Ucraina nella NATO? Di irreversibile c’è solo la morte

 

Il bilancio del summit NATO di Washington per i 75 anni dell’Alleanza Atlantica sembra confermare la tendenza dell’Occidente a cercare il confronto militare con la Russia e quella degli Stati Uniti e dei loro vassalli a lasciare un’Europa sempre più debole sul piano politico, militare, sociale ed economico.

La prima tendenze sembra destinata a restare immutata almeno fino alle elezioni di novembre negli Stati Uniti mentre la tendenza a mantenere l’Europa debole verrà mantenuta e rafforzata anche dalla futura amministrazione statunitense perché rientra negli interessi di Washington indipendentemente dal fatto che alla Casa Bianca sieda un democratico o un repubblicano.

Tra i protagonisti del summit di Washington vi sono stati Joe Biden (giudicato da alcuni irrimediabilmente da sostituire nella corsa alla Casa Bianca e da altri “molto lucido” nonostante qualche gaffe) e il segretario generale della NATO, Lens Stoltenberg, che presto cederà lo scranno all’olandese Mark Rutte, un altro fedelissimo scudiero degli interessi di statunitensi.

Dopo aver annunciato che l’adesione dell’Ucraina alla NATO è questione “di quando, non di se”, Stoltenberg ha definito l’accesso di Kiev all’alleanza come “irreversibile”. Questione ribadita in modo perentorio dal premier estone Kaja Kallas, sempre in prima linea sul fronte anti-russo e candidata a ricoprire il ruolo di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea.

Utile ricordare che tra le sue tante dichiarazioni bellicose brilla per lucidità strategica l’auspicio di una Russia sconfitta e divisa in 16 repubbliche in lotta tra loro: scenario così destabilizzante da minacciare la sicurezza mondiale anche solo perché rischierebbe di portare alla perdita del controllo su oltre 6.500 testate nucleari.

Per ben comprendere quale contributo possa offrire all’Europa la saggezza della signora Kallas è sufficiente provare a immaginarla alla testa della delegazione UE, in qualità di Alto Rappresentante, in caso di negoziati di pace tra Ucraina e Russia.

L’ingresso irreversibile dell’Ucraina nella NATO è solo un impegno politico che non ha ancora nessuna concretezza: non c’è una data né una road-map e lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ammesso che l’adesione è impossibile finché perdura la guerra.

Aria fritta potremmo dire, anche se in termini concreti due aspetti sono stati ignorati dal segretario generale della NATO e dagli stati membri. Innanzitutto, l’adesione dell’Ucraina alla NATO, anche se solo annunciata, significa stato di guerra a oltranza (forse dovremmo dire “irreversibile”) con la Russia, poiché vorrebbe dire truppe e basi statunitensi a 500 chilometri da Mosca proprio mentre gli Stati Uniti hanno appena avuto il via libera da Helsinki ad accedere a una dozzina di basi in territorio finlandese, a due passi da San Pietroburgo e dalla Carelia russa.

Una prospettiva la cui pericolosità è facilmente intuibile con un po’ di buon senso: basta immaginare come reagirebbe Washington alla presenza di basi russe (o cinesi) in Canada o in Messico per comprendere in quale contesto si sta posizionando l’Europa.

I governanti dei 32 stati alleati ne sono consapevoli? Sono tutti concordi con l’ingresso dell’Ucraina nella NATO? Ungheria e Slovacchia non lo sono, non almeno con gli attuali governi a memo che si punti a risolvere il problema in futuro con qualche rivoluzione colorata o in stile Maidan.

Il primo ministro ungherese Viktor Orban si è espresso esplicitamente contro l’adesione di Kiev alla NATO al vertice di Washington durante una riunione plenaria a cui era presente anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa americana Bloomberg. Durante il summit dell’11 luglio Orban ha rifiutato di nuovo il sostegno militare all’Ucraina e ha suggerito che Kiev non debba unirsi all’alleanza, secondo fonti citate dall’agenzia di stampa.

Orban è stata pesantemente attaccato da tutta la UE che addirittura vorrebbe trovare un escamotage per privare Budapest delle sue prerogative legate alla presidenza di turno dell’Unione. Come era apparso subito chiaro (almeno ad Analisi Difesa), Orban ha visitato Kiev, Mosca, Pechino e Ankara in veste di “ambasciatore” di un piano di pace messo a punto da Donald Trump, che grazie al premier ungherese sta mettendo avanti il suo programma per concludere il conflitto se si insedierà nuovamente alla Casa Bianca. Al termine del tour infatti Orban è tornato da Trump, a Mar a Lago, per riferire circa le consultazioni.

Poche ore dopo, Trump ha subito un attentato in cui è stato leggermente ferito da un colpo di striscio all’orecchio che solo per pochissimi centimetri non è stato letale. Proprio come nell’attentato a Robert Fico del maggio scorso a cui il premier slovacco è sopravvissuto miracolosamente.

“Capisco i desideri dell’Ucraina, è un paese sovrano, ma l’adesione dell’Ucraina alla NATO è solo una garanzia della terza guerra mondiale”, ha detto Fico, che non ha seguito Orban nella sua missione diplomatica solo perché alle prese con una lunga riabilitazione dopo il grave attentato subito.

A conferma che per trovare buon senso nelle nazioni aderenti a NATO e UE circa il conflitto in Ucraina occorre oggi guardare principalmente alla Mitteleuropa, il presidente croato Zoran Milanovic ha invitato tutti a non fare all’Ucraina promesse che non si è in grado di mantenere. In riferimento alla dichiarazione finale del summit di Washington.

“L’Ucraina è minacciata da una gravissima crisi economica e demografica. Noi dobbiamo essere onesti con loro e non fare promesse che non siamo in grado di mantenere. Si dice che il cammino dell’Ucraina verso la NATO è irreversibile, questo va preso molto sul serio poiché si tratta di qualcosa di vincolante”, ha detto il presidente croato, sottolineando come nei tempi pericolosi in cui viviamo “ogni mossa e ogni parola” debba essere attentamente considerata.

Prudente anche la Turchia. Il 12 luglio il presidente Recep Tayyp Erdogan ha messo in guardia da un conflitto tra NATO e Russia. “Ho condiviso qui apertamente il mio punto di vista secondo cui alla NATO non dovrebbe mai essere consentito di prendere parte alla guerra in Ucraina: la diplomazia non dovrebbe essere esclusa e i negoziati non significano necessariamente una resa”.

Sarebbe quindi utile se sull’adesione ucraina alla NATO si pronunciassero chiaramente e pubblicamente tutti i governi europei considerato che l’opinione pubblica è quasi ovunque in maggioranza contraria alle posizioni assunte dai rispettivi governi nazionali e vorrebbe che l’Europa promuovesse negoziati di pace nel conflitto ucraino.

Mentre le notizie che giungono dai fronti ucraini dovrebbero indurre NATO e UE a negoziare con Mosca (o almeno a prepararsi a farlo), i due organismi sovranazionali operano invece all’opposto sostenendo una guerra a oltranza che né gli ucraini né gli europei possono permettersi.

Buon senso ne troviamo anche oltre Atlantico dove oltre 60 docenti universitari ed esperti di politica estera e difesa statunitensi hanno scritto una lettera aperta al giornale on line Politico esortando la NATO a non promettere l’adesione all’Ucraina poiché si ritorcerebbe contro l’alleanza, “trasformando l’Ucraina nel luogo di uno scontro prolungato tra le due principali potenze nucleari del mondo. Più la NATO si avvicina alla promessa che l’Ucraina si unirà all’alleanza una volta finita la guerra, maggiore sarà l’incentivo per la Russia a continuare a combattere. Le sfide poste dalla Russia possono essere gestite senza portare l’Ucraina nella NATO”, afferma il documento.

Suggerimenti ignorati dai più in un vertice in cui sono stati promessi nuovi aiuti militari a Kiev incluse 5 batterie di missili da difesa aerea (una italiana) e un pugno di caccia F-16 vecchi di 40 anni radiati da Belgio, Olanda, Danimarca e Norvegia ma presentati come l’ennesima arma risolutrice in barba ai pareri discordanti di tutti gli esperti militari.

Nulla di cui stupirsi in fondo: nel 2022 i più rilevanti centri studi economici affermarono che l’Europa avrebbe potuto sganciarsi senza traumi dalla dipendenza energetica dalla Russia in 8/10 anni. Invece i leader Ue hanno provato a farlo in due anni soltanto con gravi danni (caro energia e de industrializzazione in testa…), forse irreversibili e, paradossalmente, senza neppure riuscire a raggiungere l’obiettivo poiché in maggio e giugno di quest’anno il maggior fornitore di gas all’Europa è stata ancora la Russia!

Stoltenberg al summit è riuscito a far approvare il piano di aiuti militari all’Ucraina per 40 miliardi di dollari fino alla fine del 2025 e la nuova missione della NATO che schiera 700 militari (gli ungheresi non parteciperanno) con comando presso una base americana in Germania per coordinare l’addestramento delle forze ucraine e l’invio degli aiuti militari.

Si tratta del primo coinvolgimento diretto della NATO nel conflitto poiché finora erano stati i singoli stati a gestire in sinergia o da soli il supporto a Kiev. Inoltre gli USA schiereranno dal 2026 in Germania missili da crociera in grado di colpire in pochi minuti il territorio russo e missili antimissile di ultima generazione. Una decisione accolta a Mosca con forti proteste ma salutata dal cancelliere Olaf Scholz come “necessaria e importante per assicurare la pace”.

Questa iniziativa, insieme all’accordo che impegna Italia, Germania, Francia e Polonia a sviluppare e produrre missili da crociera con raggio d’azione oltre 500 chilometri, riporta l’Europa al livello di tensione con Mosca che si registrò negli anni ‘80’ con lo schieramento in Europa dei cosiddetti “Euromissili”, gli statunitensi Pershing 2 e Tomahawk dispiegati in risposta agli SS-20 sovietici.

Armi con oltre 500 chilometri di raggio d’azione poi vietate in Europa dal Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) del 1987 da cui gli Stati Uniti si sono ritirati nel 2019 dopo aver accusato Mosca di averlo violato schierando i missili balistici Iskander nell’énclave di Kaliningrad, a loro volta in risposta alle nuove basi missilistiche americane in Polonia e Romania (nella foto qui sotto).

Il summit NATO di Washington rappresenta quindi un importante passaggio nell’escalation del confronto con la Russia, iniziato a Bucarest nell’aprile 2008 con l’impegno della NATO ad accogliere Ucraina e Georgia.

Benché in difficoltà nel rifornire gli ucraini e rafforzare i propri dispositivi militari, l’Alleanza Atlantica punta all’escalation anche con la Cina. Con toni inusitatamente duri nei confronti di Pechino, la NATO guarda a intese con gli alleati dell’Indo-Pacifico (Giappone, Sud Corea, Australia e Nuova Zelanda) e afferma nel comunicato finale del summit di non poter più permettersi di ignorare il sostegno fornito dalla Cina alla guerra russa in Ucraina così come le crescenti forniture di munizioni nordcoreane a Mosca.

Valutazioni che confermano l’ormai totale e ottusa autoreferenzialità di cui si alimenta la politica di un Occidente che arma fino ai denti l’Ucraina ma censura aiuti finora neppure dimostrati e dual-use che altre nazioni forniscono a Mosca.

Fa poi sorridere che Stoltenberg valuti che “le recenti esercitazioni di militari cinesi e bielorussi vicino ai confini con la Polonia mostrino come i regimi autoritari siano sempre più autoritari e la Cina si stia avvicinando sempre di più alla NATO sia in Europa che in Africa”.

Minsk ha aderito alla Shangai Cooperation Organization, unica nazione europea a entrare nell’organizzazione di sicurezza asiatica di cui fanno parte anche Russia, Cina e India ma non saranno certo alcune decine di militari cinesi in esercitazioni tattiche in Bielorussia a minacciare la sicurezza della NATO.

In ogni caso non la minacceranno più di quanto decine di militari statunitensi in addestramento in Armenia minaccino la sicurezza russa.

Stoltenberg però ci ha ricordato che “la sicurezza della NATO non è più’ una questione regionale ma globale” e anche su questo punto sarebbe utile comprendere se i governi europei, uno per uno, condividono l’apertura di un braccio di ferro anche con la Cina.

L’Italia del resto non si è tirata indietro e ha inviato la portaerei Cavour, la fregata Alpino e una quindicina di aerei nell’Indo- Pacifico dove partecipano a una esercitazione internazionale nelle acque australiane e in seguito ad un’altra attività simile in quelle giapponesi. Tema che Analisi Difesa ha anticipato già a inizio anno e segue costantemente anche in questi giorni con diversi articoli.

In cambio gli Stati Uniti e la NATO hanno accolto solo simbolicamente la reiterata richiesta italiana di una maggiore attenzione al Fianco Sud, la cui sicurezza è stata del resto compromessa proprio dai nostri “alleati” nel 2011 grazie al sostegno di Washington alle primavere arabe e alla guerra in Libia contro Muammar Gheddafi.

Al summit di Washington è stato deciso di nominare un inviato speciale per i rapporti con i paesi della regione mediterranea raccogliendo la soddisfazione di Giorgia Meloni e del ministro della Difesa Guido Crosetto che l’ha definita “una vittoria politica netta ed evidente”

Italia e Spagna sono già in gara per questo incarico ma il Fianco Sud non costituisce certo un impegno per la NATO che continua a guardare esclusivamente al Fianco Est e a quell’inclusione (prima o poi) dell’Ucraina che già oggi viene definita “irreversibile” anche se, forse non casualmente, è noto a tutti che di irreversibile c’è solo la morte.

@GianandreaGaian

Foto: Ministero Difesa Italiano, TASS, Anadolu, Governo Ungherese, EPA e Telegram

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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