Riserve più che giustificate

 

In questi giorni il governo italiano è stato chiamato da molti a confermare la sua “affidabilità” dopo le riserve espresse dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, nei confronti dell’efficacia dell’offensiva ucraina a Kursk per giungere a negoziati di pace.

Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, pur comprendendo le decisioni di Kiev, ha ribadito che l’Italia non è in guerra con la Russia e negato ancora una volta l’impiego di armi italiane contro il territorio russo. Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture, ha espresso il timore che un impiego di armi italiane contro il suolo russo possa portarci alla terza guerra mondiale.

Come spesso accade in questi casi è stata rapida la mobilitazione di politici, intellettuali e opinionisti da sempre guardiani dell’obbedienza di Roma agli alleati, di fatto gli stessi che hanno apostrofato come putiniani e filorussi chiunque esprimesse valutazioni scomode o posizioni diverse da quelle ucro-euro-atlantiste su questo conflitto.

“L’attacco ucraino non è un’invasione, ma una tattica difensiva, in modo da allentare la tensione in Ucraina” ha scritto Crosetto in una lettera al Corriere della Sera. “Se ho espresso un giudizio sulla tattica Ucraina è perché è mio obbligo interrogarmi per chiedermi se questa scelta aiuti o indebolisca la causa Ucraina. Gli amici, i veri amici, non dicono sempre hai ragione. Il loro compito è aiutare a riflettere. E noi siamo veri amici degli ucraini. Non sostenitori di maniera, o per ossequio al politicamente corretto, come molti ne abbiamo visti in questi anni. E infatti ho condiviso le mie preoccupazioni con i miei colleghi delle altre nazioni e della NATO, come faccio sempre, e con i miei omologhi ucraini, come già accaduto in passato. Io penso che il mio compito sia quello di dire ciò che penso e ritengo giusto e non ciò che i miei interlocutori vogliono sentirsi dire. Solo una mentalità malata di provincialismo può scambiare il coraggio della verità, di un giudizio, di un’opinione, con l’ambiguità”.

Al netto dei tanti che da sempre in Italia tutelano, nelle istituzioni come nei media, gli interessi dei nostri principali partner in ambito NATO o UE, le perplessità emerse in Italia circa i rischi insiti nell’offensiva ucraina appaiono ben giustificate da valutazioni di puro buon senso che possiamo provare ad elencare.

 

Una guerra più lunga con più incognite pericolose

Innanzitutto l’estensione e il prolungamento della guerra non è nell’interesse di Italia ed Europa nè in termini economici né in termini militari e strategici. Meglio non dimenticare che una minaccia accresciuta al territorio russo che vede soldati ucraini (e anglo-americani che li affiancano in uniforme ucraina) combattere a meno di 500 chilometri da Mosca puntando su una centrale nucleare costituisce una sfida alla Federazione Russa sufficiente (se guardiamo alla dottrina nucleare di Mosca) ad aprire all’ipotesi di risposte affidate ad armi nucleari tattiche.

Minaccia certo teorica ma che non va sottovalutata. Per chi nutrisse dubbi in proposito basterebbe chiedersi cosa accadrebbe e quali opzioni verrebbero prese in considerazione a Washington se il Texas o il North Dakota venissero parzialmente invasi da un nemico che punta a distruggere di basi militari e occupare una centrale nucleare.

Qui non si tratta di definire legittima o meno l’iniziativa ucraina ma di valutarla nell’ottica più complessiva dei nostri interessi nazionali. Del resto l’attacco a Kursk, pur costringendo Mosca a inviare rinforzi dai fronti ucraini. da Kainingrad e dall’interno della Federazione, non sta cambiando la situazione sui fronti ucraini dove i russi stanno anzi accentuando l’avanzata.

Tutte ragioni che dovrebbero sollevare dubbi, preoccupazioni e perplessità in ogni governo europeo, non solo in quello italiano. In più sarebbe ingenuo credere che l’attacco a Kursk sia stato pianificato e attuato tutto dagli ucraini senza il contributo d’intelligence e operativo quanto meno degli anglo-americani che, guarda caso, hanno loro truppe “irregolari” sul terreno come dimostrano alcuni video diffusi sui social.

Secondo un funzionario occidentale a conoscenza della pianificazione citato anonimamente dall’agenzia statunitense Bloomberg, Kiev ha discusso diverse opzioni per attaccare la Russia prima di scatenare l’assalto alla regione di Kursk il 6 agosto mentre Stati Uniti e Unione Europea hanno dato la loro “benedizione” all’Ucraina per l’attacco.

“Gli alleati della NATO non hanno riserve sull’incursione, sebbene ritengano improbabile che le forze ucraine saranno in grado di mantenere il territorio russo, anche se ci vorranno settimane prima che Mosca le cacci da Kursk”, ha affermato il funzionario. “L’azione è almeno cruciale per dimostrare che Kiev può sfidare il Cremlino” ha detto a Bloomberg un secondo funzionario della NATO a conoscenza dei briefing sull’azione di Kursk.

Da un lato non regge la “favola” degli ucraini che invadono da soli il territorio russo lasciando stupiti NATO e UE, che hanno comunque plaudito all’iniziativa, dall’altro occorre chiedersi quanti stati membri delle due organizzazioni siano stati informati e abbiano potuto esprimere le loro valutazioni in merito all’attacco.

 

Le pretese di Kiev sulle armi

Se l’Italia non è stata informata preventivamente con che faccia il consigliere presidenziale Mikhaylo Podolyak (nella foto sotto) ci chiede di impiegare le nostre armi contro il territorio russo? E con che faccia gli anglo-americani e i loro fidi scudieri possono pretendere dall’Italia prove di “fedeltà e affidabilità”.

Anche perché sulle armi italiane a Kiev i nostri alleati continuano a farsi beffe del segreto posto dal governo Draghi e poi confermato dall’esecutivo Meloni. Anche se in passato il ministro Crosetto aveva espresso la volontà di rimuoverlo, il segreto resta e la reale entità, cioè la tipologia e i quantitativi, di armi italiane cedute all’Ucraina rimane ufficialmente segreto persino al Parlamento di cui vengono informati i soli membri del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR) tenuti alla riservatezza.

In realtà tale segreto si è spesso rivelato “di Pulcinella” per diverse ragioni: in alcuni casi di tipologie particolari di armi (come i sistemi di difesa aerea SAMP/T) ceduti a Kiev hanno riferito apertamente esponenti del governo, in altri sono stati gli alleati della NATO o gli stessi ucraini a rendere pubbliche le forniture con interviste e post sui sociali mentre in altre occasioni i russi hanno mostrato i mezzi e le armi italiane catturati o distrutti in battaglia.

Diverse volte il presidente Volodymyr Zelensky, il ministro della difesa o consiglieri presidenziali ucraini hanno ringraziato l’Italia per artiglierie, missili antiaerei e anticarro, mortai e altre dotazioni che il governo non aveva rivelato al pubblico, mentre a fine aprile, l’allora ministro della Difesa britannico Grant Shapps disse in pubblico che anche l’Italia, insieme a Francia e Gran Bretagna, aveva fornito a Kiev missili da crociera Storm Shadow.

Armi utilizzate per colpire in profondità obiettivi nelle retrovie delle forze russe in Crimea e nei territori ucraini sotto il controllo di Mosca e che Kiev chiede agli alleati di autorizzarne l’impiego sul territorio russo.

Le dichiarazioni di Shapps non vennero né confermate né smentite dal governo italiano, in evidente imbarazzo poiché gli Storm Shadow non possono certo venire considerate “armi difensive”.

Dopo oltre tre mesi in cui la fornitura italiana di missili Storm Shadow è rimasta priva di chiarimenti e dettagli a far luce ha provveduto Podolyak che ieri in un’intervista a La Stampa esortava l’Italia: “Dateci al più presto il permesso di usare gli Storm Shadow per attaccare a lunga distanza! Voi siete coraggiosi. Sostenete già la posizione giusta contro Putin. Abbiamo bisogno di poter usare le vostre armi a pieno titolo per difendere i cittadini e dimostrare che Putin si può battere sul campo. Ora, stiamo ribaltando la situazione. Se ricevessimo le armi NATO promesse, la guerra finirebbe in poco tempo”.

“Proprio voi, l’Italia, avete contribuito a scrivere il diritto internazionale. E ora, ci dite che possiamo usare i vostri armamenti qui e non qui, che non abbiamo ragione di difenderci? Che messaggio date al vostro popolo?”, ha incalzato il consigliere di Zelensky che ha espresso valutazioni analoghe al Corriere della Sera cercando di forzare la mano a Roma ridicolizzando il segreto sulle forniture militari italiane.

Un segreto teso a consentire di fornire armi a Kiev riducendone clamore e critiche ma che appare però vano, controproducente e persino ridicolo se diventa uno strumento ricattatorio nelle mani degli ucraini per mettere in imbarazzo l’Italia e il suo governo con l’obiettivo di indurlo a concedere più armi o a consentirne un più ampio impiego.

Soprattutto tenendo conto che Podolyak (che nel settembre 2023 accusò il Papa di essere “filorusso”) sottolinea più volte (come scrive Letizia Tortello che lo ha intervistato) il principio che sul territorio russo di Kursk “l’Ucraina sta utilizzando e utilizzerà tutte le armi che gli hanno dato gli alleati, che giuridicamente sono diventate nostre, ucraine, comprate o donate”.

Messaggio che tradotto in un linguaggio più diretto suona così: “le armi ce le avete date, le usiamo come e dove vogliamo e dei vostri caveat ce ne freghiamo”. Un simile atteggiamento giustifica pienamente riflessioni, distinguo e preoccupazioni nel governo italiano.

Anche perché l’approccio ucraino nei confronti dell’Italia appare ancora più meschino se si valuta che neppure il governo britannico ha dato il via libera all’Ucraina per usare i missili Storm Shadow nell’offensiva in corso nella regione russa di Kursk, come ha riportato il Telegraph citando fonti di governo.

Da quanto emerge dai campi di battaglia gli ucraini stanno cercando di colpire in profondità le truppe russe nella regione di Kursk usando missili balistici sovietici SS-21 Tochka-U che negli ultimi giorni sono stati abbattuti in buon numero dalla difesa aerea russa. L’impiego di queste armi sembra indicare che gli Stati Uniti non hanno autorizzato gli ucraini a bombardare il territorio russo con i missili balistici tattici ATACMS lanciati dagli HIMARS, impiegati in gran numero sui territori ucraini occupati inclusa la Crimea.

 

Impedire i negoziati

Difficile attendersi che i vertici ucraini se la prendano con i loro sponsor anglo-americani, così come siamo invece abituati alle pressioni mediatiche di Kiev sui governi europei. Sarebbe del resto ingenuo credere che le dichiarazioni di Podolyak alla stampa italiana siano casuali, innanzitutto perché sono state rilasciate a testate tra le più allineate sulle posizioni ucraino-atlantiste sulle cui pagine negli ultimi giorni opinionisti e politici tra i più vicini agli ambienti anglo-americani hanno messo in dubbio l’affidabilità del governo italiano.

Del resto l’attacco a Kursk risponde pienamente agli interessi anglo-americani di scongiurare negoziati di pace al fine di continuare una guerra che deve logorare la Russia. Lo stesso slogan con cui venne compromesso da Londra e Washington, nell’aprile 2022, l’accordo di pace mediato dalla Turchia e che portò al ritiro russo da tutto il nord dell’Ucraina e dai dintorni di Kiev.

Del resto l’attuale amministrazione statunitense deve scongiurare il successo della bozza negoziale messa a punto da Donald Trump con Viktor Orban e presentata dal premier ungherese a Kiev, Mosca, Pechino e Ankara nel tour del mese scorso, invano ostacolato in ogni modo possibile dall’Unione Europea. Se anche Trump dovesse vincere le elezioni è evidente che i russi sarebbero più restii al dialogo dopo aver subito l’invasione del proprio territorio nazionale.

A questo proposito non è superfluo aggiungere che, secondo la pubblicazione ungherese demokrata.net , i servizi segreti di Budapest hanno sventato un attentato contro Viktor Orban poco prima che partisse per Mosca il 5 luglio scorso.

Se con l’offensiva a Kursk i nostri alleati impediscono o allontanano quel negoziato da sempre apertamente auspicato dall’Italia le preoccupazioni di Roma si confermano più che legittime.

 

Alleati di al-Qaeda

C’è poi un ulteriore elemento su cui varrebbe la pena interrogarsi prima di mostrarsi “fedeli e affidabili” ai nostri alleati. A fine luglio le milizie tuareg del CSP-DPA e quelle qaediste (Jama’at Nusrat al-Islam Wal-Muslimin – JNIM) del Mali hanno attaccato una colonna di militari maliani e contractors russi dell’ex Gruppo Wagner uccidendo oltre un centinaio di uomini. Una battaglia di cui Analisi Difesa si è occupata nei dettagli con un articolo di Pietro Orizio.

Il 29 luglio il Kyiv Post ha pubblicato la fotografia di un gruppo di ribelli tuareg, in piedi, con una bandiera dell’Azawad e una dell’Ucraina; tra di loro anche due uomini in abiti occidentali, apparentemente di carnagione chiara. Uno scatto che lasciava supporre il supporto dei Tuareg alla causa ucraina e, addirittura, un coinvolgimento di uomini di Kiev nell’imboscata.

Per la BBC la foto era un falso ma l’intelligence ucraina ne ha confermato l’autenticità, dichiarando, inoltre, il pieno sostegno di Kiev a tutte le fazioni che stavano affrontando gli uomini del Gruppo Wagner sul continente africano. Andrii Yusov, portavoce dell’intelligence militare ucraina, ha dichiarato che “i ribelli hanno ricevuto le informazioni necessarie a condurre un’operazione militare di successo contro i criminali di guerra russi”.

Fonti citate da Washington Post e Le Monde ritengono che gli ucraini non abbiano partecipato direttamente alla battaglia in Mali, ma innegabile sarebbe la loro cooperazione con i Tuareg del CSP-DPA. Questi, oltre ad informazioni vitali per l’attacco, da Kiev avrebbero ottenuto finanziamenti e addestramento all’impiego di droni FPV addirittura inviando personale ad addestrarsi in Ucraina a fine 2023 e inizio 2024.

In seguito alle dichiarazioni di Andrii Yusov, il 4 agosto il Mali ha interrotto le relazioni diplomatiche con Kiev, con effetto immediato. Il Governo maliano si è detto scioccato e ha accusato l’Ucraina della violazione della sua sovranità, contribuendo al successo di “un attacco codardo, infido e barbaro”.

Il 7 agosto è stata la volta del Niger di annunciare la rottura delle relazioni diplomatiche con l’Ucraina, accusandola di sostenere gruppi terroristici. Le autorità nigerine si sono, addirittura, rivolte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’Alleanza del Sahel (Niger, Mali e Burkina Faso) ha denunciato l’esistenza di una vera e propria “rete di addestramento terroristico” di cui avrebbero fatto parte anche i responsabili del recente attacco in Mali.

Il supporto di Kiev ai terroristi jihadisti del Sahel ha risvolti che vanno ben oltre la guerra tra Mosca e Kiev estesa anche fuori dai confini europei. La guerra contro ribelli tuareg, qaedisti e insorti legati allo Stato Islamico è stata combattuta fin dal 2013 al fianco del governo del Mali come in tutto il Sahel da due operazioni militari francesi (Serval e Barkhane) in un conflitto a cui hanno partecipato anche forze statunitensi e contingenti europei.

L’Italia ad esempio ha inviato negli anni scorsi 200 militari nell’ambito dell’Operation Barkhane in Mali e decine di istruttori a Bamako ad addestrare le truppe maliane (nella foto sotto) ed è l’unica nazione dell’Occidente a mantenere truppe in Niger per volontà di Roma ma anche del la giunta militare di Niamey.

Oggi che il Mali, come altre nazioni del Sahel, hanno cacciato americani e francesi e chiesto l’appoggio russo per combattere i jihadisti l’Occidente ha cambiato bandiera e sostiene gli insorti contro i quali ha combattuto per oltre 10 anni? Per sostenere l’Ucraina diventeremo alleati di al-Qaeda?

Vogliamo ripetere l’errore compiuto in Siria in cui l’Occidente ha in larga misura aiutato milizie jihadiste nel vano tentativo di far cadere il filorusso Bashar Assad? Errore gravissimo per l’Europa a cui peraltro il governo italiano tenta oggi, da solo, di porre rimedio riaprendo l’ambasciata a Damasco.

Non dovrebbe essere difficile comprendere che addestrare gli alleati di al-Qaeda ad impiegare droni-kamikaze FPV, come si vantano di fare i servizi segreti ucraini (fornendo ai jihadisti anche armi occidentali?) è il modo migliore per assicurarci spettacolari attentati dinamitardi sulle città europee.

 

Conclusioni

A qualcuno quelle elencate non sembrano ragioni sufficienti per porsi domande ed esprimere dubbi e perplessità circa l’operato dei nostri alleati? Non solo gli ucraini ma anche quelli europei, d’oltre oceano e d’oltre Manica che da troppo tempo compromettono la sicurezza dell’Europa mettendoci davanti al fatto compiuto (dalla Libia alla Siria, dal Maidan al Nord Stream a Kursk….).

Risultare fedeli e affidabili, cioè ubbidienti, ad alleati che neppure ci interpellano prima di agire a due passi da casa nostra non è e non è mai stato un buon affare per i nostri interessi nazionali. Anche perché la fedeltà va riservata alla Patria non alle alleanze, che sono per loro natura mutevoli.

Agli alleati va assicurata invece lealtà, che significa anche esprimere dubbi, perplessità e distinguo quando i nostri interessi nazionali sono in gioco. Essere leali con gli alleati significa anche saper dire NO.

@GianandreaGaian

Foto: Difesa.it. Ministero Difesa Ucraino, Presidenza Ucraina, Ministero Difesa Russo, CSP-DPA, X e Kyev Post.

 

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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