I rischi di una “escalation controllata” con la Russia

 

Non sono certo mancati gli sviluppi dopo gli “incoraggiamenti” formulati la scorsa settimana dal segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, nei confronti degli stati membri dell’alleanza affinché consentano l’impiego delle armi a raggio più esteso donate a Kiev anche contro obiettivi situati sul territorio russo.

Lo stesso Stoltenberg ha precisato che la decisione spetta ai singoli stati. “Non si tratta di decisioni della NATO sulle restrizioni. Alcuni alleati non hanno imposto restrizioni sulle armi che hanno consegnato. Altri lo hanno fatto. Credo che sia giunto il momento di prendere in considerazione tali restrizioni, anche alla luce degli sviluppi della guerra”, ha proseguito.

“Inoltre, dobbiamo ricordare che questo non rende gli alleati della NATO parte del conflitto. Abbiamo il diritto di fornire supporto all’Ucraina per aiutarli a sostenere il diritto all’autodifesa“, ha precisato senza per spiegare perché rilasci così tante dichiarazioni a proposito di un tema che non coinvolge decisioni della NATO, come lui stesso afferma, e soprattutto in base a quali elementi possa negare che consentire a Kiev di colpire il territorio russo con le nostre armi costituisca un ulteri0re coinvolgimento delle nazioni aderenti alla NATO nel conflitto.

Una sorta di “escalation controllata” che non è detto risulti controllabile, anche tenendo conto il contemporaneo invio di istruttori e consiglieri militari francesi (e forse anche di altre nazioni europee) in Ucraina. A dar man forte al segretario generale, che nel recente summit di Praga ha chiesto 40 miliardi di euro di aiuti militari annui a Kiev, sono scesi in campo l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Il primo ha affermato che “va considerato il rischio di escalation ma va bilanciato con la necessità degli ucraini di difendersi. Così è una situazione asimmetrica, con gli attacchi a Kiev che arrivano dal territorio russo”.

Borrell sostiene l’impiego di missili e bombe occidentali sul territorio russo ammettendo che sono i singoli partner a decidere ma il sostegno a Kiev anche su un tema così spinoso e potenzialmente carico di rischi potrebbe dipendere anche dal fatto che l’Unione Europea ha dovuto posticipare a fine 2024 la consegna di un milione di proiettili d’artiglieria promessi a Kiev nel marzo 2023 con forniture entro un anno. Limiti produttivi legati peraltro anche alla carenza di materie prime con carenza di acido nitrico e nitrocellulosa.

Del resto, come è già accaduto in molte occasioni in questo conflitto, ai proclami bellicosi dei vertici politici europei non sembrano corrispondere capacità concrete di sostenerli. In Gran Bretagna l’emittente Sky News, citando un’analisi della società di consulenza Bain & Company, ha reso noto nei giorni scorsi che la produzione di proiettili di artiglieria in Russia nel 2024 dovrebbe raggiungere i 4,5 milioni di unità contro 1,3 milioni prodotti da USA ed Europa messi insieme. Inoltre in Occidente il costo medio di un proiettile d’artiglieria ha superato i 4mila euro mentre in Russia è di soli mille euro.

Zelensky invece ha provveduto nei giorni scorsi ad alzare il livello di scontro con la Russia attaccando con droni due stazioni radar del sistema di scoperta aerea precoce Voronezh DM che assicura la difesa aerea strategica russa: un apparato utilizzato per localizzare il lancio di missili balistici intercontinentali diretti contro la Russia.

Come ha evidenziato su Analisi Difesa Ruggero Stanglini nell’articolo “Non Andiamo Troppo Oltre”), per la dottrina nucleare russa gli attacchi contro i sistemi radar della rete di allarme precoce compromettono la sicurezza nazionale e costituiscono una delle ragioni che giustificano il ricorso all’arma nucleare. Un attacco dalla portata così strategica non è certo stato deciso da un comandante sul campo ma è sato approvato dai massimi vertici dello stato ucraino, a conferma che Kiev ha bisogno oggi più che mai di coinvolgere i membri della NATO nel conflitto.

Le diverse posizioni assunte dagli alleati potrebbero però rendere ambigua la gestione delle armi contro obiettivi sul territorio russo. Per esempio gli ucraini potrebbero impiegare missili Aster 30 forniti dalla Francia per abbattere un aereo nemico nello spazio aereo russo ma non potrebbero farlo impiegando un esemplare dello stesso missile o il sistema SAMP/T forniti dall’Italia.

Allo stesso modo il comando ucraino dovrà ordinare di discriminare i missili da crociera Storm Shadow/SCALP da lanciare contro la Russia: utilizzabili quelli con immatricolazione francese o britannica, vietati quelli forniti dall’Italia.

Norvegia, Danimarca e Olanda hanno autorizzato senza limitazioni l’uso dei velivoli da combattimento F-16 (che dovrebbero tra pochi mesi essere operativi in Ucraina) ma il Belgio no. Quando il comandante di un reparto aereo impiegherà i velivoli per colpire oltre il confine russo in teoria dovrà rinunciare a farlo con aerei o armi imbarcate di origine belga.

Il rischio è che gli ucraini non vadano per il sottile e non stiano a guardare le “sfumature” tra forniture autorizzate e non autorizzate a colpire sul suolo russo (spinti peraltro da ben comprensibili e pressanti esigenze belliche), con il rischio di coinvolgere di fatto tutti i partner UE e NATO in possibili rappresaglie russe.

Preoccupazione evidenziata a Roma dai due vicepremier. Antonio Tajani ha sottolineato come l’Italia non sia in guerra con la Russia aggiungendo che “per quanto riguarda la NATO nessuno ha deciso che bisogna usare le armi in territorio russo.  

Non vedo grandi contrasti, ci sono posizioni differenti su dove usare le armi che noi inviamo all’Ucraina. Qualche Paese dice facciamo usare agli ucraini le nostre armi anche in territorio russo, noi diciamo di no perché ci sembra più saggio al fine di evitare un’escalation non utilizzare le armi italiane inviate per la difesa Ucraina in territorio russo” ha detto nel corso di un’intervista televisiva.

Matteo Salvini, dopo aver definito “bombaroli” Macron e Borrell, ha affermato che “dovremmo stare molto attenti come Italia a mandare altre armi a l’Ucraina. Chi mi assicura che poi una bomba italiana, un proiettile italiano non vadano a colpire il territorio russo e Mosca e poi si scatena la terza guerra mondiale?” ha detto in un’intervista aggiungendo che sulle nuove forniture militari italiane all’Ucraina “voglio vederci molto chiaro”.

Del resto Mosca è consapevole che l’impiego di diverse tipologie di armamenti occidentali da parte degli ucraini è sempre stato gestito grazie all’affiancamento di tecnici, consiglieri o military contractors occidentali, il cui ruolo assume un ulteriore peso politico-strategico nel momento in cui tale supporto tecnico e informativo consente alle forze di Kiev di colpire il territorio russo.

Lo ha fatto intendere chiaramente ieri il capo della delegazione russa ai negoziati di Vienna sulla sicurezza militare e il controllo degli armamenti, Konstantin Gavrilov, affermando che la presenza di militari stranieri nei gruppi di sabotaggio ucraini dimostra il coinvolgimento dell’Occidente in attività terroristiche contro la Russia.

In un’intervista al quotidiano Izvestia, il diplomatico russo ha affermato che “in Ucraina operano 92 gruppi di sabotaggio, di cui 14 americani. I loro generali e ufficiali, che presumibilmente sono lì come mercenari e istruttori, in realtà sono impegnati a pianificare operazioni terroristiche contro la Russia. Non sono solo responsabili del mantenimento di sistemi come Storm Shadow o Himars ma anche della pianificazione delle operazioni“, ha detto Gavrilov.

Molti analisti valutano che l’impiego delle armi occidentali sul suolo russo potrà fornire, soprattutto nella regione di Kharkiv, un supporto utile a favorire la resistenza delle forze ucraine, pressate su quasi tutti i fronti e costrette a ritirarsi ogni giorno da villaggi e postazioni nelle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhia e Kharkiv.

Le armi occidentali potranno colpire depositi, comandi, basi o concentramenti di truppe nelle retrovie in Russia, distruggere alcuni radar o lanciatori di missili della difesa aerea ma ben difficilmente cambieranno gli equilibri sul campo che vedono i russi disporre di una superiorità crescente mentre gli ucraini sono sempre più deboli e a corto di munizioni, armi, mezzi e truppe.

In questo contesto si potranno fornire qualche altra decina (o poche centinaia) di missili Storm Shadows, ATACMS e razzi campali agli ucraini svuotando ulteriormente i nostri magazzini già ai minimi livelli di munizionamento: una parte delle armi consegnate a Kiev verrà probabilmente  distrutta nei siti di stoccaggio che i russi a volte individuano e colpiscono, un’altra parte verrà abbattuta dalle contromisure elettroniche e dai missili da difesa aerea russi mentre altre colpiranno i bersagli provocando vittime e danni forse seri ma non risolutivi.

A fronte del rischio che l’escalation nel coinvolgimento occidentale nel conflitto possa determinare una rappresaglia militare russa che non può essere esclusa.

Mosca potrebbe intensificare gli attacchi contro i “mercenari” stranieri colpendo i consiglieri militari, i tecnici o gli istruttori che Parigi sta inviando in Ucraina. Difficile fare ipotesi ma volendosi avventurare in questo campo uno dei bersagli possibili potrebbero essere gli UAV statunitensi che sul Mar Nero supportano gli attacchi con missili e droni contro le basi russe in Crimea e nelle regioni di Zaporizhia e Kherson.

Non si può escludere un attacco cyber a qualche nazione europea o semplicemente una recrudescenza degli attacchi alle infrastrutture ucraine (centrali elettriche, ponti, ecc….) già peraltro vicine al collasso.  Un obiettivo a più alto livello potrebbe essere la base aerea polacca di Rzeszow, hub su cui confluiscono da oltre due anni armi e munizioni destinate ad entrare in Ucraina nei pressi di Leopoli.

Un’azione del genere innalzerebbe ulteriormente le tensioni portandole a un passo dalla guerra ma comporterebbe anche ampi rischi per la NATO. Se una nazione alleata subisse una rappresaglia per aver autorizzato l’uso di proprie armi contro obiettivi in territorio russo sarebbe difficile chiedere l’intervento della NATO o invocare l’Articolo 5 anche perché non è scontato che l’eventuale mobilitazione a favore dell’alleato colpito raccolga la solidarietà di tutti gli stati membri. Specie di quelli contrari ad estendere al territorio russo l’area di impiego delle armi occidentali (come Italia, Spagna, Belgio….) e quelli che, come Ungheria e Slovacchia, non forniscono aiuti militari a Kiev e si oppongono agli attacchi sul territorio russo.

Del resto se tutti oggi ripetono (incluso Stoltenberg) che l’impiego delle armi sul territorio russo è una decisione assunta dai singoli stati e non dalla NATO sarebbe poi difficile chiedere a tutti gli alleati di mobilitarsi per far fronte alle conseguenze di questa decisione. Al tempo stesso, l’assenza di una risposta compatta potrebbe infliggere un serio colpo alla NATO come alla UE.

In quest’ottica, la decisione di allargare il campo delle operazioni delle nostre armi al territorio russo costituisce un azzardo che, in un crescendo di tensioni, rischia di trasformare in una “coalition of the willing” un’alleanza in cui è difficile credere che in molti siano pronti a farsi coinvolgere in una guerra che non ci vede attrezzati né pronti per combattere sotto nessun punto di vista.

Soprattutto se lo scopo non è difendersi da un’invasione ma prolungare l’agonia di una nazione che non fa parte della UE né della NATO e soddisfare l’odio russofobo dei baltici che sognano una Russia divisa in tante repubblichette in guerra tra loro. L’obiettivo di questa escalation che si vorrebbe definire “controllata” contro la Russia appare soprattutto politico, anzi elettorale. Far guadagnare tempo all’Ucraina e ostacolare i russi alimenta la speranza che Kiev resista fino alle ormai imminenti elezioni europee e alle più lontane elezioni presidenziali statunitensi di novembre.

Il tracollo dell’Ucraina costituirebbe un trionfo per Putin ma la sconfitta di Kiev sarebbe anche quella dell’Occidente e una disfatta per leader, governi e partiti che hanno sostenuto il braccio di ferro con la Russia, impedendo che la guerra terminasse con la mediazione turca dopo appena un mese e mezzo (e meno morti) nell’aprile 2022.

Biden, Stoltenberg, von der Leyen, Macron, Draghi e molti altri che avevano detto che i russi erano ormai decotti e che le nostre sanzioni avrebbero sconfitto Mosca sul piano economico e militare verrebbero oggi ridicolizzati e soffrirebbero probabilmente forti emorragie di consensi se l’Ucraina venisse sconfitta. Per questo deve continuare a combattere almeno fino a novembre.

Eppure NATO e UE avrebbero una grande opportunità da cogliere sostenendo un accordo di pace di cui farsi garanti invece di continuare a ribadire il prossimo ingresso dell’Ucraina (la NATO lo fa dal 2008) come si ostinano a dichiarare gli ormai dimissionari Stoltenberg, Borrell e von der Leyen.

Putin si è detto pronto a negoziare sulla base della situazione sul terreno, che per l’Ucraina vuol dire perdere territorio, probabilmente la Crimea e le quattro regioni che i russi hanno annesso con i referendum del settembre 2022.

Perdite territoriali dolorose ma molto probabilmente inferiori a quelle che Kiev dovrebbe accettare se la guerra durasse altri sei mesi. A fronte dei tanti singoli accordi “non vincolanti” per la sicurezza stipulati dall’Ucraina con diverse nazioni europee, la NATO avrebbe oggi interesse a porsi come garante della sicurezza di un’Ucraina neutrale all’interno di un accordo con Mosca che offrisse garanzie militari a Kiev in caso di un futuro nuovo attacco russo.

Un accordo di sicurezza globale che punti a garantire pace e sicurezza ai confini orientali dell’Europa per i prossimi decenni. In questo modo la NATO potrebbe recuperare compattezza e il ruolo di alleanza difensiva esprimendo la necessaria deterrenza che le aveva permesso di vincere la Guerra Fredda.

@GianandreaGaian

Foto: Unione Europea, NATO, Agenzia Nova, Lockheed Martin, Ministero Difesa Ucraino e Telegram

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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