Il dilemma di Iran e Israele: costretti a combattersi ma incapaci di vincere

 

A quasi un anno da quel 7 ottobre che sancì l’inizio dell’ennesimo conflitto tra Israele e i suoi vicini, l’Iran ha lanciato circa 200 missili balistici contro Israele la sera del 1° ottobre, come ha riferito la televisione di Stato iraniana.

Fonti della Difesa israeliana ha reso noti numeri leggermente inferiori, 180 missili, aggiungendo che la maggior parte erano stati intercettati. Del resto Israele ha l’abitudine di negare i propri attacchi oltre confine ed è lecito attendersi che nasconda per quanto possibile le perdite negli attacchi che subisce.

Successivamente è stato annunciato che il 75 per cento dei missili iraniani è stato intercettato, quindi molti di meno rispetto all’attacco iraniano dell’aprile scorso, quando forse solo 7 missili iraniani colpirono i loro bersagli.

“In risposta al martirio del martire Ismail Haniyeh, di Sayyed Hasan Nasrallah e del martire Nilforooshan abbiamo colpito il cuore delle terre occupate” hanno reso noto i Guardiani della Rivoluzione, con un comunicato citato dall’agenzia iraniana Mehr. Il riferimento è ai leader di Hamas, assassinato a Teheran a luglio, e di Hezbollah e al generale iraniano Abbas Nilforooshan, comandante in Libano della Divisione al-Quds, unità per le operazioni all’estero dei pasdaran, ucciso a Beirut come Nasrallah.

 

L’attacco iraniano contro Israele

Il 1° ottobre Israele ha ammesso indirettamente che 40/ 50 missili hanno raggiunto il bersaglio pur senza fornire notizie circa i danni subiti anche se qualche immagine satellitare ha mostrato danni sulla base di Nevatim (nella foto qui sotto) confermati anche da alcuni media israeliani come Maariv.

Molti video girati in Israele mostrano diverse serie di missili esplodere al suolo a conferma che i diversi sistemi di difesa aerea, in particolare i missili Arrow 3 e il David’s Sling, sono stati saturati e non sono riusciti a fermare un attacco balistico così massiccio neppure con il supporto dei missili Standard imbarcati sulle navi statunitensi, degli aerei francesi e britannici e forse anche dei Patriot statunitensi basati in Giordania.

I media iraniani (ma anche molti cittadini israeliani e palestinesi) hanno postato online filmati dei missili che esplodono al suolo. Il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC) ha affermato che i missili hanno preso di mira “tre basi” intorno a Tel Aviv, tra cui due basi aeree che ospitano aerei da combattimento F-35I (l’Iran sostiene di averne distrutti 20 nella base di Nevatim) e F-15I, il quartier generale del Mossad e altre postazioni militari israeliane.

Teheran ha annunciato che “il 90% dei missili ha colpito gli obiettivi” rivendicando il successo nell’attacco contro Israele e promettendo che se ci sarà una reazione l’Iran risponderà “con ancora maggiore forza”. “Questa operazione è stata pianificata meticolosamente, eseguita con precisione e ha comportato una progettazione complessa ed è stata un successo completo. I nostri obiettivi erano puramente militari e operativi e avevano legittimità internazionale”, ha detto il ministro della Difesa iraniano, generale Aziz Nasirzadeh, citato dai media iraniani.

Il Fattah 1 avrebbe un raggio d’azione di 1400 chilometri è ipersonico per gran parte del volo e dispone di una testata esplosiva da 500 chili manovrabile in fase terminale rendendo più difficile l’intercettazione da parte della difesa aerea. Secondo diversi esperti sarebbero stati impiegati anche i missili balistici Kheibar Shekan (già impiegati nell’attacco di aprile) con testata da 500 chili e forse anche l’Emad, che ha 1800 chilometri di raggio d’azione e una testata da 750 chili.

Nel sottolineare che questi attacchi sono ”solo la prima ondata” delle operazioni missilistiche iraniane, ha aggiunto: ”Non abbiamo ancora dispiegato la maggior parte delle nostre capacità missilistiche avanzate. Se il regime sionista, o i suoi sostenitori, cercheranno di trascinare la regione in guerra, risponderemo sicuramente con maggiore forza nelle ondate successive”.

Il Pentagono ha affermato che, secondo la sua valutazione, l’Iran intendeva infliggere danni a Israele con il suo attacco missilistico di oggi e che la raffica di missili era circa “il doppio della portata” dell’attacco della Repubblica islamica allo Stato ebraico nell’aprile scorso, quando l’Iran aveva lanciato più di 300 droni e missili verso Israele.

La televisione di Stato iraniana e l’agenzia di stampa Tasnim, legata alle Guardie della Rivoluzione, hanno riferito che nell’attacco di oggi, l’esercito iraniano ha utilizzato per la prima volta i missili ipersonici Fattah contro Israele. Sembra che le difese israeliane, aiutate dagli Stati Uniti, siano riuscite in gran parte ad intercettare i razzi prima che potessero causare danni significativi o ferire qualcuno a terra, mentre gli israeliani si riparavano tra il suono delle sirene antiaeree.

Tel Aviv e Washington hanno minacciato ritorsioni per l’attacco. “L’Iran ha commesso un grave errore e ne pagherà il prezzo”, ha dichiarato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Ci atterremo a ciò che abbiamo stabilito: chi ci attacca, lo attacchiamo”.

Il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid ha chiesto il 2 ottobre una risposta “dura” all’attacco missilistico da parte dell’Iran. “C’è una cosa che dovrebbe essere chiara ai nostri nemici: Israele sarà vittorioso”, ha affermato in una dichiarazione. “Con le nostre capacità militari, le nostre industrie di difesa, il supporto dei nostri alleati e in particolare la forza del nostro incredibile popolo”, continua l’ex primo ministro, “sappiamo che anche se il costo sarà alto, vinceremo”.

Ieri 2 ottobre, a bordo dell’Air Force One, il presidente americano Joe Biden ha detto ad alcuni giornalisti che gli Stati Uniti non sosterrebbero attacchi di Tel Aviv contro siti nucleari nel territorio della Repubblica islamica. Secondo il sito d’informazione Axios le strutture petrolifere iraniane potrebbero finire nel mirino di Israele insieme al sistema di difesa aerea iraniano e personaggi di spicco del regime.

Il presidente francese Emmanuel Macron ha condannato “con la massima fermezza i nuovi attacchi dell’Iran contro Israele” e ha affermato il 2 ottobre che Parigi “ha mobilitato le sue risorse militari in Medio Oriente per contrastare la minaccia” di Teheran.

Anche il segretario alla Difesa britannico John Healey ha condannato “l’attacco dell’Iran contro Israele”, affermando che ieri le forze del Regno Unito hanno “svolto la loro parte per prevenire un’ulteriore escalation in Medio Oriente”. n una dichiarazione pubblicata sul suo account X, Healey ha ringraziato “tutto il personale britannico coinvolto nell’operazione per il suo coraggio e la sua professionalità” e ha assicurato che Londra sostiene “pienamente il diritto di Israele a difendere il suo paese e il suo popolo dalle minacce”.

Il Ministero della Difesa di Londra non fornisce informazioni su come le forze del Regno Unito siano state coinvolte ma a Cipro Londra dispone di due basi con sistemi radar a lungo raggio, d’intelligence e aerei da combattimento Typhoon.

 

Le operazioni terrestri Israele in Libano

Dopo l’uccisione di Hassan Nasrallah le IDF hanno attuato dal 1*ottobre diverse puntate offensive nel Libano meridionale, dove peraltro solo quest’anno le forze speciali israeliane avevano già effettuato decine di incursioni mirate in una fascia di pochi chilometri a nord della Blue Line.

Secondo le analisi del think-tank statunitense Institute for the Study of the War (ISW, di cui pubblichiamo le mappe) gli attacchi terrestri si sono sviluppati lungo almeno due assi. Le immagini geolocalizzate mostrano le forze israeliane che si avvicinano separatamente a Odaisseh e Maround al Ras con unità della 36a e la 98a divisione delle IDF, “veterane” delle operazioni nella Striscia di Gaza.

Le IDF hanno richiamato altre quattro brigate di riservisti e “forze aggiuntive” per le operazioni al fronte nord di Israele. Questo “consentirà di portare avanti le attività operative contro l’organizzazione terroristica Hezbollah e di raggiungere obiettivi operativi, in particolare il ritorno in sicurezza nelle proprie case degli abitanti del nord di Israele”.

Le Forze armate Libanesi (LAF) hanno affermato che le forze israeliane sono penetrate marginalmente, per meno di 500 metri, nel territorio libanese nei settori di Odaisseh e Khirbet Yaroun dove sono rimaste brevemente per poi retrocedere.

Hezbollah ha reso noto di aver ingaggiato le forze delle IDF a Odaisseh e Maround al Ras affermando di aver fatto esplodere ordigni esplosivi improvvisati (IED) vicino a Kfar Kila e Yaroun. L’IDF ha riferito di aver ucciso combattenti di Hezbollah e distrutto infrastrutture militari in luoghi non specificati ammettendo la perdita di 8 militari israeliani in quattro scontri separati.

Ieri su Telegram Hezbollah ha reso noto che le sue forze “si sono scontrate con i soldati israeliani, hanno inferto perdite e le hanno costrette a ritirarsi”.

Da quanto emerso si tratta quindi di incursioni “mordi e fuggi”, tese a distruggere precisi obiettivi (soprattutto comandi di reparti e depositi di munizioni) in supporto all’intensa campagna aerea (nella foto sotto un bombardamento su Beirut) che da giorni ha intensificato i raids in tutto il territorio libanese con l’obiettivo di degradare le capacità di Hezbollah soprattutto nel sud del Libano dove, come Israele ricorda da molti anni, molte basi e depositi di armi sono stati costituiti in violazione della Risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

I velivoli da combattimento israeliani sono tornati a colpire obiettivi nel quartiere Dahiyeh, nella capitale libanese, roccaforte di Hezbollah. Il Partito di Dio ha intensificato il lancio di razzi contro Israele colpendo Tel Aviv con 4 missili Fadi-4 sulla base di Glilot, vicino a Herzliya, a nord di Tel Aviv, sede dell’Unità 8200 e del quartier generale del Mossad. Attacchi rivendicati “in memoria di Nasrallah”.

Il 2 ottobre funzionari israeliani e statunitensi hanno riferito anonimamente al New York Times che i raid sul Libano avrebbero distrutto la metà dell’arsenale di Hezbollah la cui consistenza per le stesse fonti rimarrebbe ancora “formidabile”.

Il 1° ottobre il portavoce delle forze armate israeliane Daniel Hagar aveva annunciato che l’obiettivo delle operazioni mirate in Libano era sventare un attacco simile a quello avvenuto il 7 ottobre dello scorso anno e ha esortato i residenti di una trentina di villaggi nel sud del Libano a evacuare a nord del fiume Awali. “Chiunque si trovi vicino a membri, strutture e mezzi di combattimento di Hezbollah mette in pericolo la propria vita. Si prevede che qualsiasi casa utilizzata da Hezbollah per le sue esigenze militari sarà presa di mira”, aveva avvertito il portavoce militare israeliano in lingua araba, Avichay Adraee.

“Israele continuerà a fare tutto il necessario per evitare che un attacco in stile 7 ottobre si ripeta su uno qualsiasi dei nostri confini” ha detto Hagari confermando che Hezbollah aveva pianificato di invadere Israele, attaccare le comunità israeliane e massacrare uomini, donne e bambini innocenti”.

La Forza Onu nel sud del Libano (UNIFIL) ha confermato di essere stata informata dalle IDF dell’intenzione di portare avanti “incursioni di terra limitate” nel Paese dei Cedri e ha ribadito la sollecitazione alle parti a impegnarsi sulla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza Onu che nel 2006 pose fine alla guerra di 34 giorni tra Israele e Hezbollah.

Vale la pena ricordare che la risoluzione prevedeva il ritiro delle forze israeliane dal sud del Libano e il ritiro di Hezbollah a nord del fiume Litani, a oltre 30 chilometri dalla frontiera israeliana lasciando l’area tra Blue Line e Litani al presidio dei caschi blu e delle forze libanesi.

Hezbollah però non si è mai ritirata adducendo il fatto che Israele continua a occupare la minuscola area delle Fattorie di Shebaa, che l’Onu considera territorio siriano occupato. Nel 2018 un’operazione militare israeliana scoprì tunnel realizzati da Hezbollah che penetravano per centinaia di metri in territorio israeliano.

Israele aveva informato delle incursioni terrestri imminenti UNIFIL ma anche gli Stati Uniti. Il governo israeliano si è mostrato irritato con Washington dopo che il portavoce del dipartimento di Stato americano, Matthew Miller, aveva detto pubblicamente che Israele aveva informato gli Stati Uniti su “alcune operazioni”, anche di terra, in Libano. “Al momento ci hanno detto che si tratta di operazioni limitate alle infrastrutture di Hezbollah vicino al confine, ma siamo in continuo dialogo con loro”, ha dichiarato Miller.

A Tel Aviv, il portavoce delle IDF, Daniel Hagari, ha replicato a stretto giro sul social X: “Nelle ultime ore ci sono stati molte notizie e voci sull’attività delle IDF al confine libanese. Chiediamo che non vengano diffuse notizie sulle attività delle nostre forze. Attenetevi solo ai resoconti ufficiali e non diffondete voci irresponsabili”. Solo in seguito le IDF hanno ufficializzato l’inizio dell’operazione di terra nel sud del Libano, parlando di incursioni “limitate, localizzate e mirate basati su intelligence precisa contro obiettivi terroristici e infrastrutture di Hezbollah”.

Sembra’ evidente che l’obiettivo di Israele è smantellare la minaccia nemica lungo il confine per rimettere in sicurezza la Galilea e far rientrare alle loro case le migliaia di sfollati.

Oggi le IDF hanno comunicato che decine di razzi sono stati lanciati contro le città del nord del Paese nelle ultime ore e di aver colpito “circa 200 obiettivi terroristici di Hezbollah in territorio libanese, tra cui siti di infrastrutture terroristiche, terroristi, depositi di armi e posti di osservazione”.

Israele sostiene inoltre di aver ucciso “circa 15 terroristi di Hezbollah” in un attacco all’edificio del comune di Bint Jbeil , in cui, secondo quanto afferma, Hezbollah stava operando.

Le IDF hanno dichiarato anche di aver colpito il quartier generale dell’intelligence di Hezbollah a Beirut, in mezzo a una raffica di attacchi mirati alle postazioni del gruppo sciita nella capitale libanese. I velivoli israeliani “hanno colpito obiettivi appartenenti al quartier generale dell’intelligence di Hezbollah a Beirut, tra cui agenti terroristici appartenenti all’unità, mezzi di raccolta di informazioni, centri di comando e ulteriori infrastrutture terroristiche”.

Sempre oggi Tel Aviv ha annunciato l’invio della 36a divisione e di altre forze oltre la sua frontiera settentrionale incluse le brigate Golani, 188a corazzata e 6a di fanteria.

Hezbollah a sua volta ha reso noto di aver respinto un tentativo dell’esercito israeliano di avanzare verso un punto di confine nel Libano meridionale, la Porta di Fatima”, “con il fuoco dell’artiglieria”.

Due soldati libanesi sono rimasti uccisi oggi in due incidenti separati nel sud del Libano: il primo è stato ucciso mentre stava lavorando insieme alla Croce rossa libanese e il secondo in un attacco israeliano a una caserma a Bint Jbeil. Lo riporta L’Orient-Le Jour, che aggiunge che in questo secondo incidente per la prima volta l’esercito libanese ha risposto a un attacco israeliano.

Dall’inizio delle ostilità “1.974 persone hanno perso la vita e altre 9.384 sono rimaste ferite tra cui 127 bambini, 261 donne e 97 membri del personale medico e di emergenza”, ha reso noto il ministero della Sanità libanese.

 

Le precedenti operazioni israeliane in Libano

Le incursioni e occupazioni israeliane in Libano non sono certo una novità.

  • “Operazione Litani”, 1978: la prima incursione israeliana in Libano ha luogo dal 14 al 21 marzo 1978, quando il suo esercito invase la parte meridionale del Paese penetrando per circa 40 chilometri fino al Fiume Litani respingendo più a nord le milizie palestinesi. L’operazione venne condannata dalle Nazioni Unite con la risoluzione 425 del Consiglio di Sicurezza, che invitava Israele a ritirare le sue forze dal territorio libanese, cosa che accadde solo 22 anni dopo, il 16 giugno 2000.

 

  • “Pace in Galilea”, il 6 giugno 1982 l’esercito israeliano lancia un’operazione più ampia che porta gli israeliani a circondare Beirut per cacciare l’Olp e porre fine alle incursioni dei fedayn.  Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, il leader dell’Olp Yasser Arafat e piu’ di 11.000 combattenti palestinesi lasciano il Libano sotto la sorveglianza di una Forza di interposizione multinazionale. Il bilancio ufficiale libanese dell’invasione israeliana è di quasi 20.000 morti e 30.000 feriti alla fine del 1982.

 

  • La “guerra dei 33 giorni”, 2006: dopo il ritiro israeliano dal Sud del Libano, sei anni prima, Hezbollah inizia colpire il Libano. Nell’estate del 2006, Israele lancia una vasta offensiva, ma incontra una durissima resistenza subendo perdite severe (160 soldati) anche in termini di carri Merkava. Dopo 33 giorni gli israeliani si ritirano: i morti. La risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza, che pone fine alla guerra, stabilisce che solo l’esercito libanese e i caschi blu di UNIFIL siano dispiegati nel Libano meridionale.

 

Gli altri “fronti”  

Nel mirino di Israele anche i supposti depositi di armi di Hezbollah situati in Siria. Ieri le difese aeree siriane hanno affrontato attacchi missilistici israeliani lanciati dal mare nell’area di Lattakia che hanno colpito, secondo fonti dei media di Damasco, la città costiera di Jableh, a sud di Lattakia. I media dell’opposizione in Siria hanno riferito che l’obiettivo dell’attacco era un deposito di armi. L’IDF ha promesso di recente di impedire tutte le spedizioni di armi che dall’Iran giungono per via aerea in Siria per poi raggiungere Hezbollah in Libano.

Sempre aperto anche il fronte yemenita. Oggi “le unità per i droni delle forze yemenite hanno effettuato un’operazione militare contro un obiettivo cruciale nella zona di Jaffa e Tel Aviv”, ha affermato il portavoce della milizia Houthi, Yahya Sare’e, rivendicando via Telegram un attacco con “vari droni”. “L’operazione ha raggiunto i suoi scopi dal momento che i droni hanno centrato i loro obiettivi senza che il nemico fosse in grado di affrontarli o abbatterli”, ha sostenuto, lanciando nuove minacce. Ieri gli Houthi avevano lanciato tre missili da crociera al-Quds 5 contro obiettivi militari in Israele.

Anche le milizie irachene filo-iraniane hanno rinnovato il loro impegno minacciando di colpire gli interessi statunitensi in Iraq se gli Stati Uniti utilizzeranno lo spazio aereo iracheno per compiere azioni ostili contro l’Iran in seguito al bombardamento iraniano su Israele.

Il Comitato di coordinamento della Resistenza irachena, affiliato ai gruppi di milizie filo-iraniane (peraltro integrate nelle forze armate irachena) che hanno rivendicato negli ultimi anni numerosi attacchi con razzi e droni contro le basi statunitensi.

Prospettive

L’uccisione dei leader politici di Hamas a Teheran e di Hezbollah a Beirut sembra indicare la volontà di Israele di puntare tutto sull’opzione militare eliminando di fatto i leader con cui avrebbe potuto intavolare negoziati con la mediazione internazionale. A tal proposito è emerso oggi che il leader politico di Hezbollah, ucciso il 27 settembre da un intenso bombardamento sul quartier generale del gruppo scita a Beirut, aveva appena accettato una proposta di cessate il fuoco avanzata da Francia e Stati Uniti.

Almeno secondo quanto ha riferito il ministro degli Esteri libanese, Abdallah Bou Habib, in un’intervista con l’emittente CNN. Nelle intenzioni di Washington e Parigi la tregua sarebbe dovuta durare tre settimane giungendo forse non a caso a ridosso delle elezioni presidenziali statunitensi.

In termini militari però le prospettive di Israele sono ricche di incognite. Anche scatenando tre divisioni con tutti i relativi supporti in un’offensiva tesa a conquistare (anzi, a riconquistare la fascia di sicurezza libanese tra la Bule Line e il fiume Litani (Leonte), le IDF incontrerebbero una forte resistenza avanzando in un territorio collinare, ostile e in cui le milizie scite si preparano da anni ad “accoglierli”. Inoltre dopo la conquista tale territorio dovrebbe venire presidiato costantemente con costi finanziari e in termini di perdite certo considerevoli.

Rinunciare a ristabilire una fascia di sicurezza significherebbe lasciare esposta la Galilea e l’intero territorio israeliano ai bombardamenti di Hezbollah poiché la storia insegna che la distruzione di depositi e postazioni senza mantenere il controllo del territorio consentirà alla milizia scita di ricostituire rapidamente le scorte di armi e arruolare nuovi combattenti.

Per questa ragione gli obiettivi finali delle iniziative militari israeliane non appaiono ancora ben chiari. Inoltre, l’efficacia dell’attacco missilistico iraniano evidenzia la vulnerabilità di Israele che potrebbe ingigantirsi per saturazione ed esaurimento dei missili da difesa aerea in caso di continue ondate di attacchi considerato che le stime risalenti allo scorso anno dello US Central Command valutavano che Teheran disponesse di almeno 3mila missili balistici a cui si aggiungono le capacità di Houthi ed Hezbollah.

Sul piano politico l’amministrazione Biden ha bisogno che gli israeliani cessino le operazioni aderendo al cosiddetto “Piano Biden” per non compromettere il voto di larghe fasce di elettorato giovanile, progressista e islamico di cui ha bisogno Kamala Harris.

Anche per er questo Netanyahu sta provando in tutti i modi a coinvolgere direttamente nella guerra l’Iran poiché in quel caso le potenze occidentali scenderebbero in campo compatte al suo fianco.  Al di là della convincente risposta missilistica del 1° ottobre, il governo di Teheran non sembra disposto a cadere nella trappola pur mal sopportando le provocazioni israeliane. Del resto l’Iran questa guerra potrebbe puntare a vincerla “ai punti” anche senza combatterla direttamente grazie ai suoi alleati regionali e al progressivo logoramento di Israele e del suo governo.

Sul piano economico, infine, lo Stato ebraico subisce ormai da un anno anche gravi danni economici in seguito al conflitto, non ultimo il blocco del porto di Eilat a causa delle attività degli Houthi contro il traffico mercantile all’imboccatura meridionale del Mar Rosso. Dopo il duplice declassamento del rating creditizio di Israele da parte di Moody’s, anche l’agenzia di rating Standard&Poor ha annunciato il 2 ottobre di aver nuovamente declassato di un livello il rating creditizio di Israele.

In un comunicato stampa, S&P afferma di aver abbassato il rating di credito a lungo termine di Israele da “A+” ad “A” e che continua a mantenere un outlook negativo, che “riflette i rischi per la crescita di Israele, le finanze pubbliche e la bilancia dei pagamenti derivanti dall’intensificarsi del conflitto contro Hezbollah in Libano, comprese le minacce dirette alla sicurezza in caso di attacchi missilistici di rappresaglia contro Israele”.

“La prospettiva negativa riflette anche il rischio di una guerra più diretta con l’Iran, sebbene ciò non sia nel nostro attuale scenario di base”, aggiunge l’agenzia di rating che abbassa anche le previsioni di crescita economica in Israele per quest’anno e il prossimo, prevedendo una crescita pari a zero nel 2024 e del 2,2% nel 2025 “insieme all’ampliamento dei deficit fiscali sia nel breve che nel medio termine, man mano che la spesa legata alla difesa aumenta ulteriormente”.

In questo conflitto tutti i belligeranti (Israele, Hamas, Iran, Hezbollah, Houthi….) si sono dimostrati efficaci ma anche vulnerabili e non risolutivi, di fatto incapaci di conseguire una vittoria decisiva. Un elemento che potremmo definire “di equilibrio” che (senza dimenticare che Israele è una potenza nucleare) potrebbe costituire la base per imbastire prima o poi una inevitabile trattativa.

@GianandreaGaian

Foto: IDF, IRNA, Telegram e ISW

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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