Missili occidentali contro la Russia: tanti rischi, pochi vantaggi 

 

Titubanze, timori per le reazioni di Mosca, pragmatiche valutazioni militari e qualche mistero che sarebbe importante chiarire. Questi gli ingredienti del dibattito infinito sull’autorizzazione chiesta dall’Ucraina ai principali alleati occidentali all’impiego dei missili da loro forniti contro obiettivi in territorio russo.

Molti media anglo-americani hanno dato nei giorni scorsi per imminente il via libera di Londra e Washington all’impiego dei missili Storm Shadows e ATACMS, nonostante la scorsa settimana sia il segretario alla Difesa Lloyd Austin, sia il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby avessero chiaramente illustrato la sostanziale inutilità militare di un simile provvedimento.

Come abbiamo riportato nel precedente editoriale “Aria fritta a lungo raggio”, Kirby aveva ammesso il 4 settembre che “ad oggi non c’è alcun cambiamento della nostra posizione sull’uso delle capacità a lungo raggio che forniamo a Kiev”. Kirby sveva precisato che la Russia ha spostato il 90% dei suoi aerei utilizzati per attaccare l’Ucraina fuori dal raggio di 300 chilometri dal confine ucraino raggiungibile dai missili ATACMS.

“La valutazione secondo cui basta dare agli ucraini gli ATACMS e dire loro che saranno in grado di colpire la maggior parte degli aerei e delle basi aeree russe che vengono utilizzate per colpirli non è vera, è un equivoco“ ha detto Kirby confermando quanto fonti militari avevano detto al Wall Street Journal.

Il 6 settembre Austin aveva dichiarato che la revoca delle restrizioni sulle armi fornite all’Ucraina “non cambierebbe” le sorti della guerra sottolineando che nessuna arma specifica sarebbe un “game-changer” e confermando che la Russia ha spostato le sue bombe plananti oltre la gittata dei missili ATACMS mentre l’Ucraina stessa ha capacità di attaccare obiettivi a lunga distanza, riferendosi ai nuovi droni prodotti da Kiev.

Fonti qualificate hanno informato l’agenzia di stampa Reuters che l’Ucraina ha fornito agli USA e al Regno Unito un elenco di potenziali obiettivi in Russia da attaccare situati nel raggio s’azione dei missili forniti dagli americani (ATACMS) e dai franco-britannici (Storm Shadow/SCALP-EG): posti comando, depositi di carburante e armi oltre ad aree di concentrazione delle truppe.

Obiettivi ben protetti dalla difesa aerea russa che non influenzerebbero in modo significativo gli sviluppi bellici: colpirli aumenterebbe le perdite russe ma non altererebbe i rapporti di forza sul campo di battaglia.  Vale la pena rischiare di entrare in guerra con la Russia per conseguire vantaggi così limitati?

Diversi funzionari statunitensi hanno espresso scetticismo alla Reuters sulle prospettive di tali attacchi con armi americane. Fanno notare che l’Ucraina sta già utilizzando droni per colpire obiettivi in profondità nel territorio russo e che i missili occidentali sono “molto costosi e limitati nella fornitura per cambiare le dinamiche dei combattimenti”.

Nei giorni scorsi la CNN aveva citato fonti militari che confermavano che nei magazzini dell’US Army erano rimasti pochi missili ATACMS trasferibili a Kiev e anche le forze aeree di Londra e Parigi non hanno molti altri Storm Shadow e SCALP-EG da donare agli ucraini, tenuto anche conto che Kiev ha perso quasi tutti gli aerei Sukhoi Su-24 sui quali erano stati integrati questi missili.

Il fatto che la questione del via libera a Kiev per colpire il territorio russo sia tornata all’ordine del giorno sembra però confermare l’ennesima spaccatura all’interno dell’’Amministrazione statunitense tra Pentagono e Segretario di stato: l’ex generale Austin non vede vantaggi militari significativi nell’abolizione delle restrizioni a fronte di rischi seri di confronto militare con la Russia mentre Anthony Blinken (di origini ucraine) appare determinato a innalzare l’escalation con Mosca.

Non a caso il primo ministro britannico Keir Starmer e il presidente statunitense Joe Biden il 13 settembre hanno rimandato nuovamente la decisione. Il premier britannico ha detto di aver avuto una “discussione molto ampia sulla strategia” e che il tema verrà ripreso “all’Assemblea dell’Onu nei prossimi giorni con un più ampio gruppo di soggetti”.

Secondo il Financial Times “ci sono indicazioni” sul fatto che Biden potrebbe essere disposto a permettere che Gran Bretagna e Francia “consentano all’Ucraina di usare i missili Storm Shadow” contro obiettivi in Russia.

Un’affermazione curiosa poiché sia NATO che UE hanno sempre ribadito che ogni nazione decide liberamente quali e quanti armi fornire a Kiev e le regole per il loro impiego. Perché dovrebbe quindi essere la Casa Bianca ad autorizzare i franco-britannici a dare il via libero all’impiego dei loro missili? E perché Biden sarebbe disposto ad autorizzare Londra e Parigi ma non consente l’impiego dei missili americani sulla Russia?

Tra le spiegazioni politiche non si può escludere che gli Stati Uniti intendano portare gli europei, ormai a “sovranità zero” nei rapporti con Washington, a un punto di “non ritorno” nelle relazioni con la Russia favorendo un maggiore coinvolgimento nel conflitto.

Sul piano militare la risposta più convincente è che, come da tempo sostiene Analisi Difesa e come hanno confermato oggi le fonti del britannico Times, Londra non può autorizzare l’impiego dei suoi missili sul territorio russo senza l’aiuto statunitense poiché il supporto satellitare americano è indispensabile per garantire che i missili raggiungano i loro bersagli.

E’ questo il punto fondamentale intorno a cui ruota da tempo la questione del via libera all’uso dei missili contro la Russia, poiché l’idea che tale impiego non coinvolga direttamente mezzi, tecnologie e personale delle forze armate occidentali è del tutto irrealistica e fuorviante.

L’impiego di ATACMS e Storm Shadow richiede supporto intelligence e satellitare oltre a personale tecnico occidentale sul campo, come ha ricordato recentemente Vladimir Putin annunciando che simili attacchi imporranno a Mosca di considerare i paesi della NATO parte attiva nel conflitto.

Certo alcune nazioni hanno già autorizzato Kiev a colpire la Russia con le loro armi (Repubbliche Baltiche, Polonia, Olanda, Finlandia e Svezia) ma si tratta di via libera dal valore solo politico poiché nessuna delle armi fornite all’Ucraina da queste nazioni è in grado di colpire in profondità il territorio russo.

Come aveva precisato la scorsa settimana il presidente ucraino Volodymyr Zelensky tali armi sono state fornite, o sono potenzialmente cedibili, solo da USA, Gran Bretagna, Francia e Germania.

“Con tutto il rispetto per ciascun Paese abbiamo bisogno del permesso di utilizzare armi a lungo raggio da parte di quei Paesi che ce le forniscono. Dipende da loro, non dalla coalizione di tutti i paesi amici del mondo. Dipende da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania”, che forniscono o sono in grado di fornire armi a lungo raggio, aveva precisato Zelensky il 4 settembre.

Gli Stati Uniti hanno ceduto diversi missili balistici ATACMS (300 chilometri di raggio d’azione) mentre francesi e britannici hanno consegnato alle forze aeree di Kiev diversi missili da crociera Storm Shadow /SCALP EG (250 chilometri di tiro utile): armi peraltro già in più occasioni impiegate dagli ucraini contro obiettivi russi in Crimea e nei territori ucraini occupati che si sono rivelate efficaci anche se in molti casi sono state abbattute dalla difesa aerea e dai sistemi di disturbo elettronico russi.

Zelensky e i britannici cercano da mesi di convincere la Germania a fornire i suoi missili da crociera Taurus (“cugini” degli Storm Shadow) che il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha sempre rifiutato ufficialmente di voler consegnare a Kiev adducendo non solo il rischio di escalation con Mosca ma anche la valutazione che il loro impiego non poteva essere gestito da personale ucraino ma avrebbe richiesto la presenza di tecnici tedeschi in territorio ucraino.

Del resto gli attacchi missilistici russi degli ultimi giorni hanno dimostrato chiaramente che le migliaia di occidentali presenti in Ucraina (volontari, mercenari, consiglieri militari….ognuno li chiami come preferisce) sono obiettivi prioritari per i russi.

Scholz ha ribadito il 14 settembre il rifiuto ad autorizzare Kiev a utilizzare armi a lungo raggio ricevute dalla Germania per attaccare obiettivi in territorio russo. “Mantengo la mia posizione anche se altri Paesi decidono diversamente. Non lo farò perché penso che sia un problema“, ha dichiarato il cancelliere.

Da Mosca non mancano moniti in tal senso. “Chi si oppone a noi a Washington, Londra e altrove, sta chiaramente sottostimando il grado di pericolo del gioco che continua a fare”, ha affermato il viceministro degli esteri russo, Sergei Ryabkov. Vladimir Putin su questo “ha già detto tutto. Noi risponderemo in modo brutale. C’è un elemento di rischio serio perché i nostri oppositori a Washington, Londra e altrove stanno sottostimando il grado di pericolo del gioco che continuano a fare“.

L’ex presidente Dmitry Medvedev ha poi messo in guardia: “Nessuno vuole usare le armi nucleari, ma ci sarebbero i presupposti formali per farlo. La pazienza della Russia sta per finire”.

Le valutazioni di Scholz lasciano però qualche interrogativo irrisolto. Se la Germania non ha mai ceduto i suoi missili Taurus all’Ucraina a quali armi a lungo raggio si riferisce il cancelliere quando ne nega a Kiev l’impiego sul territorio russo?

Ufficialmente le munizioni a raggio più esteso fornite dalla Germania all’Ucraina sono i razzi statunitensi M31A1 lanciati dai lanciarazzi campali M270 che hanno un raggio d’azione massimo di 70 chilometri, di poco inferiore alle munizioni guidate d’artiglieria di concezione italiana Vulcano da 155 mm, anch’esse cedute a Kiev da Berlino.

Armi che neppure schierate lungo il confine sarebbero in grado di raggiungere gli obiettivi russi situati nell’entroterra. Considerazioni che potrebbero indurre a sospettare che Berlino abbia ceduto in segreto alcuni missili Taurus all’Ucraina (gestiti forse da personale alleato?) ma non intenda renderlo noto anche alla luce dello scarso consenso riscosso in Germania dagli aiuti militari all’Ucraina e dal coinvolgimento nel conflitto.

Del resto, come ammise nei giorni scorsi lo stesso Zelensky, “le armi a lungo raggio che ci hanno fornito coprono 200-300 chilometri, quindi sono incapaci di raggiungere le distanze che vorremmo”, anche se negli Stati Uniti si parla di fornire a Kiev tra qualche mese i missili da crociera JASSM in grado di colpire obiettivi fino a 900 chilometri di distanza.

Il ministro degli Esteri britannico David Lammy ha ribadito che “nessuna arma può vincere una guerra” ma la Reuters prevede che Londra insisterà anche nei prossimi giorni per ottenere l’approvazione degli Stati Uniti mentre Parigi prenderà la propria decisione in modo indipendente, come ha riferito una fonte diplomatica francese all’agenzia di stampa.

@GianandreaGaian

Foto: MBDA, Presidenza Ucraina, Casa Bianca, Euronews e US ASrmy

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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