Aria fritta a lungo raggio

 

Il dibattito sull’opportunità o meno di fornire all’Ucraina il via libera all’impiego contro obiettivi sul territorio russo delle armi a maggior raggio d’azione consegnate alle forze armate di Kiev da alcuni partner UE e NATO si è risolto in un nulla di fatto.

Tanto rumore per nulla potremmo dire, anche se la questione va affrontata separando gli aspetti militari da quelli politici, con questi ultimi che hanno avuto decisamente un maggior peso e una più ampia eco mediatica. Come Analisi Difesa ha più volte ricordato, anche in un recentemente editoriale, le armi di fornitura occidentale che gli ucraini potrebbero utilizzare per colpire obiettivi in profondità sul suolo russo sono solo due:

  • i missili da crociera Storm Shadow/SCALP EG he hanno un raggio d’azione limitato a 250 chilometri nelle armi fornite agli ucraini e integrate sui velivoli ucraini Sukhoi Su-24M
  • i missili balistici tattici statunitensi ATACMS con raggio d’azione fino a 300 chilometri.

Non vi sono per ora altri sistemi d’arma forniti a Kiev con capacità di colpire in profondità le retrovie russe. Entrambe queste armi sono infatti state impiegate sui territori ucraini controllati dai russi inclusa la Crimea.

Se USA, Gran Bretagna e Francia avessero dato il via libera al loro utilizzo contro obiettivi in Russia (cosa che a oggi non hanno fatto) questi missili non potrebbero essere risolutivi sia perché il loro numero e la loro gittata sono limitati sia perché la difesa aerea russa ne ha già abbattuti un buon numero nei cieli ucraini, sia perché gli obiettivi strategici russi che Kiev vorrebbe colpire si trovano oltre il raggio d’azione di queste armi.

Inoltre avevamo ricordato che fonti militari statunitensi avevano già fatto sapere alla CNN che Kiev non dovrebbe attendersi nuove massicce forniture di ATACMS poiché il loro numero negli arsenali americani è limitato, Al tempo stesso anche i missili da crociera cedibili da Parigi e Londra non sembrano essere molti così come pochissimi sembrano essere rimasti i Su-24M ucraini su cui sono stati integrati gli Storm Shadow.

In futuro gli Stati Uniti potrebbero fornire i missili da crociera Joint Air-to-Surface Standoff Missiles (JASSM), accreditati di circa 950 chilometri di raggio d’azione da integrare sugli aerei da combattimento F-16, per ora disponibili solo in pochissimi esemplari in Ucraina. In ogni caso occorreranno diversi mesi prima che tali armi diventino operative.

Tali considerazioni, tecniche ma sostanziali, rafforzano l’ipotesi che le reiterate pressioni ucraine per impiegare tali armi contro la Russia non mirino a soddisfare requisiti operativi ma perseguano invece l’obiettivo politico-strategico di coinvolgere ulteriormente gli alleati nella guerra, forse l’unica svolta che potrebbe scongiurare la sconfitta dell’Ucraina.

 

Polemiche strumentali

Che dire quindi delle continue pressioni dell’Alto rappresentante Ue per la Politica Estera, Josep Borrell, che per giorni ha accusato l’Italia di non voler autorizzare l’impiego dei propri armamenti sul suolo russo?

O delle ironie dello stesso Borrell (nella foto sotto) nei confronti delle dichiarazioni del ministro degli Esteri italiani, Antonio Tajani, che ha ribadito i rischi che l’uso delle nostre armi sulla Russia possa determinare un’escalation bellica?

Il fatto che tali pressioni siano coincise con critiche rivolte in tal senso al governo Meloni da alcuni esponenti dell’opposizione, lasciano il dubbio che le ragioni fossero legate non tanto al peso che le armi italiane potrebbero avere nel rovesciare le sorti del conflitto in Ucraina, ma piuttosto alle diatribe politiche sviluppatesi a Roma come a Bruxelles dopo che due delle tre componenti della maggioranza di governo (Fratelli d’Italia e Lega) non hanno votato la fiducia al Parlamento Europeo al bis della Commissione von der Leyen.

Interpretazione forse maliziosa ma che appare suffragata anche dal fatto che Borrell è tornato alla carica contro il governo italiano al forum di Cernobbio: “Perché non permette all’Ucraina di usare le armi che le fornisce per colpire le basi russe in territorio russo?”. Dichiarazioni a cui la Lega ha replicato parlando di “ingerenze illegittime e inaccettabili negli affari di un Paese sovrano”.

Certo diverse nazioni baltiche e del Nord Europa (ieri anche il Canada) hanno autorizzato Kiev a usare le armi da loro fornite sul suolo russo ma nessuna di queste ha fornito missili balistici o da crociera, cioè armi a raggio esteso.

Infatti il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha precisato il 4 settembre di aver chiesto il permesso di utilizzare armi a lungo raggio contro le strutture militari sul territorio russo solo a Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania.

“Con tutto il rispetto per ciascun Paese abbiamo bisogno del permesso di utilizzare armi a lungo raggio da parte di quei Paesi che ce le forniscono. Dipende da loro, non dalla coalizione di tutti i paesi amici del mondo. Dipende da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania”, che forniscono o sono in grado di fornire armi a lungo raggio.

 

Raggio d’azione insufficiente

Il fatto che l’Italia non facesse parte della lista ha lasciato spazio all’ipotesi che Roma fosse stata emarginata a causa della decisione del governo di non autorizzare l’impiego di armi italiane sul suolo russo.

In realtà le informazioni che emergono da questo contesto sono diverse. Le forniture militari italiane a Kiev restano coperte ufficialmente dal segreto ma nei mesi scorsi l’ex ministro della Difesa britannico Grant Shapps, mostrando scarso rispetto per l’alleato italiano, affermò che anche Roma forniva all’Ucraina missili Storm Shadow, peraltro in dotazione alla mostra Aeronautica.

Anche le pressioni di Borrell sembrerebbero indicare che Roma abbia fornito a Kiev i missili da crociera anche se la notizia non è mai stata né smentita né confermata dal nostro governo che però ha sempre fatto presente di non consentire l’impiego di nessuna arma donata a Kiev sul suolo russo. Comprensibile quindi che Zelensky non abbia coinvolto l’Italia nelle consultazioni perché già ben conosceva la risposta di Roma.

Si può ipotizzare forse che l’Italia abbia fornito in passato un piccolo numero di Storm Shadow senza poi reiterare le consegne di tali armi? Appare invece chiaro cosa Zelensky abbia chiesto ai quattro alleati: a britannici e francesi di autorizzare l’impiego contro la Russia degli Storm Shadow/SCALP EG, agli USA di dare il via libera all’impiego degli ATACMS e alla Germania di consegnare senza indugio e limiti d’impiego i missili da crociera Taurus (“cugini” degli Storm Shadow) che finora Berlino ha negato.

 

Il flop di Zelensky

L’aspetto che trasforma l’intero dibattito sulle armi a raggio più esteso contro la Russia da potenzialmente risolutivo per l’esito del conflitto in “aria fritta” è però che neppure le maggiori potenze occidentali hanno dato il via libera a Kiev per colpire la Russia.

In attesa che qualcuno informi di questo Borrell, registriamo che ATACMS e Storm Shadow in mano agli ucraini (e ai consiglieri militari occidentali che li assistono) restano autorizzati a colpire solo la Crimea e i territori ucraini occupati, a conferma che la posizione dell’Italia non è poi così isolata come qualcuno vorrebbe far credere.

Di fatto Zelensky non è riuscito a convincere gli alleati a revocare le restrizioni e del resto alcune valutazioni espresse da diversi leader ben motivano tale decisione.

La revoca delle restrizioni sulle armi fornite all’Ucraina “non cambierebbe” le sorti della guerra ha affermato il 6 settembre il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, respingendo la richiesta di Kiev di consentire l’utilizzo delle armi americane sul territorio russo.

Parlando con i giornalisti dopo un incontro alla base aerea di Ramstein, in Germania, al meeting del Gruppo di contatto che sostiene Kiev, Austin ha sottolineato che nessuna arma specifica sarebbe un “game-changer”. Ha quindi osservato che la Russia ha spostato le sue bombe plananti oltre la gittata dei missili ATACMS mentre l’Ucraina stessa ha capacità di attaccare obiettivi a lunga distanza, riferendosi ai nuovi droni prodotti da Kiev.

Sembra quindi che per il Pentagono l’eventuale abolizione delle restrizioni avrebbe costituito un rischio di escalation nel confronto con la Russia non giustificato da alcun vantaggio militare per gli ucraini. 

Concetto che era già emerso il 4 settembre dalle dichiarazioni del portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby, che aveva detto che “ad oggi non c’è alcun cambiamento della nostra posizione sull’uso delle capacità a lungo raggio che forniamo a Kiev”.

Rispondendo ai giornalisti, Kirby (nella foto sopra) ha precisato che la Russia ha spostato il 90% dei suoi aerei utilizzati per attaccare l’Ucraina fuori dal raggio di 300 chilometri dal confine ucraino raggiungibile dai missili ATACMS.

“La valutazione secondo cui basta dare agli ucraini gli ATACMS e dire loro che saranno in grado di colpire la maggior parte degli aerei e delle basi aeree russe che vengono utilizzate per colpirli non è vera, è un equivoco“, ha affermato Kirby.

Già il mese scorso, come ricorda il Kiyv Post, un articolo del Wall Street Journal, citando un anonimo funzionario statunitense, precisava che la Russia aveva trasferito il 90% dei suoi aerei militari in basi al di fuori della portata degli ATACMS.

Il 6 settembre lo stesso Zelensky ha preso atto che “le armi a lungo raggio che ci hanno fornito coprono 200-300 chilometri, quindi sono incapaci di raggiungere le distanze che vorremmo”.

Circa i rapporti con l’Italia il presidente ucraino ha ringraziato per il supporto e i sistemi di difesa aerea forniti da Roma. “L’Ucraina non sta chiedendo niente di più quello che il vostro Paese e altri stanno facendo” ha dichiarato Zelensky nel suo intervento al Forum Ambrosetti a Cernobbio dove ha incontrato il premier Giorgia Meloni. “L’Italia sta facendo di tutto per arrivare alla pace“.

@GianandreaGaian

Foto: Casa Bianca, Commissione UE, US Army e Presidenza Ucraina.

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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