Germania: incertezza e costi energetici mettono in fuga le industrie

 

Sembrano trovare conferma i peggiori scenari per l’economia tedesca ed europea determinati dal conflitto in Ucraina e dalle decisioni assunte in proposito dall’Unione Europea e dai governi di molti stati membri.

Scenari economici ed energetici che erano stati peraltro ampiamente previsti da economisti, istituti di ricerca e associazioni industriali e imprenditoriali, che raccomandavano l’adozione di un piano di almeno 8/10 anni per la rinuncia al gas fornito all’Europa dalla Russia.

I dati resi noti dall’Energy Transition Barometer 2024 pubblicato dall’Associazione delle Camere di Commercio e Industria tedesche (IHK), confermano quanti siano state disastrose le decisioni della Commissione UE guidata da Ursula von der Leyen, che dopo i gravi insuccessi degli anni scorsi ha ottenuto da un europarlamento “tafazziano” un ulteriore mandato con cui probabilmente completare l’opera di demolizione dell’economia europea e della sua competitività.

Gli elevati costi energetici e l’incertezza sulle forniture hanno spinto 4 aziende manifatturiere tedesche su 10 a valutare la possibilità di trasferire la produzione all’estero o di limitarla in Germania, riferisce il rapporto che rileva come oltre la metà delle aziende industriali tedesche con 500 o più dipendenti stia prendendo in considerazione la possibilità di trasferire la produzione all’estero o di limitarla in Germania dove peraltro, come in Italia, gli indici di produzione industriale sono in calo costante da due anni.

Non è neppure casuale, come abbiamo più volte sottolineato su Analisi Difesa, che la legge statunitense per la riduzione dell’inflazione, non a caso duramente criticata in Francia e Germania, faccia ponti d’oro alle aziende europee che trasferiscono la produzione negli USA dove l’energia è molto meno cara.

Come ricorda su Oilprice Charles Kennedy, le aziende manifatturiere tedesche, in particolare le industrie ad alta intensità energetica, hanno lottato con gli elevati costi energetici dal 2022, quando i prezzi dell’energia sono saliti alle stelle in seguito all’invasione russa dell’Ucraina.

A questo proposito va evidenziato come la situazione nell’industria automobilistica tedesca, ulteriormente deterioratosi a luglio, confermi tutte le preoccupazioni che dominano le filiere industriali.

L’industria automobilistica sta scivolando ulteriormente nella crisi”, afferma Anita Wofl del Centro IFO per l’Organizzazione Industriale e le Nuove Tecnologie. Il peggioramento del sentimento deriva sia dalla valutazione della situazione economica attuale sia dalle aspettative per i prossimi sei mesi. L’indicatore della situazione economica è sceso di 10 punti, passando da +3,2 punti a -6,8 in luglio. L’indicatore delle aspettative è sceso a -29,1 punti da -21,3 punti di giugno.

“Probabilmente non ci si può aspettare un miglioramento significativo nei prossimi mesi”, afferma Wolfl. L’utilizzo della capacità produttiva è sceso al 77,7%, collocandosi nove punti percentuali al di sotto della media di lungo periodo. Il 43,1% delle imprese segnala una mancanza di ordini, in calo rispetto al 29,2% di aprile. Non si prevedono nemmeno impulsi positivi dall’estero. Le aspettative di esportazione sono scese a meno 16,8 punti, più di 13 punti in meno rispetto al mese precedente.

Commentando i risultati dello studio dell’IHK, il vicedirettore generale dell’associazione, Achim Dercks, ha affermato che “la fiducia dell’economia tedesca nella politica energetica è stata gravemente danneggiata. I decisori politici non sono riusciti a dimostrare alle aziende che possono avere una fornitura energetica affidabile e conveniente”.

Una dichiarazione che evidenzia quanto da oltre due anni viene sottolineato da Analisi Difesa e ampiamente previsto nel libro “L’Ultima Guerra contro l’Europa”  e cioè che il disastro che l’Europa deve affrontare è strettamente legato più alle decisioni scellerate assunte da una classe dirigente europea in larga misura inadeguata, oppure in mala fede, di certo non all’altezza delle sfide che deve affrontare, più che a contingenti fattori economici.

Il rapporto dell’IHK, ripreso in Italia da Agenzia Oltre, rileva che negli ultimi due anni gli elevati costi energetici sono stati una delle ragioni principali della debole attività manifatturiera e industriale in Germania. Le industrie ad alta intensità energetica, in particolare prodotti chimici e fertilizzanti, sono state le più colpite. “L’industria tedesca ha quasi perso un decennio di crescita nella produzione”, ha rilevato lo scorso maggio un rapporto della Federazione delle industrie tedesche (BDI).

In aprile l’amministratore delegato della principale utility tedesca RWE, Markus Krebber, ha dichiarato al Financial Times che “è improbabile che l’industria tedesca si riprenda completamente dallo shock dei prezzi dell’energia e che torni alla competitività di prima dell’invasione russa dell’Ucraina. L’industria tedesca ha uno svantaggio: la Germania sta assistendo a prezzi dell’energia strutturalmente più alti, poiché dipende dalle importazioni di GNL”.

Il rapporto esprime conclusioni paradossali, certo più idonee a non urtare la sensibilità del governo di centro-sinistra di Olaf Scholz che a fotografare la realtà.

“Nonostante la riduzione significativa della sua dipendenza dal gas russo, l’Europa resta esposta agli shock dell’approvvigionamento e dei prezzi del gas, poiché non dispone di alcun cuscinetto nel sistema” si legge.

In realtà è propria la riduzione rapida e significativa della sua dipendenza dal gas russo (in quantità infinita e a prezzi stracciati) a esporre l’Europa agli shock energetici, pur tenendo conto che negli ultimi due mesi la Russia ha ripreso ad essere il principale fornitore di gas all’Europa scavalcando gli Stati Uniti. Che non disponevamo di “alcun cuscinetto nel sistema” lo sapevamo già ben prima del febbraio 2022.

@GianandreaGaian

Foto: Naftogaz

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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