Provaci ancora, Emmanuel
Macron ci riprova e torna a parlare di inviare truppe francesi e di altre nazioni aderenti NATO in Ucraina ma più lo ripete meno risulta credibile.
La prima volta le affermazioni del presidente francese scatenarono un vivace dibattito in Europa ed ebbero il merito di evidenziare come gli alleati dell’Ucraina fossero disposti al massimo ad un “armiamoci e partite” o, se preferite, a combattere i russi fino all’ultimo ucraino.
Tutte le nazioni dell’alleanza precisarono che non avrebbero inviato proprie truppe a combattere nelle trincee del Donbass con l’esclusione di Polonia e repubbliche baltiche che non esclusero un futuro coinvolgimento diretto nel conflitto. Circolarono voci di un reggimento dell’Armèe de Terre pronto a partire e qualche indiscrezione riferì di truppe francesi nell’area di Odessa: nulla di confermato se non la presenza al fronte di qualche migliaio di combattenti stranieri, per lo più provenienti da Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Georgia, ma inquadrati nella Legione Internazionale che combatte al fianco di Kiev e che alcune fonti russe stimano avere oggi la consistenza di circa 3.100 uomini.
La russa Foundation to Battle Injustice (non proprio una fonte neutrale) stima che vi sia un numero elevato di soldati e ufficiali delle nazioni aderenti alla a NATO in Ucraina: ben 6.800, di cui 2.500 americani, 1.900 canadesi, 1.100 britannici e circa 700 francesi che avrebbero compiti di consulenza, addestramento, incarichi nei comandi ucraini e forse anche operativi.
La stessa fonte inoltre ritiene siano circa 13.000 i “mercenari” stranieri che eseguono anche ordini diretti provenienti da strutture di comando NATO.
Già in passato erano emerse voci di diverse perdite tra i consiglieri militari alleati dovute ai bombardamenti missilistici russi su centri di comando e controllo così come tra i volontari che i russi chiamano mercenari (termine che l’Occidente riservava ai contractors del Gruppo Wagner) sono state registrate ampie perdute sui campi di battaglia.
In ogni caso di reggimenti francesi sui fronti ucraini ancora non se ne sono visti nonostante ieri, in una intervista su The Economist, Emmanuel Macron abbia ribadito che “nulla può essere escluso.
Se i russi dovessero sfondare le linee del fronte, se ci fosse una richiesta Ucraina – cosa che oggi non avviene – dovremmo legittimamente porci la domanda”, dice il presidente, secondo cui “escluderlo a priori significa non imparare la lezione degli ultimi due anni”, con i Paesi della NATO che avevano inizialmente escluso l’invio di carri armati e caccia Kiev prima di cambiare idea.
Come ho detto, non escludo nulla, perché siamo di fronte a qualcuno che non esclude nulla“, ribadisce Macron al settimanale britannico, in un riferimento a Vladimir Putin. “Probabilmente siamo stati troppo esitanti nel fissare dei limiti alla nostra azione nei confronti di qualcuno che non ne ha più e che è l’aggressore”, afferma il presidente, indicando il suo “chiaro obiettivo strategico: la Russia non può vincere in Ucraina. Se la Russia vince, non avremo più sicurezza in Europa”.
Chi può pretendere che la Russia si fermi lì? Quale sicurezza ci sarà per gli altri Paesi vicini, la Moldavia, la Romania, la Polonia, la Lituania e tanti altri? E oltre a questo, che credibilità abbiamo noi europei che avremmo speso miliardi, che avremmo detto che era in gioco la sopravvivenza del continente e che non ci saremmo dati i mezzi per fermare la Russia? Quindi sì, non dobbiamo escludere nulla”.
Macron ribadisce quindi di voler utilizzare il timore della minaccia russa sull’Europa per far guadagnare alla Francia la leadership continentale, forte del fatto che solo Parigi possiede un deterrente nucleare, elemento che in un contesto di confronto militare con una potenza atomica come la Russia ha indubbiamente un suo peso.
La “ri-boutade” del presidente francese non sembra però avere ottenuto un grande successo: in Francia è stata pesantemente criticata da Marine Le Pen, in Europa è stata per lo più ignorata, in Italia i due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani l’hanno liquidata affermando che nessun militare italiano verrà inviato a combattere in Ucraina (ma anche Matteo Renzi si è detto di parere opposto a Macron) mentre a Mosca il portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova (nella foto a lato), ha detto ironicamente che le dichiarazioni del presidente francese “sono in qualche modo legate ai giorni della settimana, è una sorta di ciclo”.
Al di là del valore politico, è sul piano militare che le esternazioni di Macron appaiono inadeguate. Se esiste la percezione concreta che le linee ucraine possano cedere allora non ha senso rimandare a dopo il crollo del fronte l’invio di truppe UE/NATO. Meglio inviarle subito per puntellare le postazioni difensive e respingere gli attacchi dei russi che ormai hanno successo lungo tutta la prima linea.
Nel settore a ovest di Avdiivka l’avanzata russa ha già determinato lo sfondamento delle linee ucraine. Kiev ha fatto trapelare che si è trattato di un disguido durante l’avvicendamento dei reparti in prima linea: quelli presenti si sarebbero ritirati prima dell’arrivo dei rimpiazzi, ma chi ha esperienza di zone di guerra sa che questo non accade mai, anzi, chi è sul campo passa le consegne ai nuovi arrivati prima di ritirarsi. Se gli ucraini hanno abbandonato le loro postazioni non è per un fraintendimento ma perché alcuni reparti sono sbandati.
Solo nelle ultime 48 ore i russi hanno sfondato le linee nemiche nella regione di Donetsk prendendo Ocheretyne e Berdychi e avanzano verso il fiume Vovca dove gli ucraini hanno costituito una linea di difesa. A ovest di Bakhmut i russi hanno raggiunto i sobborghi di Chasov Yar dove gli ucraini difendono con poche truppe e munizioni posizioni sempre più esposte al devastante fuoco aereo e d’artiglieria nemico. La caduta della cittadina, dove restano secondo fonti ucraine meno di 700 dei 12 mila abitanti, aprirebbe ai russi la strada verso Kramatorsk e la conquista completa della regione di Donetsk.
A Chasov Yar sarebbero stati inviati reparti speciali dei servizi di sicurezza interna, non è chiaro se per rafforzare le difese o impedire diserzioni o la resa dei battaglioni ucraini dopo che da più parti è circolata la voce che la 3a Brigata d’assalto (la Brigata Azov) si sia rifiutata di attestarsi a Chasov Yar, ennesimo “calderone” tritacarne per le truppe di Kiev.
Più a sud i russi hanno conquistato Paraskovievka nell’area di Ugledar e hanno ripreso il controllo di Robotino al centro degli sconti nella regione di Zaporizhia fin dall’inizio della fallita controffensiva ucraina nel giugno 2023 mentre a nord, nella regione di Karkhiv, i russi sono entrati a Kislovka continuando le operazioni per circondare la roccaforte di Kupyansk.
Una recente analisi del Wall Street Journal evidenzia il rischio di collasso del fronte ucraino se dovesse continuare l’attuale pressione delle forze russe. Inoltre, le retrovie ucraine vengono bersagliate costantemente dai russi che negli ultimi giorni hanno distrutto ampi depositi di armi e munizioni appena arrivate da occidente presso tre aeroporti e i depositi postali di Odessa mentre il governo di Kiev ha ammesso che circa la metà delle infrastrutture elettriche sono fuori uso il che significa anche la paralisi molte attività industriali legate allo sforzo bellico.
Tali attacchi in profondità con droni, bombe d’aereo e missili da crociera e balistici, sembrano risultare sostenibili per tempi prolungati dai russi se rispondono al vero le valutazioni della Direzione Principale dell’Intelligence del Ministero della Difesa dell’Ucraina.
Secondo il GUR solo per l’impiego navale e costiero i russi dispongono di 40 missili ipersonici Zircon e ne producono ogni mese 10, 400 missili da crociera Oniks/Oniks-M producendone 10 al mese e di 270 missili da crociera Kalibr con una produzione di 30/40 al mese.
Per impiego da aerei sono disponibili 45 nuovi missili da crociera Kh-69 prodotti in 3 esemplari al mese più ampi arsenali dei più vecchi Kh-101. In totale l’intelligence ucraino ritiene che in aprile la Russia disponesse di circa 950 missili con una gittata di oltre 350 chilometri. Inoltre, secondo fonti turche, la Russia produce 8mila bombe al mese con peso compreso da 250 a 1500 kg, molte delle quali ricevono poi il modulo UPMC che le trasformano in bombe plananti guidate.
Secondo il direttore del think-tank polacco Rochan, Konrad Muzyka il punto più critico delle forze armate ucraine è la mancanza di uomini e anche con lo sblocco degli aiuti americani la situazione per le forze di Kiev continuerà a peggiorare almeno per i prossimi 3 mesi.
Per comprendere che la situazione per gli ucraini è sempre più disperata non occorre attendere lo sfondamento citato da Macron e paventato dal WSJ.
Il canale Telegram Ucraino Resident (che con altri social è finito nel mirino della Presidenza ucraina che vorrebbe limitarne l’acceso), che è sempre ben informato sulle attività dello stato maggiore di Kiev, ha reso noto che una simulazione ha evidenziato che per tenere il fronte occorrerebbe arruolare un milione di reclute entro il 2026 che andrebbero poi addestrati ed equipaggiati. Secondo alcuni alti ufficiali il minimo di personale da mobilitare è di 350 mila uomini: 100mila per colmare le perdite, altrettante per creare riserve ed infine 150 mila per consentire il congedo definitivo a chi serve ininterrottamente dall’inizio della guerra.
La nuova legge sulla mobilitazione che anticipa l’arruolamento a 25 anni sta aumentando diserzioni e le fughe di cittadini in età di arruolamento oltre confine al punto che unità dell’’Esercito Territoriale sono state schierate alle frontiere con Polonia, Ungheria e Slovacchia per presidiarle.
Il direttore dell’Istituto demografico di stato ucraino, Alexander Gladun, ha lanciato l’allarme sul fatto che l’abbassamento dell’età di arruolamento da 27 a 25 anni coinvolgerà una fascia già ristretta nell’albero demografico, cioè la generazione che dovrebbe a sua volta avere figli. Gladun valuta che si sia già superato il punto di non ritorno del declino demografico irreversibile.
Sempre più evidente anche il malumore dei veterani poiché la nuova legge sull’a mobilitazione vieta il congedo di 70 mila veterani in servizio da oltre tre anni.
Secondo la stessa fonte molte brigate sono già sotto dimensionate del 40/50 per cento e in alcuni settori vengono continuamente bruciate le riserve, rimpiazzando più volte le perdite subite in postazioni troppo esposte al fuoco dell’artiglieria e dell’aeronautica russa. A questo si aggiungono le indiscrezioni circa gli ordini impartiti dal presidente Volodymyr Zelensky di impedire ad ogni costo la caduta di Chasov Yar prima del 9 maggio, giorno in cui si tiene la Parata della Vittoria sulla Piazza Rossa a Mosca che consentirebbe a Vladimir Putin di utilizzare la presa della roccaforte ucraina come un trofeo.
Cresce anche il malcontento nei confronti del capo di stato maggiore delle forze armate, il generale Aleksandr Syrsky , con notizie sulla rimozione dai comandi di molti ufficiali fedeli al suo predecessore, Valery Zaluzhny.
Per chi come Macron o il segretario generale della NATO, Jens Stoltemberg, l’Ucraina “non deve perdere” la guerra e la Russia “non deve vincerla”, il momento delle chiacchiere sembra essere agli sgoccioli. Certo non mancano cartucce da sparare (in senso metaforico) pur di evitare di mandare in trincea battaglioni europei peraltro poco addestrati alla guerra convenzionale e con poche munizioni a disposizione.
Infatti alcune nazioni dell’Europa Orientale valutano di rimandare a forza in patria i maschi in età di arruolamento (25-60 anni) che avevano lasciato l’Ucraina (molti giovani quando erano ancora fuori dall’età per l’arruolamento) all’inizio della guerra e finora accolti come rifugiati, soddisfacendo le richieste della presidenza e dello stato maggiore di Kiev e continuando a perseguire l’obiettivo della guerra ai russi fino all’ultimo ucraino.
Del resto due aspetti sembrano venire del tutto ignorati: innanzitutto che arruolare ucraini a forza non farà di loro dei combattenti ma solo carne da cannone e poi che prima di valutare di inviare truppe europee in Ucraina occorrerebbe chiedersi quanti caduti (nostri, non ucraini) sono considerati accettabili dalla nostra opinione pubblica e dalla classe politica.
Domande da porsi non solo in Francia, considerato che la smania di innalzare il coinvolgimento nel conflitto con la Russia, almeno a parole, sembra aver attraversato anche il Canale della Manica.
Dopo aver definito l’invio di truppe NATO in Ucraina una “pericolosa escalation” il ministro degli Esteri britannico David Cameron (nella foto sotto) si è detto oggi favorevole all’uso delle armi fornite da Londra a Kiev per attaccare obiettivi all’interno della Russia, con un riferimento all’impiego dei missili da crociera Storm Shadow forniti (lo abbiamo appreso da Londra) anche dall’Italia.
Rispondendo a una domanda sulla legittimità di attaccare obiettivi all’interno del territorio russo, Cameron ha detto che ”questa è una decisione che spetta all’Ucraina e l’Ucraina ne ha il diritto”.
Finora l’impiego delle armi fornite dall’Occidente è stato limitato dagli ucraini a obiettivi in Crimea o in altri territori ucraini occupati. La valutazione se sia conveniente alzare ulteriormente l’escalation con Mosca per mettere nel mirino di tali armi obiettivi all’interno della Federazione Russa dovrebbe essere molto attenta sia sul piano politico che militare.
Meglio però ricordare che David Cameron, quando era premier, ha condiviso nel 2011 con il presidente francese Nicolas Sarkozy e lo statunitense Barak Obama la decisione di muovere guerra alla Libia di Muhammar Gheddafi destabilizzando il Mediterraneo Centrale e l’intero Sahel.
Una decisione dagli effetti devastanti (assunta avventatamente secondo inchieste emerse successivamente) di cui ancora paghiamo tutti le conseguenze, soprattutto noi italiani.
Foto: Stars & Stripes, Eliseo, Foreign Office, Ministero Difesa Russo e Ministero Difesa Ucraino
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.