L’Europa nelle mani dei baltici bellicosi

 

La guerra in Ucraina sembra aver cambiato i rapporti di forza anche all’interno della UE privilegiando le nazioni più agguerrite contro Mosca. A oltre due anni e mezzo dall’inizio del conflitto rimane paradossale l’assoluta ostilità espressa dalla Commissione a ogni tentativo di risolvere il conflitto con una trattativa e il cieco bellicismo ostentato anche dalla nuova Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen.

Una Commissione che sta nascendo sulla falsariga di quella precedente per obiettivi e programmi ma che appare molto meno autorevole nei commissari che ne fanno parte, in buona parte figure di limitato rilievo politico.

Un bellicismo che stona rispetto alle difficoltà in cui versa l’Europa, molto più debole e disarmata oggi rispetto al febbraio 2022, con poche truppe, armi e munizioni per far fronte a un conflitto convenzionale, in condizioni economiche recessive e con l’energia più cara rispetto alle altre aree industrializzate del mondo.

Ma anche e soprattutto un bellicismo che stona con il pessimo andamento del conflitto per Kiev, e quindi anche per i suoi alleati, cioè noi: ciò nonostante la suddivisione dei ruoli di commissario sembra indicare che la UE punta ancora sul braccio di ferro militare con Mosca proprio nel momento in cui dovremmo invece prepararci a gestire un negoziato.

Come spiegare diversamente il rilievo attribuito alle tre repubbliche baltiche, piccole e di scarso peso militare, politico ed economico ma che appaiono oggi dei “giganti” solo grazie alla russofobia che ne anima i governi.

Sentimenti che hanno certo motivazioni storiche, non fosse altro perché Estonia, Lettonia e Lituania hanno fatto parte dell’Impero Russo e poi dell’URSS, ma il rilievo che hanno raggiunto in ambito UE a discapito di nazioni ben più importanti e trainanti ha dell’incredibile e meriterebbe analisi e spiegazioni esaustive.

Anche tenendo conto che nelle repubbliche baltiche sono in atto gravi discriminazioni dei loro stessi cittadini di etnia russa e viene praticata una furiosa cancellazione culturale nei confronti della storia e della lingua non dissimile da quella in atto in Ucraina.

Discriminazioni che la Ue, in altri casi attenta a censurare violazioni dei diritti e discriminazioni o a condannare Roma se non attribuisce anche ai migranti stranieri benefit sociali concepiti per i cittadini italiani, si guarda bene dal condannare. Osserviamo nei dettagli la leadership delle Repubbliche Baltiche, partner dell’Unione solo dal 2004, nella nuova Commissione Ue.

Il lettone Valdis Dombrovskis è stato riconfermato commissario all’Economia e Produttività, non proprio un incarico simbolico per il rappresentante di una nazione il cui PIL nel 2024 ha raggiunto i 46 miliardi di euro, più o meno come le Marche.

Mentre l’economia europea va a fondo, Dombrovskis ha fatto sapere le con chiarezza le sue priorità sostenendo il 30 settembre l’urgenza di mobilitare a favore dell’Ucraina fino a 35 miliardi di euro del nuovo pacchetto macrofinanziario e fino a 45 sotto forma di prestiti concordati in ambito G7, avanzate il 20 settembre dalla Commissione europea.

Dombrovskis ha ribadito che “la questione della confisca dei beni russi congelati non si discute”. Circa la legittimità giuridica dell’utilizzo dei proventi derivanti dai fondi russi congelati in Europa, Dombrovskis ha affermato che “in base a un’analisi giuridica è stato chiarito che i profitti straordinari sui beni russi immobilizzati non sono di proprietà russi, ma europea”.

Evidentemente il commissario non si pone nessun dubbio che la confisca dei frutti generati dai beni russi sequestrati rappresenti un caso idoneo a scoraggiare o forse anche mettere in fuga gli investimenti esteri nel continente.

La politica estera e di sicurezza europea sarà presto in mano all’Alto commissario ed ex premier estone Kaja Kallas che sostituirà Josep Borrell.

Kallas è nota per la sua ostilità alla Russia di cui ha auspicato il tracollo e la sua suddivisione in repubbliche in guerra tra loro.

Valutazione che potrebbe fruttare un premio in qualche concorso internazionale di russofobia ma poco prudente per uno statista poiché non sembra tenere in considerazione i gravissimi rischi per la sicurezza globale insiti nello sfaldamento di una potenza nucleare che dispone di 6.500 testate atomiche che finirebbero chissà dove se dilagasse l’anarchia.

Il commissario alla Difesa e Spazio (nuovo incarico voluto dalla von der Leyen) Andrius Kubilius, ex premier lituano e “un noto falco sia nei confronti di Mosca che di Pechino” come scrive l’AGI.

Da parlamentare europeo, Kubilius ha sottolineato la necessità di sostenere militarmente l’Ucraina proponendo agli alleati di contribuire con lo 0,25% del PIL allo sforzo bellico di Kiev e aveva anche proposto far pagare a Mosca il conto per la ricostruzione dell’Ucraina utilizzando non solo gli interessi ma i capitali russi congelati in Europa dopo l’inizio della guerra.

Il suo incarico è legato soprattutto agli sforzi per sviluppare l’industria della Difesa europea, settore produttivo in cui la Lituania non esprime di fatto alcun potenziale ma ha appena siglato un importante accordo con la statunitense Northrop Grumman.

Di fatto la UE è rappresentata su temi strategici quali politica estera, di sicurezza e difesa dagli esponenti di tre nazioni irrilevanti il cui merito sembra essere unicamente la sicura fede anti-russa e l’opposizione più ferrea a ogni ipotesi di negoziato per concludere il conflitto in Ucraina, costi quel che costi all’Europa.

L’aspetto più preoccupante è che incarichi così delicati, specie in tempo di guerra in Europa, vengano affidati dalla Commissione von der Leyen 2 a esponenti così sbilanciati e al tempo stesso espressione di nazioni marginali nel contesto dell’Unione.

Senza voler mancare di rispetto a nessuno, vale la pena ricordare che il peso delle economie di Estonia, Lettonia e Lituania è irrilevante in termini di PIL (165 miliardi di euro quest’anno, meno del Veneto e pari allo 0,9% di quello della UE), che la loro superficie complessiva è pari a 175mila chilometri quadrati, cioè 1/24 dell’Unione Europea e la loro popolazione complessiva raggiunge i 6 milioni di persone, cioè 1/75 di quella dell’Unione.

In termini militari le tre repubbliche baltiche mettono in campo tutte insieme 21 mila militari con modestissime capacità di combattimento terrestri e nessuna navale e aerea (i cieli baltici vengono difesi a turno dai partner NATO) per una spesa complessiva nel 2024 di 4,5 miliardi di euro.

Estonia, Lettonia e Lituania, insieme alla Polonia, hanno già fatto sapere che chiederanno finanziamenti dalla UE per costruire una rete di fortificazioni lungo i confini con la Russia e la Bielorussia già definita “Linea di difesa baltica” o “Scudo Orientale”.

“La necessità di una linea di difesa (baltica) deriva dalla situazione di sicurezza e supporta il nuovo concetto di difesa avanzata della NATO”, ha dichiarato il ministro della Difesa estone Hanno Pevkur, aggiungendo che “è estremamente importante coordinare le nostre attività con la Polonia”.

L’Estonia prevede di costruire nei prossimi anni fino a 600 bunker lungo i 333 chilometri di confine con la Russia, per un costo stimato di 60 milioni di euro, la Polonia punta su una linea di difesa operativa nel 2028 al costo di circa 2,3 miliardi di euro mentre il costo in Lituania dovrebbe raggiungere i 300 milioni di euro.

In tema di lungimiranza politica e strategica e a conferma di quali orizzonti di pace e distensione prefigurino le repubbliche baltiche per l’Unione Europea, il ministro degli Esteri lettone, Baiba Braze, ha affermato il 1° ottobre che “l’adesione dell’Ucraina all’UE e alla NATO apporterà un contributo significativo alla sicurezza e alla prosperità dell’intera Europa. A questo contribuiranno l’esperienza, le capacità di combattimento e le risorse economiche e tecnologiche delle forze armate ucraine.

Troppo spesso consideriamo l’impatto della Russia, della Cina e di altri aggressori sui cambiamenti geopolitici preoccupandoci più di preservare la stabilità che non di difenderci dalle minacce esistenziali che incombono su di noi”.

Per non essere da meno, ieri il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, intervenendo a Strasburgo al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha detto che “l’Ucraina, purtroppo, non è ancora autorizzata a colpire adeguatamente obiettivi in territorio russo. Questo solleva preoccupazioni e dubbi su chi stiamo realmente proteggendo: la Russia o il popolo ucraino”.

Valutazioni preoccupanti e non certo condivise dalla gran parte dei partner UE e NATO tenuto conto che neppure Washington ha autorizzato Kiev a colpire la Russia con le armi fornite dagli USA.

Sempre con tutto il rispetto per la sovranità delle singole nazioni, se i baltici hanno tanto a cuore la “guerra santa” contro la Russia se la combattano da soli senza cercare di trascinarvi tutta l’Europa. La UE ha già abbastanza da fare con i tentativi dell’Ucraina di portarci in guerra contro Mosca da non sentire il bisogno di pressioni interne.

Il ruolo di spicco dei piccoli e bellicosi paesi baltici nella politica economica, estera, di difesa e di sicurezza della Ue sembra quindi spiegarsi con la condivisione dell’approccio ostile verso la Russia e il sostegno militare all’Ucraina che da oltre due anni stanno portando l’Europa al disastro e soprattutto con la loro ferrea alleanza con gli Stati Uniti.

Non a caso si tratta delle stesse posizioni espresse da Ursula von der Leyen che l’anno scorso l’Amministrazione Biden sembrava voler sostenere per sostituire Jens Stoltenberg al vertice della NATO.

@GianandreaGaian

Foto Commissione Europea

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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