I droni FPV della Unmanned Systems Force ucraina
L’11 giugno 2024 l’Ucraina ha tenuto a battesimo l’Unmanned Systems Force (USF), la prima forza armata autonoma al mondo completamente dedicata allo sviluppo e all’impiego dei mezzi senza pilota terrestri, marini e aerei. Utilizzati ormai in tutto lo spettro delle funzioni militari e di combattimento, i droni sono diventati la vera “arma strategica” del conflitto ucraino.
Questo articolo si concentrerà solo sui cosiddetti UAV (Unmanned Aerial Vehicle) e in particolare su quelli a basso costo, concepiti e prodotti utilizzando componentistica civile reperita, tramite triangolazioni commerciali, sul mercato cinese.
Una realtà che, pur avendo un peso sempre crescente, è ancora poco conosciuta al di fuori dell’area del conflitto. Nei primi giorni dell’invasione i velivoli senza pilota Baykar Bayraktar TB2 di produzione turca sono diventati il flagello delle soverchianti forze corazzate russe, risultando fondamentali per fermare l’offensiva su Kiev.
Chiunque abbia vissuto in prima persona le terribili giornate della battaglia per la capitale ricorda bene le colonne di carri russi bruciati da attacchi sferrati proprio con i Bayraktar TB2.
Le truppe di Mosca, all’inizio impreparate ad affrontare questa nuova minaccia, hanno però preso presto le contromisure e, sfruttando i limiti intrinseci del sistema d’arma turco, lo hanno rapidamente spazzato via dai cieli.
Orfani del loro migliore alleato dall’alto, gli ucraini hanno però saputo in pochi mesi “inventare” un’arma alternativa, tanto improbabile quanto in realtà efficacissima. Nell’agosto del 2022, in quello che viene ricordato come “lo scontro della casa dalla porta blu” (FOTO 1), la 93a brigata di fanteria ha impiegato per la prima volta, contro un edificio occupato dai russi, un drone commerciale FPV di produzione cinese, modificato artigianalmente per sganciare una granata a mano.
Il successo della nuova arma è stato subito travolgente: in pochi mesi i droni FPV (pilotati cioè con i visori ottici posti sopra gli occhi e con una visuale in prima persona) hanno letteralmente invaso il campo di battaglia, costituendo un formidabile strumento d’attacco capace di condizionare qualsiasi movimento di truppe o di mezzi sul terreno.
Realizzati in piccole “Drone factories” o laboratori artigianali (si calcola ne siano attivi circa 200 in tutta l’Ucraina), partendo da modelli commerciali cinesi concepiti per le gare di droni, i cosiddetti 7 inch multicottero (nella foto a lato), oppure assemblati con parti di droni giocattolo e componentistica creata con stampanti laser, questi piccoli velivoli sono diventati una vera e propria armata aerea alternativa, tanto economica quanto micidiale.
A utilizzarla in combattimento migliaia di volontari, spesso giovanissimi e senza alcuna esperienza militare, formati con corsi della durata di poche settimane in scuole spesso auto organizzate.
Le autorità ucraine, compresa l’importanza di affiancare a un esercito regolare sempre più in difficoltà questi giovani “partigiani” della drone war, hanno annunciato la realizzazione di oltre un milione di droni a basso costo entro il 2024, favorendo e sostenendo la nascita di centri di addestramento direttamente organizzati e gestiti da volontari civili in tutto il Paese. L’esercito regolare continua a essere equipaggiato con grandi droni di produzione industriale, provenienti da Paesi NATO o di fabbricazione nazionale, ma è proprio il loro superiore livello tecnologico, e quindi il costo elevato, a renderli bersaglio pagante per la contraerea di Mosca.
Ecco allora che anche le Brigate regolari stanno utilizzando in numero crescente i piccoli droni FPV, il cui costo raramente supera i 1000 dollari, e che quindi possono essere lanciati in azione in grandissimi numeri: è economicamente troppo oneroso ingaggiarli con sistemi missilistici antiaerei e tecnicamente non è facile colpirli con il tiro delle mitragliatrici.
Anche i sistemi per il disturbo elettronico sono in difficoltà contro mezzi impiegati in gran numero su aree anche molto vaste e con frequenze di guida per definizione “non standard”.
Una piccola azienda di Odessa ha, ad esempio, realizzato un’antenna in plastica segmentabile con un paio di forbici che permette di cambiare le frequenze di ricezione del segnale prima di ogni volo, rendendo di fatto ogni singolo drone un modello unico almeno dal punto di vista del sistema di controllo (nella foto a lato).
Nel conflitto ucraino sono impiegati UAV (Unmanned Aerial Vehicle) di produzione artigianale con le funzioni più diverse:
- Attacco a obiettivi in volo: attivi contro droni di grandi dimensioni, elicotteri e velivoli lenti.
- Ricognizione: in questa funzione vengono utilizzati generalmente droni cinesi DJI Mavic 3 con telecamere ad alta risoluzione.
- Attacco al suolo: con la capacità di sganciare granate o ordigni auto costruiti anche di tipo incendiario.
- Attacco suicida: i cosiddetti droni kamikaze attivi contro mezzi corazzati e postazioni fisse.
- Antidrone: utilizzati contro i droni militari di maggiori dimensioni
- Ripetizione del segnale (ponte radio): per permettere ai droni d’attacco di estendere il loro raggio operativo oltre la capacità standard di un telecomando radio (nella foto qui sotto).
Dato il bassissimo costo di questo tipo di UAV, qualsiasi bersaglio risulta pagante: per questo vengono utilizzati anche per colpire un singolo fante o una singola trincea sfruttando la loro capacità di infilarsi anche in piccole feritoie o prese d’aria mentre per attaccare carri armati o altri mezzi corazzati vengono messe in campo squadre di tre o quattro droni.
In particolare in quest’ultimo fondamentale campo d’azione, le tecniche d’attacco cambiano giorno per giorno, adattandosi all’evoluzione delle protezioni attive e passive con cui i contendenti stanno “customizzando” i vecchi carri di concezione sovietica presenti in gran numero sul fronte ucraino.
Nelle interviste raccolte con i volontari delle unità di droni FPV emerge come la tecnica a ondate sia oggi quella più impiegata per ingaggiare e distruggere i tank nemici: il primo drone attiva le cariche ERA che proteggono il fianco e la fronte del carro, il secondo distrugge eventuali coperture anti-drone presenti sul mezzo mentre un terzo, dotato di carica cava, sfonda la corazzatura del tank o ne mette fuori uso i cingoli.
Per questo genere di attacchi sono particolarmente efficaci modelli come l’OCA costruito da una piccola drone factory di Kharkiv (nella foto sotto), montando un motore commerciale di produzione cinese su dei tubi idraulici per gli impianti fognari e con ali realizzate in materiale poliuretanico.
Lanciato in volo con una catapulta, realizzata sulla base dell’intelaiatura di una brandina da campo, e pilotato con un visore FPV collegato a un telecomando commerciale da 100 euro, questo drone ad ala fissa è in grado di portare una testata di RPG7 fissata sul muso, a una distanza di circa 60 chilometri (nella foto qui sotto). Il suo costo è inferiore ai mille dollari.
L’unità tattica
L’unità tattica di impiego per i droni FPV è normalmente formata da quattro persone che si muovono in genere su pick-up leggeri e non blindati. In ogni unità tattica è presente un pilota di droni da ricognizione, uno di droni d’attacco oltre a un driver e a uomo di scorta/driver. Ogni pilota opera appoggiato da un fuciliere che lo protegge e monitora, perché, mentre indossa i visori, non ha alcuna consapevolezza di quanto accade accanto a lui.
Queste unità d’attacco devono muoversi subito a ridosso delle linee nemiche, vista la limitata autonomia operativa degli UAV autocostruiti, e sono di conseguenza vulnerabili agli attacchi delle pattuglie anti-drone russe. Si può anzi dire che ormai vi sia una sorta di guerra parallela tra le pattuglie equipaggiate con i droni FPV che si “cacciano” vicendevolmente.
Per “cacciare” le unità nemiche si utilizzano analizzatori di spettro radio, anche questi autocostruiti (nella foto qui sopra), che permettono di individuare da quale punto preciso parta il segnale di controllo per un drone in volo. Una volta trovata la postazione da cui proviene il segnale, questa viene attaccata con l’impiego di droni kamikaze o da attacco.
Pochi gli strumenti difensivi validi per gli operatori di droni, i quali ovviamente non possono utilizzare disturbatori di segnale che impedirebbero di controllare il volo degli UAV che stanno in quel momento pilotando. Tra i mezzi difensivi più comuni, i trasmettitori di segnale che, collegati con un cavo al controller dello UAV, permettono di distanziare di diverse decine di metri l’operatore dal punto da cui parte il segnale radio di controllo.
Alcuni stabilimenti produttivi della zona di Odessa hanno immesso sul mercato un segnalatore che avvisa dell’arrivo di un drone d’attacco almeno 15/20 secondi prima dell’impatto nella foto qui sopra). Sembrano pochi, ma possono fare la differenza tra la vita e la morte.
Una rapida evoluzione
L’innovazione tecnologica nel campo degli UAV è frenetica. Sostenute in parte da fondi statali e in parte ancora maggiore da finanziamenti privati e collette pubbliche, le singole brigate stringono accordi con le drone factories per ideare e mettere in produzione in tempi rapidissimi sempre nuovi modelli adattati alle loro esigenze operative. E’ il caso del drone contraereo TALLON (nella foto sotto), ideato e prodotto nella zona di Kharkiv partendo da un modello hobbistico cinese, che permette di portare sul bersaglio una palla di plastica contenente centinaia di sfere di acciaio.
Può abbattere qualsiasi UAV, di piccole, medie e grandi dimensioni, ma è pericoloso anche per un elicottero. Costo d’acquisto: inferiore ai mille euro.
Alla fine di luglio 2024 la scuola di combattimento droni RAROG di Kharkiv, fondata e diretta dal giovane e carismatico comandante Kan, ha sviluppato e messo in servizio un innovativo drone 7 inch che, grazie a un’ottimizzazione del software di gestione del volo, può portare una granata esplosiva da 100 grammi a 45 km di distanza (nella foto sotto).
Costo d’acquisto: 400 dollari. Con un drone di questo tipo un pilota della RAROG è stato in grado di abbattere un drone russo Geranium, portando letteralmente a “sedere” il drone contraereo sull’ala del velivolo russo e facendolo quindi detonare in volo (nella foto sotto).
I modelli che abbiamo elencato finora, ma ve ne sono decine diversi realizzati e customizzati nelle diverse drone factories ucraine, hanno dunque tutti un dato tecnico in comune: il loro bassissimo costo di produzione.
“Con i soldi necessari ad acquistare un drone ad alta tecnologia prodotto negli stabilimenti occidentali possiamo realizzarne 100 nei nostri laboratori a ridosso del fronte – afferma il capitano Boroda, responsabile di un’unità di droni sul fronte di Odessa. La strategia vincente è sempre quella dello sciame a saturazione.
A confermare la micidiale efficacia dei cosiddetti “carousel attacks”, con diverse unità UAV crews che lavorano in successione contro lo stesso bersaglio fino alla sua totale distruzione, è Fedir Serdiuk, giovane imprenditore che con la sua organizzazione MOWA addestra piloti da combattimento degli UAV]: “La principale innovazione strategica che gli Ucraini sono riusciti a realizzare in questo conflitto è proprio la capacità di creare un mercato alternativo per i velivoli FPV che, per quanto semplici e costruiti senza gli standard dei droni militari occidentali, stanno risultando decisivi in un contesto bellico d’attrito in cui il consumo, e quindi la scarsità del munizionamento, rappresenta il fattore critico”.
On conclusione, è evidente che il “modello ucraino” rappresenta una sfida anche per le forze armate dei Paesi occidentali in quanto facilmente esportabile anche in aree di conflitto a bassa intensità (basti pensare all’attacco di droni in Mali dove sono stati uccisi 21 contractors dell’ex Gruppo Wagner con tecniche e materiali ucraini) e soprattutto difficilmente sostenibile per un sistema industriale militare che, per vincoli normativi e caratteristiche produttive intrinseche, non sarebbe in alcun modo in grado di produrre mezzi d’attacco a un costo così ridotto.
Foto: Andrea Romoli e Ministero difesa Ucraino
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Ph.D. Inviato della redazione Speciali del Tg2 è stato a lungo corrispondente dal teatro di guerra ucraino. Primo capitano della riserva dell’Esercito Italiano è un veterano delle missioni in Iraq, Afghanistan, Libano, Kossovo, Albania e Bosnia dove ha lavorato nelle comunicazioni operative. Ha pubblicato diversi volumi sulla storia contemporanea e sulla propaganda di guerra.