Congedate il soldato Borrell

 

La notizia era stata anticipata il 28 agosto dal giornale on line statunitense Politico che aveva visionato un documento del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (EEAS) in cui, su richiesta dell’Ucraina, veniva considerata l’opportunità di addestrare reclute dell’esercito di Kiev sul territorio dell’Ucraina oltre che sul suolo di diversi stati membri dell’Unione come già avviene da tempo.

“Sarebbe necessaria un’analisi più approfondita e completa per valutare a pieno i rischi e le possibili misure di mitigazione, nonché i vantaggi politici e operativi di condurre un addestramento” sul suolo ucraino, si legge nel documento di 34 pagine datato 22 luglio e intitolato ‘Strategic Review of EUMAM Ukraine, la missione Ue di addestramento dei soldati ucraini.

 

Addestrare le reclute ucraine in Ucraina

Politico ha anticipato che il presidente francese Emmanuel Macron è aperto all’idea di addestrare truppe in Ucraina (del resto Macron aveva annunciato già nei mesi scorsi, sollevando polemiche in Francia e in Europa,  l’intenzione di inviare propri istruttori a Kiev), sostenuto da Lettonia, Estonia, Polonia e Lituania, mentre altri, come la Germania, temono che questa iniziativa potrebbe aumentare le tensioni con la Russia e mettere in pericolo la vita degli istruttori occidentali inviati in Ucraina che diverrebbero “obiettivi legittimi” dei bombardamenti russi.

“È altamente probabile che una presenza militare dell’Ue sul suolo ucraino verrebbe percepita dalla Russia come una provocazione”, evidenzia il documento che aggiunge che non sarebbe fattibile proteggere gli istruttori militari europei  inviati in Ucraina.

Kiev ritiene che addestrare le truppe sul suo territorio sia “più rapido, più conveniente e logisticamente più facile” rispetto all’addestramento all’estero (per lo più effettuato finora in Polonia, Francia, Germania e Gran Bretagna) ma il sospetto più fiondato è che la richiesta nasconda la volontà di coinvolgere ulteriormente i paesi europei nel conflitto contro Mosca: obiettivo che Kiev persegue peraltro fin dall’inizio della guerra.

Forse non a caso, lo stesso giorno la NATO si è detta pronta ad aumentare l’aiuto militare all’Ucraina, come ha riferito il Segretario generale della NATO, Lens Stoltenberg.

“L’Ucraina continua a intercettare quotidianamente missili russi, salvando innumerevoli vite ma la capacità dell’Ucraina di mantenere le proprie difese richiede un aumento delle forniture e un maggiore supporto – ha affermato Stoltenberg in un comunicato. A seguito dell’ultimo attacco russo, gli Alleati hanno oggi riaffermato di intensificare il loro aiuto militare all’Ucraina. Dobbiamo continuare a fornire all’Ucraina l’equipaggiamento e le munizioni di cui ha bisogno per difendersi dall’invasione russa. Questo è vitale per la capacità dell’Ucraina di rimanere in combattimento” ha ribadito Stoltenberg.

Al vertice NATO di luglio numerosi membri dell’alleanza hanno annunciato che invieranno ulteriori sistemi di difesa aerea strategici all’Ucraina, comprese più batterie Patriot, concordando  di fornire 40 miliardi di euro di assistenza alla sicurezza nel prossimo anno e di coordinare l’addestramento delle forze di Kiev con un nuovo comando della NATO che assumerà questi compiti e che diventerà operativo a settembre.

Resta quindi da comprendere se l’iniziativa UE di inviare istruttori/consiglieri militari in Ucraina si inserisce nella missione NATO o sarà autonoma.

In tal caso avremmo due missioni addestrative, NATO e UE (i cui stati membri coincidono quasi del tutto) con istruttori presenti sul territorio ucraino come potenziali bersagli dei russi?  Oppure la UE lascerà alle singole nazioni la gestione di missioni addestrative nazionali che in ogni caso si aggiungeranno alla missione a guida NATO?

 

Colpire la Russia con armi occidentali 

Ad aumentare la confusione si inserisce poi il dibattito sull’impiego contro obiettivi in Russia delle armi a raggio d’azione più esteso donate a Kiev.

Il 29 agosto, al Consiglio informale dei ministri degli Esteri a Bruxelles, l’Alto rappresentante Ue per la Politica Estera, Josep Borrell ha affermato che l’Ucraina ha dimostrato molta audacia strategica lanciando attacchi all’interno del territorio russo. “L’operazione a Kursk ha dato un duro colpo alla narrazione di Putin su questa guerra. Ma allo stesso tempo, la Russia continua ad attaccare i civili e le infrastrutture civili”.

Borrell ha quindi ribadito la necessità di rimuovere le restrizioni nell’uso di armamenti forniti all’Ucraina per permettere a Kiev di colpire il territorio russo.

“Gli armamenti che stiamo fornendo all’Ucraina devono essere pienamente utilizzati e le restrizioni devono essere revocate affinché’ gli ucraini possano colpire i luoghi da cui la Russia li sta bombardando. Altrimenti, gli armamenti sono inutili. Dall’inizio della guerra, la Russia ha lanciato contro l’Ucraina più di 14 mila droni e quasi 10 mila missili“.

Le affermazioni di Borrell erano state sollecitate dal ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba: “se ci viene fornita una quantità sufficiente di missili, se ci viene permesso di colpire, ridurremo significativamente la capacità della Russia di infliggere danni alle nostre infrastrutture critiche e miglioreremo la situazione per le nostre forze sul campo.

Quindi coloro che potrebbero provare a incolpare l’Ucraina per non aver avuto abbastanza successo dovrebbero sempre ricordare che il successo della Russia dipende da una cosa: dalla prontezza dei partner a prendere decisioni coraggiose. Se vengono prese decisioni, l’Ucraina ha successo sul campo. Se non vengono prese, allora non ci si deve lamentare con l’Ucraina ma con sé stessi“, ha detto il ministro ucraino.

Legittimo che i leader ucraini puntino a coinvolgere maggiormente UE e NATO nel conflitto per evitare di uscirne sconfitti ma è paradossale che Borrell sia apparso ancora una volta più incline a sostenere gli interessi ucraini che quelli degli europei, con un’autoreferenzialità che mal si addice al numero 2 della Commissione.

In questo modo l’Alto Rappresentante ha esacerbato le divisioni interne alla UE invece di tentare di ridimensionarle. “I ministri hanno concordato di aumentare l’obiettivo per arrivare ad addestrare 75.000 soldati ucraini (invece di 60mila) entro fine anno” ha detto Borrell ma non tutti sono disponibili a effettuarlo in territorio ucraino.

“La posizione dell’Italia è sempre stata chiara: noi effettuiamo l’addestramento come abbiamo effettuato fino adesso sul territorio italiano”, ha dichiarato il ministro della Difesa, Guido Crosetto al Consiglio informale dei ministri della Difesa UE il 30 agosto. “Siamo in grado di farlo meglio sul territorio italiano che non su quello ucraino. Sia dal punto di vista logistico sia dal punto vista delle infrastrutture sia dal punto di vista della sicurezza delle persone“, ha evidenziato.

E circa l’impiego delle armi italiane il ministro ha sottolineato che l’Ucraina non ha nulla da contestare all’Italia. “Tutto quello che ci hanno richiesto gli ucraini fino ad oggi gli è stato dato. Non c’è nulla che sia stato chiesto all’Italia che non sia stato dato e non c’è nulla su cui gli ucraini non siano soddisfatti nella collaborazione” con l’Italia.

Anche le nazioni che hanno fornito maggiori aiuti militari all’Ucraina sembrano mostrare cautela. Già il 28 agosto a Berlino il premier britannico Keir Starmer e il cancelliere Olaf Scholz avevano affermato che non c’erano novità circa l’impiego delle armi fornite a Kiev sul territorio russo. I missili britannici e tedeschi possono infatti venire impiegati solo contro obiettivi russi sul territorio ucraino, Crimea inclusa.

Anche il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha ribadito che la posizione di Roma non cambia: “Il nostro materiale bellico può essere usato solo all’interno del territorio ucraino. Ogni Paese è libero di decidere come è giusto utilizzare le armi inviate all’Ucraina. Noi abbiamo inviato soprattutto armi difensive, adesso stiamo per inviare la nuova batteria Samp-T che è difensiva quindi non può essere utilizzata in territorio russo. Ribadiamo: noi non siamo in guerra con la Russia. Anche la Nato non è in guerra con la Russia, quindi per l’Italia rimane la posizione di utilizzare le nostre armi all’interno del territorio ucraino. Gli altri Paesi decidono come ritengono opportuno fare”.

Per il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, le proposte di Borrell sono “follie che vanno fermate”. Le posizioni di Budapest sono note ma tra UE e Ungheria lo scontro è aperto anche a causa della decisione (arbitraria e criticata da molti stati membri) assunta da Borrell di riunire il Consiglio a Bruxelles invece che a Budapest considerato che l’Ungheria ha la presidenza semestrale dell’Unione. Un gesto “punitivo” nei confronti della missione diplomatica effettuata dal premier Viktor Orban nel luglio scorso a Kiev, Mosca, Pechino ed Ankara per promuovere un negoziato che ponga fine alla guerra.

Finlandia, Danimarca e Paesi Bassi e i tre stati baltici hanno invece ribadito di non porre limitazioni o restrizioni all’impiego delle armi cedute a Kiev ma si tratta di un’affermazione dal valore puramente simbolico e politico poiché nessuna di queste nazioni ha fornito missili o altre armi a lungo raggio in grado di colpire in profondità la Russia.

 

Valutazioni

Borrell in conferenza stampa ha ammesso che “si tratta di una decisione nazionale e gli Stati membri vogliono mantenerla come tale” ma non ha posto il tema nei termini pragmatici che invece dovrebbero essere considerati prioritari.

Appare evidente che le armi di fornitura occidentale che gli ucraini vorrebbero utilizzare per colpire obiettivi in profondità sul suolo russo sono di due tipi:

  • i missili da crociera Storm Shadow/SCALP EG forniti da Gran Bretagna, Francia e Italia (ma Roma non lo ha mai confermato) che hanno un raggio d’azione normalmente di 500 chilometri ma dimezzato nelle armi integrate sui velivoli ucraini Sukhoi Su-24M,
  • i missili balistici tattici statunitensi ATACMS con raggio d’azione fino a 300 chilometri.

Entrambe queste armi sono state impiegate sui territori ucraini controllati dai russi inclusa la Crimea ma anche se gli alleati dessero il via libera al loro utilizzo contro obiettivi in Russia difficilmente potrebbero essere risolutivi sia perché il loro numero e la loro gittata sono limitati sia perché la difesa aerea russa ne ha già abbattuti un buon numero nei cieli ucraini.

Fonti militari statunitensi hanno fatto sapere alla CNN che Kiev non dovrebbe attendersi nuove massicce forniture di ATACMS poiché il loro numero negli arsenali americani è limitato.

Quanto ai missili da crociera europei le vane pressioni di Parigi e Londra sulla Germania affinché cedesse agli ucraini i suoi missili da crociera Taurus sembrano indicare che anche le scorte di Storm Shadow/SCALP EG si sono molto assottigliate. Inoltre il numero di Su-24M ucraini ancora operativi potrebbe essere ridotto a pochissime unità e integrare tali armi su altri velivoli (F-16?) richiederebbe comunque tempo e questi aerei, per ora in servizio in pochissimi esemplari in Ucraina, sembrano destinati a imbarcare in futuro i missili da crociera statunitensi Joint Air-to-Surface Standoff Missiles (JASSM), accreditati di circa 950 chilometri di raggio d’azione.

Secondo fonti citate ieri dall’agenzia Reuters, gli Stati Uniti sarebbero vicini a un accordo per fornire all’Ucraina missili da crociera a lungo raggio per gli F 16 ma occorreranno diversi mesi perché diventino operativi e in ogni caso non è certo che la Casa Bianca ne autorizzi l’impiego contro obiettivi in Russia.

Alla luce di queste considerazioni si rafforza quindi l’ipotesi che la richiesta ucraina non miri a rovesciare o bilanciare le sorti del conflitto con queste armi ma solo a coinvolgere ancor di più gli alleati nella guerra.

Le pressioni costanti di Borrell, come quelle di Ursula von der Leyen e di Lens Stoltenberg, tese ad innalzare il livello di coinvolgimento di NATO e UE, stanno provocando fratture sempre più evidenti nei due organismi sovranazionali composti peraltro quasi dalle stesse nazioni. Ciò significa che le spaccature evidenti nella UE sono le stesse che riguardano, con meno visibilità mediatica, la NATO.

Spaccature in alcuni casi palesi e forse pure ostentate ma in molti altri casi mantenute a basso profilo poiché, come spesso accade, dietro al dibattito di facciata Europa e NATO stanno facendo i conti con il fallimento delle politiche adottate a sostegno dell’Ucraina e contro la Russia da due anni e mezzo.

Anche se Borrell ha tenuto a sottolineare che nelle ultime settimane le consegne di munizioni da parte dell’Ue “sono aumentate”, in realtà il milione di proiettili d’artiglieria promessi da Bruxelles a Kiev entro marzo 2024 non è stato ancora del tutto consegnato e le armi cedute a Kiev non sono state sufficienti a permettere agli ucraini né di vincere né di contenere oggi l’offensiva russa che nel Donbass minaccia di scardinare le difese ucraine.

Come ha ricordato una corrispondenza dell’ANSA da Bruxelles il 30 agosto, “da qualche settimana iniziano a girare cifre su quanti finanziamenti servirebbero davvero per permettere a Kiev di fermare Vladimir Putin e ribaltare il corso del conflitto ed è una forchetta compresa tra i 400 e i 900 miliardi di euro. Ecco perché i principali sostenitori dell’Ucraina – USA e Germania – iniziano ad essere restii a prolungare quello che ormai pare uno sforzo inutile. Da qui la necessità di trovare un’exit strategy”.

“Il ritardo nella consegna degli aiuti militari può essere facilmente percepito dagli ucraini come una spinta verso i negoziati con la Russia, perché i soldi stanno finendo”, ha spiegato all’ANSA un’alta fonte diplomatica europea. “Ma l’Ucraina vuole una chiusura alle sue condizioni. Ecco allora spiegata l’offensiva di Kursk: vuole avere qualcosa da negoziare con Mosca, visto che potrebbe essere costretta ad avviare le trattative prima delle elezioni americane”.

In Europa comincia a maturare la consapevolezza che non vi sono né armi né denaro per sostenere all’infinito una guerra che sta esaurendo le forze armate ucraine e nessuno sulle due sponde dell’Atlantico sembra disposto a riempire con proprie truppe le trincee di Pokrovsk che l’esercito di Kiev non ha più soldati per presidiare.

Al tempo stesso è altrettanto evidente che spetterà all’Europa sobbarcarsi i costi della ricostruzione postbellica dell’Ucraina che già un anno or sono negli Stati Uniti qualcuno valutava in quasi mille miliardi di dollari.

Del resto anche i programmi di riarmo a lungo sbandierati sembrano condannati a venire ridimensionati a causa di inflazione, recessione, de-industrializzazione e caro energia. Londra sta attuando una “revisione della spesa militare”, espressione che non ha mai portato ad incrementi di budget, la Germania ha fermato ulteriori aiuti militari all’Ucraina per ragioni di bilancio e in Spagna è emerso che il ministero della Difesa dal 2022 ha sforato ogni anno il bilancio fino a oltre il 20 per cento.

Il vice Primo ministro e ministro della Difesa polacco Kosiniak-Kamys ha detto il 28 agosto, ripreso da Pravda ucraina e dalla TASS russa  che “il governo polacco, attuale e precedente, ha trasferito donazioni multimiliardarie sotto forma di attrezzature militari all’Ucraina. Oggi abbiamo ceduto tutte quello che potevamo trasferire”.

I mercati finanziari, solitamente i primi a “fiutare l’aria”, hanno capito che il riarmo dell’Europa e dell’Ucraina potrebbe presto rivelarsi un bluff e le azioni di molte grandi società del settore Difesa cominciano a perdere colpi in Borsa dopo che avevano visto gonfiare i loro titoli in questi anni.

Un po’ semplicistico attribuire la responsabilità all’esito del voto in due lander della ex Germania Est che invece, come in precedenza le elezioni europee e quelle in Francia, hanno dimostrato da un lato l’ulteriore distacco tra classi dirigenti e popoli in molte nazioni d’Europa e in ambito UE (come ha evidenziato anche un recente sondaggio effettuato in Italia) e dall’altro che promettere “cannoni” a popoli che chiedono “burro” non favorisce il consenso e determina destabilizzazione politica e sociale.

Ursula von der Leyen, responsabile non unica del disastro economico ed energetico europeo, continua a ripetere che “l’Ucraina deve vincere” la guerra ma è difficile attribuire ancora un minimo di credito alle sue parole. Si tratta della stessa persona che per oltre due anni ha ripetuto (accompagnata da tutti i suoi commissari e da molti leader politici in Italia e in Europa) che le nostre sanzioni avrebbero messo in ginocchio la Russia (la cui economia quest’anno cresce quasi del 4 per cento), che i militari russi rubavano le schede elettroniche da lavatrici e frigoriferi ucraini per utilizzarle nei loro armamenti, che avremmo donato a Kiev un milione di proiettili d’artiglieria in un anno (slogan che ricorda gli “otto milioni di baionette”) oltre a molte altre corbellerie di guerra che sarebbe davvero lunghissimo elencare qui e che nessun fact-checker ha mai evidenziato.

Se la UE vuole davvero combattere le fake-news dovrebbe censurare in blocco i suoi vertici per le fandonie che hanno raccontato e continuano a raccontare invece di far cancellare post dai social.

Anche alla luce di queste considerazioni il facile bellicismo (sulla pelle degli ucraini, oggi più che mai restii ad arruolarsi o farsi arruolare) di Borrell, giunto a negare i rischi connessi con l’impiego di nostre armi contro la Russia e istruttori militari europei in Ucraina (riconosciuto dallo stesso documento dell’EEAS), appare fuori luogo, inadeguato alle sfide da affrontare e inutilmente divisivo.

Rispondendo indirettamente ma chiaramente alle affermazioni del ministro italiano Tajani , Borrell si è lasciato andare a dichiarazioni poco consone al suo ruolo. “Penso sia ridicolo affermare che consentire di colpire obiettivi all’interno del territorio russo significhi essere in guerra contro Mosca. Non siamo in guerra contro Mosca, penso che sia ridicolo dirlo”, ha detto polemicamente senza porsi evidentemente neppure il dubbio di quali valutazioni verrebbero fatte in Russia a tal proposito.

Invece di impegnarsi in questioni militari con cui ha poca dimestichezza, Borrell avrebbe potuto concentrarsi sugli aspetti politici  legati al conflitto e che hanno visto ieri diversi ministri ucraini presentare le dimissioni, incluso Kuleba, prima che la presidenza di Kiev annunciasse per oggi un rimpasto di governo.

Ministri rimossi a causa di scandali legati alla corruzione dilagante?  O in fuga da un presidente in caduta libera negli indici di consenso popolare (15 per cento) e ormai da maggio privo di legittimazione dopo aver annullato le elezioni ? Siamo di fronte a nuove purghe ordinate da Zelensky per puntellare il governo con persone ritenute di maggiore fedeltà al presidente? Oppure  il presidente vuole rimuovere “falchi” come Kuleba in vista di prossime trattative con Mosca?

Con la valanga di miliardi che abbiamo speso per l’Ucraina possiamo almeno sperare che la Commissione UE sia stata informata di questo “rimpasto” o almeno abbia consapevolezza di cosa sta accadendo a Kiev?

Tenuto conto di tutti questi aspetti appare quindi una buona notizia l’imminente “congedo” del soldato Borrell.

Meno positivo è invece sapere che, con ogni probabilità, il prossimo “ministro degli esteri” della UE sarà l’ex premier estone Kaja Kallas che si è fatta notare soprattutto per la profonda ostilità nei confronti della Russia di cui ha auspicato lo smembramento dopo aver ordinato la demolizione di tutti i monumenti all’Armata Rossa che nella piccola nazione di 1,4 milioni di abitanti ricordano la vittoria sulla Germania nazista, iniziativa per cui è stata incriminata in Russia.

Ciò significa che se domani la UE fosse chiamata a sedersi a un tavolo per negoziare con Mosca la fine delle ostilità in Ucraina potremmo persino rimpiangere Borrell.

@GianandreaGaian

Foto: Unione Europea, EEAS, EUMAM, Ministero Difesa Ucraino e NATO

 

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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