L’arma dell’energia di UE e Ucraina contro Ungheria e Slovacchia

 

Mentre diverse nazioni della UE annunciano di voler boicottare la presidenza di turno dell’Ungheria e il premier Victor Orban, colpevole di cercare (per conto di Donald Trump) la pace nel conflitto in Ucraina, una “tempesta perfetta” sembra pronta ad abbattersi su Budapest e Bratislava.

Anche la Slovacchia è nel mirino della UE da quando al governo è tornato Robert Fico, che ha sospeso le sanzioni a Mosca e gli aiuti militari all’Ucraina venendo poi quasi ucciso in un attentato. Slovacchia e Ungheria hanno dichiarato il 18 luglio di aver smesso di ricevere petrolio dal fornitore chiave Lukoil, dopo che l’Ucraina il mese scorso ha imposto un divieto al transito alle risorse dalla compagnia energetica russa attraverso il suo territorio.

L’iniziativa evidenzia l’instabilità delle rimanenti forniture di petrolio russo all’Europa attraverso l’oleodotto sovietico Druzhba, l’ultima grande via di rifornimento di petrolio russo verso il continente. Sia la Slovacchia che l’Ungheria hanno affermato che continuano a ricevere petrolio da altre società russe, nonostante l’interruzione delle forniture da parte di Lukoil. Budapest dipende dal petrolio russo per il 70 per cento del suo fabbisogno e non ha mai aderito agli appelli di USA e UE a diversificare i fornitori rinunciando all’energia di fonte russa: anzi, Orban ha firmato negli due anni nuove intese energetiche con Mosca.

Il ministero dell’Economia slovacco ha dichiarato il 18 luglio che le consegne di petrolio da Lukoil hanno smesso di fluire verso la Slovacchia attraverso l’Ucraina, in seguito all’inclusione della società nell’elenco delle sanzioni ucraine. “Secondo i dati della compagnia petrolifera slovacca Transpetrol, le consegne di petrolio russo alla Slovacchia non sono state fermate. Secondo la raffineria slovacca Slovnaft il problema sono le consegne del fornitore Lukoil”, ha detto il ministero, aggiungendo che Slovnaft si è assicurata le consegne da un altro fornitore.

Il ministero ha riferito anche che sta discutendo la questione con i partner ucraini mentre il primo ministro slovacco Robert Fico ha detto che “l’inclusione della Lukoil russa nell’elenco delle sanzioni sia solo un altro esempio di una sanzione assurda che non danneggia la Russia, ma soprattutto alcuni paesi dell’UE, il che è inaccettabile”, si legge nella nota.

Tra l’altro i nuovi ordini dell’industria slovacca sono scesi dell’1,2 per cento tra maggio 2023 e maggio 2024, come ha reso noto ieri l’Ufficio di statistica di Bratislava.

Il presidente slovacco Peter Pellegrini ha detto che la Slovacchia non si unirà al boicottaggio della presidenza ungherese dell’UE dopo la visita del premier Viktor Orbán a Kiev, Mosca e Pechino nel tentativo di avviare un negoziato per la pace in Ucraina. . “Voglio chiarire che finché l’Ungheria presiederà il Consiglio dell’Ue, la Slovacchia non si unirà a nessun tentativo di boicottaggio dell’Ungheria”, ha detto Pellegrini.

“La Slovacchia non vede alcun motivo per punire l’Ungheria, che è un Paese indipendente, per le azioni del suo primo ministro che non piacciono a nessuno. Ha aggiunto che nessuno può essere punito per aver voluto instaurare un dialogo e “la Slovacchia non lo farà”.

Fico aveva già dichiarato che i rappresentanti della Slovacchia nelle istituzioni dell’Ue non avrebbero appoggiato la punizione dell’Ungheria per la visita di Orban a Mosca e a Pechino. Orban si è recato a Kiev il 2 luglio, dove ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky; il 5 luglio è arrivato a Mosca per incontrare il presidente Vladimir Putin; l’8 luglio ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping a Pechino.

Il giorno successivo è arrivato a Washington, dove ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan nell’ambito del vertice NATO: un viaggio che ha suscitato un’ondata di critiche da parte dell’Unione Europea.

La Russia continua a fornire gas all’Europa attraverso l’Ucraina, nonostante l’invasione di Mosca nel febbraio 2022 e il conseguente conflitto militare. Il 16 luglio il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, ha affermato che le spedizioni di gas dalla Russia all’Ungheria fluiscono senza ostacoli attraverso il gasdotto TurkStream sul Mar Nero, ma il petrolio non viene più trasferito da Lukoil attraverso l’Ucraina. “A causa di una nuova situazione legale in Ucraina, Lukoil non effettua più consegne in Ungheria; ora stiamo lavorando a una soluzione che consentirà di riavviare il transito, poiché il petrolio russo è molto importante per la nostra sicurezza energetica”.

Comer ricorda l’agenzia di stampa Energia Oltre, alcune fonti del settore affermano che circa 1,1 milioni di tonnellate al mese di petrolio russo (circa 250.000 barili al giorno) sono state esportate attraverso il tratto meridionale di Druzhba, di cui circa 900.000 tonnellate sono quasi equamente divise tra Slovacchia e Ungheria.

La compagnia energetica ungherese MOL possiede raffinerie in Ungheria e Slovacchia, entrambe alimentate dal tratto meridionale dall’oleodotto Druzhba. Le raffinerie necessitano di ingenti investimenti per diversificare le raffinerie del Danubio e di Slovnaft lontano dal petrolio Urals. Szijjarto ha dichiarato che una soluzione legale su cui MOL sta lavorando consentirebbe a Lukoil di trasportare petrolio in Ungheria attraverso l’Ucraina e la Bielorussia.

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha definito le interruzioni del transito petrolifero russo attraverso l’Ucraina “una crisi” per gli acquirenti di petrolio interessati, ma ha detto che c’è poco spazio per colloqui con le società di transito ucraine, perché la decisione è politica. “Non penso avremo la possibilità di entrare in contatto con le aziende ucraine che forniscono il transito. Questa decisione non è stata presa a livello tecnico, ma politico”, ha detto Peskov, aggiungendo che “non abbiamo dialogo, la situazione è piuttosto critica per i nostri beneficiari di petrolio, ma non dipende da noi”

La compagnia energetica ungherese MOL possiede raffinerie in Ungheria e Slovacchia, entrambe alimentate dallo sperone meridionale dell’oleodotto Druzhba. Il ramo meridionale dell’oleodotto Druzhba corre attraverso l’Ucraina verso la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l’Ungheria, ed è da anni la principale fonte di approvvigionamento per le loro raffinerie. Rosneft, Lukoil e Tatneft sono stati i principali esportatori russi lungo questa rotta.

Per comprendere il clima che si è creato in alcuni stati membri della Ue nei confronti dell’Ungheria basta osservare le dichiarazioni del ministro degli Esteri estone, Margus Tsahkna. “Abbiamo il dovere di inviare all’Ungheria un forte messaggio politico che le azioni intraprese durante la sua presidenza del Consiglio dell’Ue sono inaccettabili e che, qualora continuasse a tenere immutato il proprio profilo, tra pochi mesi non sarà più possibile collaborare”.

Tsahkna ha a tal proposito sottolineato che la possibilità di applicare la limitazione del diritto di voto dell’Ungheria è stata presa in considerazione in sede Ue, sebbene nessuna decisione sia stata ancora adottata. Il ministro ha inoltre ribadito la necessità di sostenere l’Ucraina con misure concrete. “L’Ucraina combatte per la libertà e il futuro di tutti noi”, ha detto Tsahkna. “Sono convinto che sia lo strumento europeo per la pace che l’utilizzo delle entrate dei beni statali congelati dalla Russia per sostenere l’Ucraina daranno buoni frutti”.

Per comprendere la posizione dell’Estonia basti pensare che il governo ha dato il via alla costruzione di 600 bunker di cemento al confine con la Federazione Russa per frenare un’invasione. Le autorità estoni prevedono di iniziare a creare una linea difensiva lungo il confine russo nel 2025 che comprenderà anche barriere anticarro e filo spinato, come ha riferito il portale statale estone ERR.

Come ha ricordato Analisi Difesa, a fine anno cesseranno anche i flussi di gas russo attraverso i gasdotti ucraini, aspetto che metterà in crisi soprattutto Ungheria, Slovacchia e Austria tenuto conto che, al di là delle dichiarazioni dei vertici della UE, nei mesi di maggio e giugno il maggior fornitore di gas all’Unione Europea è stata proprio la Russia.

Le tre nazioni della Mitteleuropa, nessuna delle quali arma Kiev, rischiano quindi di subire danni molto gravi dall’interruzione delle forniture energetiche russe via Ucraina e restano quindi suscettibili di pressioni politiche ed economiche da parte di Kiev e della UE.

Del resto uno degli obiettivi della seconda Commissione von der Leyen è la riforma dei trattati per togliere potere ai “piccoli” stati europei tra i quali vengono sicuramente considerati Slovacchia e Ungheria. Come spesso accade ed è accaduto nella UE, il rigore si applica solo ai “piccoli” e ai governi dissenzienti rispetto alle politiche comunitarie che dal sostegno militare all’Ucraina al riarmo, dalle sanzioni alla Russia alle politiche green stanno mettendo in ginocchio le economie europee e continueranno a farlo.

Basti pensare che nonostante le sanzioni contro la flotta mercantile russa, numerose navi con la bandiera della Federazione continuano a raggiungere i porti e le chiuse tedesche grazie alle deroghe concesse alla norma comunitaria. Ben 132 i casi rilevati secondo l’Ufficio federale dell’economia e del controllo delle esportazioni, come riporta Der Spiegel. Nel 2022, 80 navi russe hanno potuto fare scalo in Germania, 38 l’anno scorso e 14 dall’inizio dell’anno.

Per fare un confronto: nel 2021, prima dell’entrata in vigore delle sanzioni, ci sono stati 365 arrivi nei porti tedeschi. Le eccezioni per la flotta russa, che conta un totale di circa 2.800 navi, riguardano principalmente l’acquisto, l’importazione e il trasporto di prodotti agricoli come fertilizzanti, alimenti o prodotti medici e farmaceutici.

Esistono anche permessi per materie prime o prodotti chimici. Molte eccezioni riguardavano anche il Canale di Kiel, che divide lo Schleswig-Holstein all’incirca a metà. Oltre alle navi russe che si dirigono verso le chiuse e i porti tedeschi, riporta ancora Der Spiegel, ci sono una serie di altre navi che, nonostante le sanzioni, continuano a portare molti soldi nelle casse di guerra di Mosca, spesso sotto la bandiera di un altro paese. È il caso della ‘flotta ombra’ creata dal 2022 e che sostiene le esportazioni di petrolio russo. Allianz Commercial stima che siano tra le 600 e le 1.400 navi che salpano per l’Asia per vendere il petrolio sanzionato in Occidente.

@GianandreaGaian

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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