Gli scarsi fondamenti del “mantra” della Difesa Comune Europea

 

Sempre più spesso esponenti di rilievo della politica italiana, esaminando le crisi internazionali che attraversano l’Europa ed il Medio Oriente, auspicano l’istituzione ed il rafforzamento di una “Difesa Comune Europea”, addirittura di un “Esercito Europeo”. E’ una sorta di mantra che accomuna personaggi che quasi mai, in passato, si sono soffermati sulle politiche di sicurezza e di difesa del nostro Paese, se non con generici e rituali riferimenti alle tradizionali alleanze ed alla nostra scontata adesione ad esse.

Quella auspicata, peraltro in termini assai generici ed approssimativi, sembrerebbe una creazione politica e militare assai più avanzata ed integrata di quella oggi delineata dalle intese esistenti, quelle, per intenderci, incluse nella Bussola Strategica adottata dal Consiglio Europeo nel marzo 2022 e volte a favorire il cammino della politica di sicurezza e difesa comune europea in complementarietà con la NATO.

Colpisce, in questo nuovo linguaggio, l’apparente certezza della concretezza, fattibilità ed ineluttabilità del progetto, che risulta invece assolutamente fumoso e dai contorni quanto mai incerti.

Un’analisi appena un po’ più attenta (stavo per dire seria…) avrebbe infatti delineato una serie di quesiti ai quali è indispensabile dare risposte convincenti e condivise, oltre che realistiche o anche solo realizzabili.

Anche l’osservatore più sprovveduto dovrebbe innanzi tutto chiedersi a quale autorità sovranazionale risponderebbe questo rinnovato strumento europeo integrato, di quali poteri disporrebbe tale autorità e con quali procedure esecutive verrebbero formulate le necessarie direttive. Forse con un voto unanime di 27 Paesi? Nazioni che, dovrebbe essere ormai assodato, hanno interessi, priorità, sensibilità e disponibilità/volontà di spesa assai differenti e talvolta contrastanti?

A voler essere brutali e citare solo il caso più recente e drammatico di difformità di intenti, come potremmo conciliare le nostre aspirazioni pacifiste, ampiamente presenti nel Paese, ed i nostri indirizzi di non intervento e propensione al compromesso in politica estera con posizioni più oltranziste, come quelle rappresentate dalle reiterate esternazioni del Presidente francese Macron su un possibile intervento in Ucraina, cui hanno fatto seguito quelle del consigliere per la sicurezza nazionale del presidente estone Madis Roll, che afferma che il suo governo starebbe discutendo seriamente il potenziale dispiegamento di truppe in Ucraina occidentale?

In questo scenario di opinioni difformi e contrastanti tra stati sovrani come si posizionerebbero lo strumento militare europeo ed i suoi vertici politico-militari?  Bloccati da veti e caveat nazionali sarebbero solo un ampliamento di quella architettura comune di sicurezza europea che già esiste e che è stata sempre relegata a ruoli tutto sommato secondari, dovendosi in genere appellare alla NATO in presenza di crisi più complesse. Esiste pertanto il rischio concreto di creare un nuovo carrozzone costoso ed inefficace, una selva di comandi scarsamente operativi cui assegnare ufficiali in esubero.  

Inoltre nessuno sembra toccare, neanche nei più alti voli pindarici, la questione tabù del deterrente nucleare: l’Europa ne dovrebbe essere dotata? E chi disporrebbe della chiave, metaforica e tecnica, del suo eventuale impiego?

Un Paese che ha rinunciato persino all’utilizzo pacifico dell’energia atomica, attraversato da fortissime correnti ambientaliste e a-scientifiche, potrebbe davvero riciclarsi in sostenitore della deterrenza nucleare? Un serio dibattito sulla materia, abbandonato in Italia da molti anni (1), sarebbe oggi improponibile, un autentico suicidio politico per chiunque avesse l’ardire di proporlo.

Naturalmente nell’Unione Europea esiste già una potenza nucleare e molti presidenti francesi, incluso Macron, hanno più volte fatto riferimento alla “dimensione europea” degli interessi vitali francesi, quelli cioè suscettibili di essere difesi, in casi estremi, anche col ricorso alle armi atomiche. Nulla di nuovo a tale riguardo, questa estensione della sfera di interessi dell’Eliseo era stata suggerita per la prima volta nel Libro Bianco della Difesa francese del 1972, sotto la presidenza di Georges Pompidou.

La dissuasione nucleare è al cuore della strategia di difesa francese e la quintessenza della sua sovranità. La relativa dottrina d’impiego (o di non impiego) prevede la presenza di un armamento nucleare tattico, rappresentato dal missile ASMP-A lanciabile dai Rafale delle Forces aériennes stratégiques [FAS] e della Force aéronavale nucléaire [FANu], quale ultimo avvertimento inviato all’aggressore prima di ricorrere all’impiego delle armi nucleari strategiche (missili M51 a bordo dei sottomarini nucleari), minaccia che per le sue estreme conseguenze potrebbe risultare inverosimile e quindi inefficace.

L’estensione del “santuario francese” all’intera UE ufficialmente proclamata di questi termini non cambierebbe però il carattere strettamente nazionale della Force de Frappe: una generica rassicurazione francese sarebbe preferibile ad un analogo impegno statunitense? E soprattutto sarebbe più credibile?

Necessario corollario del fumoso progetto di Difesa Comune Europea sarebbe poi una stretta integrazione delle industrie della difesa del continente, al fine di razionalizzare le acquisizioni di materiali strategici, eliminando sprechi, duplicazioni ed inefficienze e realizzando considerevoli economie di scala.

Come logica conseguenza si dovrebbe pertanto sviluppare ed immettere in servizio in Europa un solo aereo da combattimento di nuova generazione, un solo carro, un solo veicolo da combattimento per la fanteria, eccetera. Si tratterebbe di evitare che i programmi futuri ripetano gli errori del passato, in cui gli interessi industriali nazionali di breve respiro hanno cancellato pressoché del tutto i benefici che dalla collaborazione internazionale ci si attendeva (difficile non pensare, ad esempio, all’Eurofighter ed alle sue quattro catene di montaggio, ma altri esempi non mancano).

Una programmazione delle acquisizioni razionale ed accentrata in sede UE rappresenta un progetto ambizioso e forse auspicabile, ma è lecito chiedersi a quale prezzo sarebbe realizzato e con quali ricadute industriali a livello di procurement.

Una razionalizzazione ed integrazione su base realmente efficientistica porterebbe inevitabilmente a vincitori e vinti nel panorama delle industrie strategiche e di alta tecnologia. Certamente la parte del leone la farebbero le imprese francesi, forti di una lunga tradizione di autonomia e di un sostegno governativo politicamente trasversale mai venuto meno nel corso degli anni.

Si tratta di un’industria molto avanzata, in grado di concepire e realizzare quasi ogni prodotto, con la quale la collaborazione non risulta sempre agevole (come forse possono testimoniare a Berlino), stante la tendenza ad interpretare come “francese” l’aggettivo “europeo”.

L’Italia dispone di un’industria della difesa ampia e strutturata, con alcuni settori di assoluta eccellenza, ma anche aree meno performanti e potenzialmente deboli in chiave internazionale, che risulterebbero economicamente marginali ed in palese difficoltà in un mercato europeo realmente aperto e dai requisiti omogenei.

Una politica delle acquisizioni accentrata, indirizzata ad equipaggiare forze europee integrate, renderebbe non più proponibili politiche di sostegno ad imprese in gravi crisi (penso ad esempio ai reiterati acquisti di Piaggio P180), né risulterebbero giustificabili in sede internazionale significative mutazioni di requisiti, tempistiche e quantità come quelle subite, ad esempio, negli ultimi due anni dall’importante programma nazionale AICS, Armored Infantry Combat System.

Ricordiamo infatti che tale progetto, finalizzato al rinnovamento delle capacità di combattimento delle forze pesanti mediante l’acquisizione di un nuovo veicolo da combattimento per la fanteria e relativi derivati di supporto e specialistici, è stato illustrato compiutamente nel Documento Programmatico Pluriennale della Difesa per il triennio 2022-2024 in termini di estrema urgenza, prevedendone l’ingresso in servizio, in sostituzione degli AIFV Dardo, a partire dal 2026.

A sostegno di ciò l’elaborato della Difesa fa espresso riferimento ad “alcuni consorzi industriali europei” che già hanno in corso lo sviluppo di veicoli analoghi, auspicando forme di collaborazione che bilancino esigenze e tempistiche dell’Esercito con sinergie internazionali a sostegno del sistema Paese (2).

La successiva scheda parlamentare (settembre 2022) suggerisce indirettamente l’assegnazione del contratto ad un consorzio europeo, pur mantenendo una sorta di design authority sui mezzi destinati al mercato nazionale, e quantifica l’impegno finanziario totale, comprensivo di una sostanziosa quota di supporto logistico integrato, in 6,050 miliardi di euro riferiti ad un totale di 570 piattaforme AICS, quindi al costo medio stimato di 10,6 milioni a veicolo (3).

Nel successivo DDP 2023-25 le tempistiche si fanno meno pressanti e scompare l’esplicito riferimento ai veicoli già sviluppati da consorzi industriali europei, mentre il programma sembra assumere una più marcata valenza nazionale. Nel contempo l’impegno complessivo di spesa sale a 15 miliardi di Euro (più del doppio) per circa 1050 piattaforme, con un costo medio che lievita a circa 15 milioni per veicolo.

Foto: Esercito Italiano e Aeronautica Militare Italiana

 

  1. Sul dibattito politico italiano in materia nucleare, soprattutto negli anni cinquanta e sessanta, si veda La Sfida Nucleare – la politica estera italiana e le armi atomiche 1945-1991 di Leopoldo Nuti, il Mulino 2007
  2. Documento Programmatico Pluriennale della Difesa 2022-24
  3. Schema di decreto ministeriale si approvazione del programma pluriennale n. SMD 27/2022 – Atto di governo 430

 

Alberto ScarpittaVedi tutti gli articoli

Nato a Padova nel 1955, ex ufficiale dei Lagunari, collabora da molti anni a riviste specializzate nel settore militare, tra cui ANALISI DIFESA, di cui è assiduo collaboratore sin dalla nascita della pubblicazione, distinguendosi per l’estrema professionalità ed il rigore tecnico dei suoi lavori. Si occupa prevalentemente di equipaggiamenti, tecniche e tattiche dei reparti di fanteria ed è uno dei giornalisti italiani maggiormente esperti nel difficile settore delle Forze Speciali. Ha realizzato alcuni volumi a carattere militare ed è coautore di importanti pubblicazioni sulle Forze Speciali italiane ed internazionali.

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