Tra minaccia globale e leader supponenti chi difende i nostri interessi vitali?

 

Stiamo andando incontro ad una catastrofe nucleare? Questo il pensiero che ormai attraversa la mente di tutti. Il quadro strategico delle relazioni internazionali che sembrava essersi cristallizzato sulla guerra Ucraina-Russia, è stato improvvisamente sconvolto dall’attacco terroristico di Hamas contro kibbutz e festività (7 ottobre 2023) presso località e centri abitati israeliani. Attacco terroristico la cui “carneficina” che ha inorridito il mondo.

A tale attacco c’è stata l’immediata ed evidente reazione militare israeliana in Gaza, tuttora in corso, con un’ecatombe di vittime civili che sta alienando le simpatie alla difesa ebraica.

Ma quanto in precedenza espresso non era sufficiente per rappresentare, con fosche tinte, il quadro strategico mondiale dietro il quale la scelta dei colori e delle tonalità è operata da tre “artisti” che – con una irriducibile concorrenza – stanno tentando di ridisegnare, ognuno a proprio vantaggio, un “Nuovo Ordine Mondiale”.

Infatti sono sopravvenuti altri eventi dirompenti:

  • il 1° aprile 2024, un attacco aereo israeliano contro un edificio dell’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria, ha provocato 16 vittime. Fra queste il generale Mohamed Reza Zahedi leader di primo piano delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane, in stretti rapporti con Hezbollah libanese;
  • la risposta iraniana non si è fatta attendere e nella notte tra sabato 13 e domenica 14 aprile 2024 le forze militari iraniane hanno attaccato con oltre 300 tra droni e missili (balistici e da crociera), numerose basi militari nel territorio di Israele;
  • il contro attacco israeliano nella notte del 19-04-24 con droni lanciati sulla base aerea iraniana di Isfahan.

Al momento la contro risposta iraniana non c’è stata ed è auspicabile che il “war game” non si traduca in una spirale di escalation.

Ora sono in atto miriadi di talk-show per conoscere sia quanto sta succedendo sia quanto potrebbe accadere. Contestualmente c’è stato un innalzamento globale del livello di preoccupazione della pubblica opinione a livello globale, nonché un concomitante innesco della paura per un terzo conflitto mondiale con escalation nucleare.

La gente comune appare spaventata e si chiede se la leadership politica mondiale non sia affetta dal “disturbo bipolare”, in passato definito “sindrome maniaco-depressiva”, che si manifesta con l’alternanza di episodi di depressione e maniacali.

Infatti, taluni comportamenti in politica estera appaiono caratterizzati da una prevalenza di episodi maniacali contraddistinti da sensazioni di estrema esaltazione notevolmente esagerata nei riguardi della criticità delle situazioni sopra accennate. L’azione politica non appare più finalizzata alla tutela degli interessi vitali nazionali (o meglio ancora, globali) – sicurezza dei cittadini e loro benessere economico – ma a rafforzare soltanto la propria leadership politica mirata a conseguire interessi di parte se non addirittura personali, simili al tanto esecrato “culto della personalità”.

Nei conflitti in atto non si sono mai affacciate – sulla piattaforma delle relazioni internazionali – serie iniziative di mediazione per la ricerca di un accordo o di un compromesso tale da porre fine alla enorme perdita di vite umane. Senza contare l’immane distruzione di abitazioni, mezzi ed infrastrutture – specie quelle critiche – sia in Ucraina sia a Gaza. Ma né i negoziati di Istanbul, né quelli di Doha e/o del Cairo, né quelli tuttora in atto sono riusciti a corteggiare con successo questa altera ed imparziale signora dal nome “Mediazione”.

Qualora ci sia una ulteriore risposta iraniana all’attacco israeliano potrebbero essere coinvolti nel conflitto Usa, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, nonché le controparti iraniane di Siria, Iraq e Yemen con un allargamento del conflitto a tutta l’area medio-orientale.

Anziché attenuare l’alto rischio di escalation tramite la Mediazione si vuole ampliare l’area conflittuale? Si vuole che l’ONU consegua la stessa sorte della “Società delle Nazioni”?

L’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite non esime alcun governo ed alcuno Stato – soprattutto durante la guerra – dall’obbligo di cessare dalla violenza e dalla distruzione, nonché di promuovere politicamente tutti gli sforzi necessari – anche nei confronti del proprio popolo – per trovare una soluzione diplomatica ai conflitti, esercitando il buon senso.

Prima che si giungesse a questo punto di “quasi non ritorno”, in passato sono state esperite numerose iniziative di mediazione, purtroppo miseramente fallite: per individuarne correttamente le responsabilità occorrerebbero “fiumi di inchiostro”.

Non ci si rende conto che più a lungo dura lo stato di conflittualità più aumentano non solo i decessi e le distruzioni, ma anche il rischio di un olocausto nucleare con la potenziale distruzione del genere umano.

Se questa leadership bipolare valuta di potersi salvare rifugiandosi nei ricoveri antiatomici, provi ad immaginare come potrà sopravvivere al day-after senza i mezzi di produzione e la forza lavoro delle braccia umane per ricreare beni e servizi.

La situazione attuale purtroppo ha raggiunto il massimo dell’esposizione a questo rischio in quanto sul confronto esclusivamente politico-ideologico est/ovest (NATO-Russia) si è innestato quello economico-religioso nord-sud (Occidente-Iran) dalle caratteristiche più dirompenti per l’ingerenza del terrorismo jihadista.

L’area pivot della “saldatura” conflittuale globale è rappresentata dall’Iran che con la sua reazione bellica in danno di Israele ha scardinato gli obsoleti concetti geostrategici di Heartland e Rimland tramite i quali si sono basati finora gli equilibri di potenza. In effetti la guerra russo-ucraina è figlia di questi postulati poiché si intendeva impedire la costituzione di un robusto Heartland russo-tedesco a scapito del Rimland a Stelle e Strisce.

Alcuni commentatori politici esperti d’area hanno sottolineato che il conflitto Iran/Israele più che un confronto economico sta ripercorrendo le linee mai dissolte dello scontro sciiti-sunniti.

La successione temporale dell’attuale criticità pone in evidenza che l’attacco terroristico del 7 ottobre 2023 – realizzato da Hamas, ma predisposto da Teheran – si è sviluppato mentre si stavano perfezionando gli Accordi di Abramo   con la auspicata normalizzazione delle relazioni diplomatiche fra Arabia Saudita e Israele. L’intento era chiaro: la distruzione dello Stato israeliano voluta dall’Iran non veniva più condivisa dal suo atavico nemico religioso (Arabia Saudita), motivo per cui occorreva impedire la coalizione di due nemici, prima separati.

Secondo i citati commentatori questa nuova linea strategica sarebbe stata pilotata dalla leadership delle Guardie della Rivoluzione Islamica – alias Pasdaran – sia attraverso un’autorevole influenza sulla linea politico-teologica degli Ayatollah sia mediante un potenziamento atomico finalizzato all’arricchimento dell’uranio per fini bellici: ormai ha raggiunto il 60%, arricchimento quasi sufficiente per produrre un ordigno nucleare. Nel merito, il rappresentante del Comitato per la Sicurezza Nazionale del Parlamento iraniano, Abolfazl Amouei, ha dichiarato che se Israele dovesse rispondere all’attacco di droni e missili dell’Iran, il Paese è “pronto a impiegare un’arma che non abbiamo mai impiegato”.

In tale nuovo quadro strategico, in via di composizione, si sta legittimando l’intervento cinese come superpotenza in grado di avviare e sviluppare processi di mediazione, non solo fra est-ovest (guerra in Ucraina) ma anche fra nord-sud come credibile interlocutore fra sciiti e sunniti. La Cina – in armonia con le proprie caratteristiche culturali (confucianesimo), nonché con i nuovi concetti geopolitici espressi tramite le “Nuove vie della seta” – sta promuovendo la propria strategia geopolitica in in concordanza con lo slogan di Deng Xiaoping: “Tieni sempre un basso profilo e non avere fretta”.

Con la suddetta prospettiva, la Cina sta procedendo con sempre maggior audacia sull’orizzonte internazionale cercando di ridurre il rischio reale di una saldatura fra il conflitto in Medio Oriente e quello tra Russia e Ucraina che coinvolge l’attore politico che fa da cerniera ad entrambi: Teheran.

In tale contesto Pechino:

  • afferma che l’Iran vuole dar prova di moderazione e non ha intenzione di aggravare ulteriormente la situazione invitando entrambi i contendenti (Israele ed Iran) alla moderazione”;
  • riceve la patente di mediatore dall’Arabia Saudita per appianare i dissapori dell’arena islamica;
  • rafforza l’avamposto tedesco per la sua cooperazione “Win-Win” con l’asfittica Europa;
  • propone in 12 punti un piano per la composizione del conflitto russo-ucraino.

Le sue reali aspirazioni sembrano quelle di accreditarsi sull’orizzonte internazionale quale Grande Potenza responsabile, – non più relegata a manifestare le sue buone intenzioni ed a rispettare le regole internazionali – ma a proporre nuove regole sotto lo slogan del “Win-Win” per farle accettare globalmente. Inoltre è proiettata a “risolvere” le crisi, mantra divenuto ormai imperativo categorico per la sua espansione commerciale e per l’approvvigionamento di energia e materie prime.

Due sono i punti fermi per Pechino:

  • primo: un Medio Oriente pacifico e stabile perché la persistenza e/o l’escalation di conflitti in quell’area le costano molto in termini economici sia per un’interruzione delle forniture di petrolio sia delle rotte marittime internazionali per l’approvvigionamento di materie prime;
  • secondo: la fine del conflitto russo-ucraino per poter avviare una partnership commerciale con la UE in cui la Germania diventi l’hub terminale delle tre Nuove vie della seta: terrestre, marittima e artica.

Pechino non resterà con le mani in mano di fronte a possibili escalation e con molta probabilità si schiererà a fianco o in difesa dell’Iran con imprevedibili conseguenze.

Il tempo dei “cunctator” (temporeggiatore) è terminato, occorre agire prima che il rischio dell’escalation estrema – ancorché limitata al campo tattico – diventi irreversibile. È tempo di porre mano ad un serio processo diplomatico, anche tramite la cosiddetta “diplomazia parallela” degli Organismi di Intelligence e Sicurezza. Le iniziative devono essere avviate con precisi obiettivi: anemizzare la conflittualità in atto, per scongiurare – prima che sia troppo tardi – l’ampliamento di confitti regionali fra loro in stretta correlazione, nonché ristabilire accordi di sicurezza globali con caratteristiche multilaterali a garanzia di un nuovo ordine mondiale condiviso.

Foto: IDF, Ministero Difesa Russo e Agenzia Nuova Cina

 

Luciano Piacentini, Claudio MasciVedi tutti gli articoli

Luciano Piacentini: Incursore, già comandante del 9. Battaglione d'Assalto "Col Moschin" e Capo di Stato Maggiore della Brigata "Folgore", ha operato negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico. --- Claudio Masci: Ufficiale dei Carabinieri già comandante di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali dove ha concluso la sua carriera militare.

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