In Normandia Macron e Biden guidano l’escalation con la Russia    

 

Diversi elementi confermano come l’escalation della crisi militare con la Russia sembri costituire l’obiettivo prioritario per Stati Uniti e  gran parte d’Europa. Il presidente Joe Biden ha menzionato l’Ucraina durante il suo discorso in Normandia per l’80° anniversario dello sbarco delle forze alleate durante la Seconda guerra mondiale, ricordando come il Paese sia stato “invaso da un tiranno deciso a dominarlo”.

Tracciare un parallelo tra Terzo Reich e Russia non appare solo una colossale forzatura storica ma le stesse celebrazioni dello sbarco hanno assunto quest’anno un carattere paradossale se non grottesco. La Russia, vincitrice della seconda guerra mondiale, non è stata invitata quest’anno alle celebrazioni a cui ha sempre partecipato.

A posto dei russi c’era il presidente Volodymyr Zelensky che guida l’Ucraina che ha come eroe nazionale Stepan Bandera, leader nazionalista e nazista che schierò l’Ucraina tra i satelliti del Terzo Reich macchiandosi di stragi e deportazioni di ebrei (e polacchi) e costituendo reparti di SS che oggi vengono rievocati nei fregi dell’attuale esercito di Kiev.

Insomma, alle celebrazioni in Normandia gli alleati occidentali (che tanti sforzi investirono per fornire armi e munizioni all’Unione Sovietica nell’inverno 1941-42) non hanno neppure voluto vederli: eppure fu proprio Stalin a chiedere con insistenza quello sbarco in Norma dia che avrebbe imposto ai tedeschi di trasferire riserve dal Fronte Orientale.  In compenso il presidente francese Emmanuel Macron ha invitato gli ucraini eredi orgogliosi di quei nazionalisti che all’epoca combattevano fianco a fianco con i soldati della Germania nazista.

Un ulteriore passo verso la cancel culture e la profonda ri-scrizione (o alterazione) della Storia, fenomeni che da anni stanno ridicolizzando Stati Uniti ed Europa.

Al di là di questi aspetti, forse secondari ma che ben sintetizzano lo stato di confusione che domina il cosiddetto “Occidente”, nel confronto con la Russia gli ultimi giorni hanno visto consolidarsi la crescente volontà di confronto militare con la Russia.

Dopo le pressioni formulate dal segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg e dall’alto commissario UE per la politica Estera Josep Borrell (di cui ci siamo occupati in un editoriale) nei confronti degli stati membri affinché consentano l’impiego delle armi a raggio più esteso donate a Kiev anche contro obiettivi situati sul territorio russo, molte nazioni hanno risposto positivamente.

Uno sforzo sostenuto sul piano politico, mediatico e propagandistico dall’ennesima previsione di una guerra tra Europa e Russia che per alcuni sarebbe questione di pochi anni.

L’ultimo allarme in tal senso lo ha lanciato la Norvegia, che ha invitato la Nato a prepararsi a un possibile attacco russo nei prossimi due o tre anni che secondo il generale Eirik Kristoffersen, capo di stato maggiore della Difesa, rappresenta il tempo che impiegherà la Russia a prepararsi per attaccare l’Europa ma anche la finestra temporale necessaria all’Alleanza “per ricostruire le nostre forze e le nostre scorte mentre sosteniamo l’Ucraina”.

Le stime di Kristoffersen sono inferiori a quelle della Difesa tedesca, secondo cui Mosca potrebbe attaccarci entro cinque-otto anni, come aveva detto nei giorni scorsi il ministro della Difesa Boris Pistorius.

 

I bellicosi

Gli Stati Uniti consentono agli ucraini di colpire le retrovie nemiche in territorio russo solo nella regione di Kharkiv, dove il fronte dista pochi chilometri dalla frontiera e solo con i razzi campali dei sistemi MLRS con raggio d’azione di 80 chilometri.

Quindi non con i missili balistici tattici ATACMS, già impiegati più volte contro obiettivi in Donbass e Crimea, anche se Biden ha dichiarato che la profondità raggiungibile dalle armi americane sarà di non oltre 200 chilometri in territorio russo, distanza che coincide all’incirca la massima portata degli ATACMS (300 chilometri): queste armi sono state impiegate con munizionamento a dispersione contro obiettivi civili nella città di Lugansk che, al pari dei Donetsk, costituisce il capoluogo della omonima regione secessionista dell’Ucraina Orientale più volte oggetto di attacchi ucraini indiscriminati

I risultati del via libera a colpire la Russia già si sono visti con l’impiego di alcuni razzi lanciati dagli HIMARS che hanno colpito un sistema di difesa aerea S-300 (nella foto sotto) secondo quanto documentato da canali Telegram russi, gli stessi che però evidenziano come l’impiego di armi occidentali sul territorio russo non sia certo una novità.

In passato missili antiradar HARM e bombe plananti sganciate da aerei da combattimento hanno colpito obiettivi in territorio russo mentre missili terra-aria Patriot e forse Aster 30 hanno colpito o tentato di colpire velivoli russi in volo sullo spazio aereo della Federazione incluso un cargo Ilyushin IL-76 colpito prima nel gennaio scorso dell’atterraggio a Belgorod con a bordo (secondo Mosca) decine di prigionieri di guerra ucraini destinati a venire scambiati con prigionieri russi.

Anche Olanda, Finlandia, Danimarca, Svezia, Norvegia, Polonia, Lettonia, Estonia e Lituania, Repubblica Ceca hanno dato il via libera all’impiego s delle armi fornite a Kiev contro obiettivi in territorio russo.

Alcuni alleati europei sembrano voler fare di più degli Stati Uniti considerato che Francia e Gran Bretagna hanno autorizzato l’uso di diverse armi sul territorio russo, dalle bombe plananti fino ai missili da crociera Storm Shadow/SCALP EG che secondo il ministro della Difesa britannico Grant Shapps (non smentito) anche l’Italia ha consegnato a Kiev.

La Germania continua a negarne la fornitura all’Ucraina ma ha accettato, su pressione francese, di consentire l’impiego delle armi donate a Kiev contro obiettivi in Russia: si tratterà probabilmente dei razzi campali e dei proiettili da 155 mm guidati.

 

I francesi in Ucraina…con un occhio agli affari

La Francia ha reso noto l’invio di consiglieri militari (definiti istruttori) in Ucraina. Da quanto si apprende, Parigi avrebbe già sul campo un team di ricognizione per individuare le aree dove inviare inizialmente un numero limitato di personale presso le scuole e centri di addestramento in Ucraina per poi mandarvi diverse centinaia di militari. Il capo di stato maggiore della Difesa di Kiev, generale Aleksander Syrsky, ha confermato la scorsa settimana di aver autorizzato il personale francese a visitare i centri di addestramento ucraini.

Macron vuole formare una coalizione europea di istruttori militari da inviare in Ucraina per addestrare le reclute di Kiev (Polonia, Finlandia e repubbliche baltiche non hanno escluso di inviare truppe in Ucraina se la situazione militare dovesse aggravarsi) e fornire aerei da combattimento Mirage 2000 a Kiev.

Macron ha affermato che Parigi sta “costruendo una coalizione con altri partner” precisando che l’addestramento dei piloti ucraini avrà luogo sul suolo francese e ha proposto “al presidente Zelensky che i piloti possano essere addestrati quest’estate. Normalmente ci vogliono dai cinque ai sei mesi e quindi, entro la fine dell’anno, l’Ucraina potrà avere i piloti e gli aerei”. Inoltre Macron ha affermato l’intenzione di proporre l’addestramento “di una ‘brigata francese’ 4.500 soldati ucraini” addestrati da consiglieri francesi e armati ed equipaggiati con prodotti francesi.

“Abbiamo già fatto molto con i nostri partner tedeschi e polacchi e con alcuni altri nella formazione dall’inizio del conflitto. In questo modo passiamo a una nuova fase”. Circa l’invio di istruttori francesi in Ucraina Macron ha aggiunto che “il suolo ucraino è sovrano: non si tratta di andare ad addestrarsi nella zona di combattimento”. Secondo Macron il fatto che gli istruttori francesi opereranno “nella zona occidentale dell’Ucraina non rappresenterà un atto aggressivo nei confronti della Russia”. Mosca ha invece già fatto sapere che una volta in territorio ucraino i militari francesi costituiranno un “obiettivo legittimo”.

Se la propaganda di Parigi punta molto sull’impatto di questa iniziativa, non senza ironia, quella russa ha affisso alle fermate degli autobus a Mosca nei pressi dell’ambasciata francese, l’invito ai soldati francesi ad arrendersi alle truppe russe in Ucraina.

“Francesi, non ripetete gli errori dei vostri antenati” recita il poster che mostra la fotografia di Edgard Puhaud, comandante della 33a Divisione SS Charlemagne composta da volontari francesi, decimata in Polonia e Prussia Orientale e poi annientata nella battaglia di Berlino del 1945.

“Chiamate Volga 149.200”, si legge ancora sui manifesti. Vale a dire la parola d’ordine e la frequenza radio create dalle forze russe per i soldati ucraini e per combattenti stranieri in Ucraina che vogliono arrendersi.

L’iniziativa di Macron, a ridosso delle elezioni europee, potrebbe avere l’obiettivo di far dimenticare la disfatta francese in Africa, con la cacciata dal Sahel, e l’impasse della crisi in Nuova Caledonia.

Ma non deve sfuggire il preciso intento politico e industriale in quanto mira a non lasciare agli anglo-americani o ai tedeschi l’esclusiva delle forniture militari all’Ucraina che anche a guerra finita vedranno le nazioni aderenti a NATO e UE sostenere la ricostituzione delle forze armate di Kiev su standard occidentali. Per sostenere lo sforzo bellico Stoltenberg ha chiesto 40 miliardi di euro annui di sostegno finanziario per la difesa ucraina e Macron vuole evitare che questo flusso di denari alimenti solo le commesse delle altre potenze occidentali.

La consegna degli F-16 di costruzione statunitense ha non a caso fermato la cessione di caccia svedesi JAS-39 Gripen da parte di Stoccolma ma a quanto pare non quella dei vecchi Mirage 2000-5, aggiornati 20 anni or sono ma risalenti agli anni ’80, proprio come gli F-16 di Belgio, Olanda, Norvegia e Danimarca.

Anche l’iniziativa di equipaggiare, armare e addestrare interamente una brigata ucraina coincide con l’annuncio che KNDS, il colosso dell’industria della difesa terrestre franco-tedesca che riunisce Nexter e KMW aprirà una succursale in Ucraina.

La Francia dispone di ingenti surplus di veicoli ruotati blindati VAB, schiera ancora una trentina di Mirage 2000 più altri già radiati perché in fase di rimpiazzo con i Rafale. Un’altra ventina di Mirage 2000-5 potrebbe reperirli dalla Grecia che intende radiarli e potrebbe in cambio ottenere uno sconto sui Rafale nuovi e di seconda mano che sta acquisendo da Parigi. Nel complesso le forniture francesi permetterebbero a Parigi di posizionarsi tra i fornitori di rilievo dell’Ucraina e verrebbero pagate almeno in parte dai fondi della UE per il sostegno militare a Kiev.

 

I prudenti

Tra gli stati contrari all’escalation con Mosca e ai rischi di rappresaglie russe c’è senza dubbio l’Italia, che non autorizzerà l’impiego delle armi che fornito all’Ucraina sul suolo russo. Una scelta al momento condivisa da tutto il governo e da parte dell’opposizione ribadita più volte dal vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani che sottolinea come l’Italia non sia in guerra con la Russia aggiungendo che “per quanto riguarda la NATO nessuno ha deciso che bisogna usare le armi in territorio russo.

 Non vedo grandi contrasti, ci sono posizioni differenti su dove usare le armi che noi inviamo all’Ucraina. Qualche Paese dice facciamo usare agli ucraini le nostre armi anche in territorio russo, noi diciamo di no perché ci sembra più saggio al fine di evitare un’escalation non utilizzare le armi italiane inviate per la difesa Ucraina in territorio russo” ha detto nel corso di un’intervista televisiva.

Tajani ha precisato che “non è la Nato a decidere come si usano in Ucraina le armi italiane o di altri Paesi. Ogni Paese è libero di confrontarsi con Kiev e di decidere come vengono usate le sue armi”. Per il vicepremier l’obiettivo ultimo deve essere quello di raggiungere lo stallo militare sul campo di battaglia così da costringere Putin a sedersi al tavolo dei negoziati. Tajani ha poi aggiunto che l’Italia si appresta a inviare all’Ucraina altri sistemi da difesa aerea SAMP/T.

A quanto sembra si tratta della batteria oggi schierata in Kuwait che verrà ritirata, impiegata in Italia per proteggere il vertice del G7 e poi trasferita in Ucraina, a conferma di come ogni consegna a Kiev impoverisca ulteriormente le già scarse capacità delle forze armate italiane ed europee. Anche in Germania infatti la promessa di fornire una terza batteria di Patriot agli ucraini cozza con i moniti espressi da molti militari tedeschi.

La dichiarazione di Tajani di fatto ha scavalcato il segreto militare imposto dal governo di Mario Draghi sulle forniture militari a Kiev e finora confermato dall’esecutivo di Giorgia Meloni anche se nei giorni scorsi il ministro della Difesa, Guido Crosetto, si è detto favorevole alla libera divulgazione di gran parte dei materiali militari ceduti all’Ucraina precisando che da parte ucraina c’è un impegno ad evitare che le armi italiane finiscano per colpire oltreconfine.

Anche la Spagna si chiama fuori dall’iniziativa caldeggiata da Stoltenberg e Borrell. Il ministro degli Affari Esteri spagnolo, José Manuel Albares, in un’intervista ha affermato che il governo non sta pensando di dare all’Ucraina il permesso di attaccare obiettivi all’interno della Russia con armi fornite dalla Spagna, “Non ci è stato chiesto di farlo”, ha detto Albares, aggiungendo che “al momento” la Spagna non vede “l’utilizzo di questo materiale al di fuori dei confini dell’Ucraina”.

In ambito NATO si registra anche in secco no della Turchia, dove il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan ha detto che “sosteniamo il proseguimento dell’aiuto all’Ucraina e alla sua capacità’ di assicurare la dissuasione, ma non vogliamo che la NATO partecipi a questa guerra”.

Contrario anche il Belgio. Il primo ministro Alexander De Croo ha detto a Joe Biden durante i colloqui a Washington che esclude l’uso delle proprie armi, compresi gli aerei da combattimento F-16, al di fuori dell’Ucraina. Il primo ministro ha aggiunto che il 28 maggio, durante la visita del presidente ucraino a Bruxelles, il Belgio si è impegnato a fornire all’Ucraina 30 F-16 entro il 2028.

Contraria anche l’Austria (membro della UE ma non della NATO che non ha mai fornito armi a Kiev) ma solo aiuto economici e umanitari. A Vienna il partito FPÖ (in testa nei sondaggi per le elezioni europee) è critico verso gli aiuti a Kiev mentre SPÖ e Verdi li appoggiano.

Ovviamente contraria l’Ungheria, che non ha mai fornito aiuti militari a Kiev e la Slovacchia il cui governo ha sospeso gli aiuti concessi dall’esecutivo precedente. A Budapest il premier Viktor Orban accusa NATO e UE di cercare una pericolosa escalation con la Russia. “Se permetteremo all’Ucraina con le armi che fornisce anche l’Italia di colpire in Russia ci saranno conseguenze con una forte reazione russa e il rischio di un coinvolgimento della NATO è a un passo” ha detto in un’intervista al Giornale. “L’Ungheria confina con l’Ucraina, non è una guerra qualsiasi ma al nostro confine.

L’Italia è lontana geograficamente, per voi è un’altra cosa. Ci sono cittadini ungheresi della minoranza magiara in Ucraina che combattono con l’esercito ucraino e perdono la vita, siamo l’unica nazione dell’Ue i cui cittadini perdono la vita in Ucraina. La guerra è stata iniziata dalla Russia, su questo non ci sono dubbi ma noi dobbiamo chiederci come agire. Siamo a un bivio: o isolare il conflitto e trovare una strada diplomatica o andare più a fondo nella guerra“, ha aggiunto Orban definendo la strategia dell’Ue “fallimentare anche tatticamente: non ci rendiamo conto che stiamo giocando con il fuoco”.

Guardando alla nomina del prossimo segretario generale della NATO, ieri Orban ha detto che l’Ungheria non può sostenere un Segretario generale favorevole all’obbligatorietà della partecipazione di tutti gli Stati membri alle operazioni militari al di fuori del territorio dell’alleanza. “Vorremmo concludere un accordo con il futuro Segretario Generale sul fatto che non parteciperemo alle operazioni della Nato contro i russi in Ucraina, anche se ne siamo membri” ha spiegato.

In Slovacchia il premier Roberto Fico, scampato a un grave attentato, ha detto oggi che “il consenso dei Paesi che hanno dato all’Ucraina il permesso di usare le armi occidentali per attaccare obiettivi in territorio russo, è solo la prova che le grandi democrazie occidentali non vogliono la pace, ma un’escalation delle tensioni con la Federazione Russa, che sicuramente avverrà.

Come primo ministro, non trascinerò la Slovacchia in simili avventure militari e, nei limiti delle nostre piccole capacità slovacche, farò tutto il possibile per garantire che la pace abbia la precedenza sulla guerra. Ho votato in ospedale, perché anche queste elezioni sono importanti. È necessario eleggere membri del Parlamento europeo che sosterranno le iniziative di pace e non la continuazione della guerra”, ha scritto ancora Fico.

In Bulgaria, dove il 9 giugno si vota non solo per eleggere i 17 rappresentanti al Parlamento europeo ma anche per le elezioni parlamentari anticipate (sesta elezione nazionale in tre anni) e il dibattito è serrato sul coinvolgimento nella guerra, il presidente Rumen Radev ha attaccato nei giorni scorsi il governo.

“Il coinvolgimento della NATO nella guerra tra Russia e Ucraina è ormai ‘un segreto di Pulcinella’ che sta diventando sempre più pubblico e comporta il rischio di un’escalation incontrollata, inclusa la guerra nucleare. I nostri sedicenti ‘euroatlantici’ sono codardi e incapaci di prendere una simile decisione da soli, perché sanno benissimo che saranno ostracizzati e ripudiati dalla società. Altrimenti, se lasciassimo fare a loro, manderebbero volentieri tutti i bulgari a combattere al fronte contro i russi.  

Il presidente ha invitato i politici bulgari a rendersi conto che finora esistevano due linee rosse che frenavano l’escalation incontrollata della guerra tra Russia e Ucraina: “la limitazione della guerra solo sul territorio ucraino e l’esclusione di uno scontro diretto tra le forze della NATO e della Russia. Eliminando le restrizioni sull’uso da parte dell’Ucraina di armi occidentali per colpire obiettivi militari in profondità nel territorio russo, e con l’ufficializzazione dell’invio di consiglieri e istruttori occidentali direttamente sul fronte, queste linee rosse vengono cancellate e sfortunatamente, i nostri politici risultano coinvolti in tali decisioni inadeguate con tutte le conseguenze che ne derivano”.

 

Quale impatto militare?

Molti analisti valutano che l’impiego delle armi occidentali sul suolo russo potrà fornire un supporto utile a favorire la resistenza delle forze ucraine, pressate su quasi tutti i fronti e costrette dai russi a ritirarsi da diverse posizioni nelle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhia e Kharkiv.

Le armi occidentali potranno colpire depositi, comandi, qualche base o concentramenti di truppe nelle retrovie in Russia, distruggere alcuni radar o lanciatori di missili della difesa aerea ma non cambieranno gli equilibri sul campo che vedono i russi disporre di una superiorità crescente mentre gli ucraini sono sempre più deboli e a corto di munizioni, armi, mezzi e truppe.

Vladimir Putin in un’intervista ha sottolineato che ‘dal punto di vista della presenza di consiglieri e istruttori, qui non c’è novità: sono presenti da tempo sul territorio dell’Ucraina e, sfortunatamente per loro, subiscono perdite, lo so per certo” ma “nei paesi europei e negli Stati Uniti preferiscono tenere tutto sotto silenzio”.

Putin ha espresso valutazioni anche circa possibili rappresaglie per l’impiego di armi occidentali a raggio più esteso sul territorio russo. Una risposta che “potrebbe essere asimmetrica. Stiamo pensando al fatto che se qualcuno pensa che sia possibile fornire tali armi in una zona di combattimento per colpire il nostro territorio e crearci problemi, allora perché non abbiamo il diritto di fornire le nostre armi della stessa classe a Paesi terzi?”, ha spiegato. “Ci penseremo”, ha aggiunto lasciando intendere la possibile fornitura di armi russe alle milizie che attaccano le forze statunitensi, riferendosi probabilmente a Iraq e Siria o ad attacchi cyber o allo schieramento di armi russe in nazioni vicine agli Stati Uniti.

In una intervista a Euronews, Ed Arnold, analista presso il think-tank britannico R.U.S.I  ha ammesso a inizio maggio che le forze armate russe sono in una situazione migliore rispetto a sei mesi fa, e che la situazione per le forze ucraine è veramente molto difficile. Anche i nuovi aiuti varati dal Congresso degli Stati Uniti consentiranno forse di mantenere il fronte ma è impensabile organizzare controffensive per carenza di uomini e mezzi.

Senza contare che l’industria ucraina è in ginocchio, paralizzata dalla perdita dell’86 per cento della capacità produttiva elettrica, come ha ammesso al Washington Post il direttore generale di DTEK Maxim Timchenko.

Sul piano militare, come riporta l’agenzia di stampa UNN, il capo del direttorato principale della pianificazione della Difesa ucraina, il generale Yevhen Ostryansky, ha disposto di ridurre del 60 per cento il personale assegnato agli stati maggiori per liberare personale per il fronte mentre si fanno più pressanti le richieste di Kiev alle nazioni europee di rimandare in Ucraina i maschi tra i 18 e i 60 anni rifugiatisi all’estero e si moltiplicano le notizie di cittadini ucraini reclutati a forza e inviati al fronte senza addestramento.

Il calo costante della qualità dei militari ucraini dovuta anche ai ridotti tempi di addestramento determina perdite sempre più elevate favorite anche dal fatto che i russi riescono ad esprimere un volume di fuoco sei o sette volte superiore a quello del nemico.

L’Ucraina “perde 50.000 soldati ogni mese” mentre le perdite russe sono “di diverse volte inferiori” ha affermato ieri il presidente russo Vladimir Putin in un’intervista all’ANSA e ad alcune delle principali agenzie internazionali. Putin ha aggiunto che attualmente i prigionieri russi in mani ucraine sono 1.348, mentre gli ucraini prigionieri sono 6.465.

Sul nuovo fronte nella regione di Kharkiv sono stati inviati a combattere anche reparti di polizia e guardie di frontiera e sarebbe logico attendersi che i russi attuino una nuova penetrazione in territorio ucraino anche più a nord, nella regione di Sumy.

Il canale Telegram russo Slavyangrad, che monitora gli annunci mortuari sui giornali ucraini, ne aveva contati a metà maggio 463.400 mentre il canale Telegram ucraino War Tears riferiva al 16 maggio di 508 mila morti, 17 mila prigionieri e solo 256 mila militari in servizio.

Numero indirettamente confermato anche da una fonte militare francese che, protetta dall’anonimato, ha riferito all’agenzia di stampa AFP che l’Ucraina fatica a schierare sulla linea del fronte 250mila militari e che in tutte le brigate l’organico è sottodimensionato del 40%: secondo la fonte l’apertura del fronte nel nord della regione di Kharkiv (Kharkov per i russi) le forze di Kiev sono costrette a diluirsi su una linea di fronte ancora più lunga indebolendo gli altri settori, azzerando le riserve e favorendo l’avanzata russa.

Stabilire il numero dei caduti in questo conflitto è compito arduo (Kiev sostiene di aver ucciso in oltre due anni mezzo milione di russi, Mosca di aver eliminato solo nel mese di maggio 43mila soldati nemici) ma un articolo del New York Times del 5 maggio intitolato “DNA Tests and stranded bodies” riferisce  che le perdite Ucraine sono così elevate che non si riesce a comunicarle alle famiglie in tempi rapidi e le autorità non riescono a mantenere un conteggio affidabile. Molti soldati rinvenuti cadaveri risultano ancora nelle liste dei dispersi.

Oggi lo stato maggiore ucraino ha annunciato che le truppe russe hanno perso in combattimento 1.210 uomini, morti o feriti, nel corso della giornata di ieri. Nel complesso, lo stato maggiore ucraino sostiene che la Russia ha perso più di 500mila combattenti dall’inizio della guerra nel febbraio 2022. Nell’agosto 2023 il New York Times, citando funzionari americani, ha stimato le perdite militari russe in 120mila morti mentre oggi Joe Biden valuta le perdite in 350 mila morti e feriti cifra sostenuta anche nel gennaio scorso dall’allora ministro della Difesa britannico, James Heappey: difficile però credere a perdite russe così elevate e al tempo stesso che Mosca si prepari ad invadere l’Europa, come sostengono alcuni.

Un mese or sono in una intervista il generale Vadym Skibitsky vice capo dello spionaggio militare Ucraino, aveva espresso il proprio scetticismo a proposito delle possibilità di vittoria sul campo di battaglia da parte Ucraina. Si era anche detto certo della caduta di Chasiv Yar. Il militare stimava in 35mila, aumentabili fino a 50/70mila le forze russe dislocate a nord di Kharkiv.

In aumento anche i casi di resa di soldati ucraini. Al netto degli scambi che con cadenza periodica vengono effettuati dai belligeranti, secondo il canale Telegram ucraino Resident, sarebbero oltre 20mila soldati ucraini prigionieri (il canale ucraino WarTears ne calcola oltre 17mila) a fronte di soli 800 soldati Russi e circa 5mila separatisti del Donbass. Altre fonti riferiscono che attualmente gli ucraini riescono a ripianare con il reclutamento solo il 25 per cento delle perdite subite.

Che le cose vadano male sul fronte militare per l’Ucraina lo confermerebbero anche le voci che circolano negli ambienti parlamentari di Kiev circa la probabile rimozione del capo delle forze armate Aleksander Syrsky, che pochi mesi or sono aveva preso il posto di Valery Zaluzhny.

@GianandreaGaian

Foto: Ministero Difesa Russo, Ministero Difesa Ucraina, RIA-Novosti, MBDA, France Info, Presidenza Francese, Ministero Forze Armate Francesi, Euractiv e Governo Ungherese

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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