltenberg abbia utilizzato con l’Economist le “note di linguaggio” previste dalla comunicazione strategica (saldamente gestita da britannici e statunitensi) della NATO.

Guarda caso, Washington ha da pochi giorni aperto il dibattito sull’impiego “più esteso” delle armi a lungo raggio consegnate a Kiev e i ministri di Esteri e Difesa britannici (Cameron e Shapps) da qualche settimana non perdono occasione per sostenere pubblicamente che le armi occidentali donate a Kiev dovrebbero poter colpire il territorio russo e che anche la Germania dovrebbe fornire agli ucraini i missili da crociera Taurus, cugini da Scalp EG e Storm Shadow.  E dalla stessa Ucraina sono giunte recentemente insistenti richieste analoghe.

Non è improprio quindi ipotizzare (e  non sarebbe certo la prima volta) che Stoltenberg si stia prestando al gioco di britannici e statunitensi, sostenuti da polacchi e baltici, per spronare tutti i partner a cedere a queste pressioni. In tal caso però il suo ruolo di segretario generale della NATO si sarebbe involuto in “lobbysta” degli interessi di alcuni stati membri che includono anche gli “azionisti di maggioranza” anglosassoni dell’alleanza.

Sarà un caso che nei giorni scorsi gli ucraini abbiano danneggiato con droni un sistema radar della rete di allarme precoce Voronezh DM che assicura la difesa aerea strategica nella regione di Krasnodar, un apparato utilizzato per localizzare il lancio di missili balistici intercontinentali diretti contro la Russia. Un ulteriore attacco contro un altro apparato della rete Voronozh DM sembra sia stato effettuato ieri, a conferma di come gli ucraini abbiano bisogno oggi più che mai di coinvolgere i membri della NATO nel conflitto e ogni provocazione utile a questo scopo deve essere messa in preventivo.

L’iniziativa di Stoltenberg sta minando e rischia di compromettere la relativa compattezza mostrata finora dalla NATO nel confronto con la Russia, con spaccature già ben evidenti tra nazioni che si dichiarano “non in guerra con la Russia” e altre pronte a inviare truppe in Ucraina.

In Italia molte voci del governo, della maggioranza e delle opposizioni parlamentari hanno censurato, chi pesantemente chi con maggior garbo, le parole di Stoltenberg.

Non so perché il segretario Nato Stoltenberg dica una cosa del genere, penso che bisogna essere molto più prudenti, fermo restando che la Nato deve mantenere la sua fermezza” ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Non esiste un segretario NATO o una nazione che decide la linea per tutte le altre. La Nato si muove, e si muoverà nell’incontro che avremo a Washington a luglio, portando dei progetti, dei piani, delle idee. Le singole spinte valgono poco” ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto.

“Questo signore o chiede scusa o rettifica o si dimette, altre vie non ci sono” ha dichiarato il vicepremier e ministro delle infrastrutture Matteo Salvini mentre per l’altro vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani “siamo parte integrante della NATO ma ogni decisione deve essere presa in maniera collegiale. Lavoriamo per la pace. Non manderemo un militare italiano e gli strumenti militari mandati dall’Italia vengono usati all’interno dell’Ucraina”.

L’Ungheria, critica sul sostegno militare a Kiev, si sta già muovendo per limitare la sua partecipazione alle attività della NATO. Il 24 maggio il primo ministro Viktor Orbán, sostenendo che NATO e UE si stanno muovendo verso un confronto diretto con la Russia, ha detto alla radio di stato che “non vogliamo partecipare al sostegno finanziario o agli armamenti (per l’Ucraina), nemmeno nel quadro della NATO” aggiungendo che “dobbiamo ridefinire la nostra posizione all’interno dell’alleanza e i nostri avvocati e ufficiali stanno lavorando su come l’Ungheria possa esistere come membro della NATO senza partecipare alle azioni della NATO al di fuori del suo territorio”.

Non si può escludere che anche il governo slovacco possa seguire le orme di quello ungherese e in questo contesto ogni dichiarazione avventata o non concordato collegialmente rischia di avere effetti dirompenti anche perché molti altri stati membri non sono intenzionati a farsi coinvolgere maggiormente in uno scontro con la Russia. Berlino ad esempio non intende inviare i missili Taurus anche per non dover schierare con essi propri militari e tecnici in Ucraina (e questo ci dice molto del coinvolgimento diretto delle nazioni che tali missili li hanno inviati) e ha fatto sapere di avere già fatto tutto quanto nelle sue possibilità per sostenere l’Ucraina.

La Germania ”ha raggiunto il limite di ciò che è possibile” fornire all’Ucraina in termini di aiuti militari, ha detto il 25 maggio il cancelliere tedesco Olaf Scholz che ieri si è espresso contro la revisione delle norme per l’uso delle armi tedesche da parte dell’Ucraina e contro la possibilità che Kiev colpisca con esse obiettivi militari in territorio russo. “Ci sono regole chiare sulle armi tedesche, concordate con l’Ucraina, e che funzionano… “.

Sul fronte opposto i “falchi”  baltici, polacchi e finlandesi che si dicono pronti a inviare truppe in Ucraina, se la situazione dovesse degenerare, anche fuori dall’ambito della NATO: aspetto non irrilevante poiché in caso di rappresaglie russe contro queste nazioni molti stati membri della NATO potrebbero rivelarsi molto restii a intervenire in loro soccorso a norma dell’Articolo 5 dell’alleanza.

Che la NATO non sia più un’alleanza militare solo difensiva è noto quanto meno  dalle operazioni in Bosnia e Kosovo negli anni ’90 e successivamente in Libia e Afghanistan ma un conto è attaccare la Republika Srpska, la Serbia, i talebani e l’esercito di Muammar  Gheddafi e un altro porsi con poche truppe e ancor meno armi, difese aeree e munizioni di fronte alla Russia di oggi.

Sosteniamo il segretario generale Jens Stoltenberg per l’assenza di restrizioni sulle armi fornite all’Ucraina” ha dichiarato il ministro degli Esteri lettone, Baiba Braze, su X, subito ripresa dal portavoce della NATO, Farah Dakhlallah, che evidentemente setacciava le agenzie di stampa in cerca di dichiarazioni a sostegno di Stoltenberg.

Joe Biden, in campagna elettorale, ha ribadito ieri che non intende inviare truppe Usa in Ucraina: “Non ci sono soldati americani in guerra e sono determinato a mantenere le cose così ma resteremo al fianco di Kiev”, ha detto all’accademia militare di West Point.

Anche la Spagna appare molto fredda di fronte alla “boutade” del segretario generale, che prima della doppia estensione del suo mandato sembrava destinato a ricoprire l’incarico di governatore della Banca centrale norvegese e che anche ieri ha alzato il tiro parlando alla stampa tedesca dicendosi convinto della vittoria militare ucraina. “Non è troppo tardi perché l’Ucraina vinca. Dobbiamo inviare più armi e munizioni all’Ucraina, compresi sistemi antiaerei e armi a lungo raggio”, ha affermato in un’intervista all’edizione domenicale del quotidiano Welt.

Come è già accaduto in molte occasioni in questo conflitto ai proclami non sembrano corrispondere fatti concreti né opportunità realistiche.

Proprio ieri in Gran Bretagna Sky News, citando un’analisi della società di consulenza Bain & Company, ha reso noto che la capacità produttiva bellica russa supera di gran lunga quella dell’Occidente in termini di quantità ed economicità della produzione.
Secondo lo studio la produzione di proiettili di artiglieria in Russia nel 2024 dovrebbe raggiungere i 4,5 milioni di unità contro 1,3 milioni prodotti da Stati Uniti e paesi europei messi insieme. Inoltre se in Occidente il costo medio di un proiettile d’artiglieria ha superato i 4mila euro, in Russia è di soli mille euro.

Anche in base a queste valutazioni è possibile ipotizzare che Storm Shadow e ATACMS potranno venire forniti a Kiev forse ancora in qualche centinaio di esemplari, disarmando però gli europei e riducendo ulteriormente le scorte statunitensi: l’impiego di queste armi contro il territorio russo potrà infliggere per un certo periodo (cioè fino al loro esaurimento) danni e perdite supplementari alle forze di Mosca ma non rovescerà le sorti del conflitto.

Come è già accaduto, una parte di queste armi verrebbe abbattuta dalla guerra elettronica e dalla difesa aerea russa (che secondo Volodymyr Zelensky avrebbe nei magazzini 10 mila missili solo per i sistemi a lungo raggio), un’altra parte verrebbe distrutta nei depositi che i russi anche nei giorni scorsi hanno individuato e bersagliato mentre una parte colpirebbe gli obiettivi in Russia da cui non è escluso possano giungere ritorsioni.

Un rischio che solo poche nazioni nella NATO sembrano disposte a correre.

@GianandreaGaian

Foto NATO

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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