Non convince l’aleatorio “Piano per la Vittoria” di Zelensky
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha illustrato nei giorni scorsi al parlamento ucraino e poi all’Unione Europea il suo “Piano per la Vittoria” che in sintesi consiste in cinque punti, tutti in realtà piuttosto aleatori, ma soprattutto tutti tesi a coinvolgere direttamente Stati Uniti ed Europa nel conflitto.
Innanzitutto il piano prevede che l’Ucraina dovrà entrare nella NATO e a questo proposito Zelensky ha detto di attendersi un invito formale dall’Alleanza Atlantica. “Per noi la Nato è un ombrello di sicurezza, è l’unica speranza che abbiamo. Se i partner non rispetteranno le promesse per noi sarà molto difficile nei confronti della Russia” ha detto Zelensky in conferenza stampa a margine dei lavori del Consiglio europeo.
Giusto per forzare un po’ la mano ai suoi alleati occidentali Zelensky ha fatto balenare l’ipotesi che l’Ucraina si doti di armi nucleari in caso di mancato ingresso nell’Alleanza Atlantica. Kiev consegnò a Mosca gli arsenali atomici ereditati dall’URSS all’inizio degli anni ’90 in base a un accordo sottoscritto all’epoca anche dagli Stati Uniti.
Inoltre l’Ucraina chiede armi a lunga gittata per colpire in profondità la Russia e continuare le operazioni militari sul territorio russo come quelle in atto nella regione di Kursk, dove però gli ucraini perdono terreno ogni giorno di più e soprattutto molte truppe e mezzi.
Il via libera a colpire in profondità la Russia “non significherà altro che una partecipazione diretta alla guerra in Ucraina”, ha avvertito Putin ammonendo gli stati membri della NATO.
Il terzo punto prevede un accordo che permetta di schierare sul territorio ucraino armi strategiche “non nucleari” che possano fungere da deterrente contro nuovi attacchi russi. Si tratta probabilmente di missili balistici e da crociera in grado di raggiungere in pochi minuti Mosca o altri obiettivi strategici russi. “Dateci la possibilità di dimostrare ai russi che li fermeremo se non si fermano da soli” ha detto ieri Zelensky.
Oltre a questi tre punti il piano prevede anche la protezione congiunta da parte di USA e UE delle risorse naturali critiche dell’Ucraina e l’uso congiunto del loro potenziale economico: aspetto da chiarire meglio ma che da un lato appare come una ulteriore cessione delle risorse agricole e minerarie ucraine alle grandi società statunitensi e dall’altro potrebbe costituire un ulteriore escamotage teso a coinvolgere le nazioni della NATO sul territorio ucraino.
Infine, a conflitto concluso e dopo l’adesione alla NATO, Zelensky offre di sostituire alcuni contingenti di truppe americane oggi basati in Europa con reparti ucraini di veterani esperti. Aspetto interessante che cela le (farneticanti?) aspirazioni di “potenza militare” di Kiev, perché è vero che i veterani ucraini (e russi) saranno a guerra conclusa i militari più esperti nella moderna “arte della guerra” ma questo non significa che una brigata ucraina possa esprimere la stessa capacità tecnologica e la medesima deterrenza di una statunitense.
Inoltre il piano contiene tre “addendum” che rimangono segreti e saranno negoziati con i partner dell’Ucraina, riguardanti presumibilmente le garanzie di sicurezza e il tipo di armi, per lo più statunitensi, da ospitare sul suolo ucraino.
“La debolezza dell’Ucraina, se i partner non ci sostengono su questo e sull’economia, si tradurrebbe in maggiore forza della Russia”, ha aggiunto Zelensky, riferendo che 18 leader dell’Ue sono intervenuti durante la discussione, si sono espressi in maggioranza a favore del suo piano, tesi peraltro smentita da fatti e dichiarazioni.
Le reazioni
Al di là dell’espressione velleitaria “Vittoria”, poco rappresentativa oggi di un’Ucraina sempre più sotto schiaffo sul piano militare, il piano illustrato da Zelensky appare un “libro dei sogni” fin dal primo punto.
Il cancelliere tedesco Scholz ne ha respinto i punti chiave perché teme un’escalation e che la guerra tra Russia e Ucraina si trasformi in una guerra tra Russia e NATO, e ha inoltre respinto ancora una volta la consegna di missili da crociera a lungo raggio Taurus. La posizione di Berlino va inserita del resto in un contesto di rumors circa la ripresa di contatti politici e diplomatici con la Russia (come ha scritto Die Zeit il 16 ottobre riferendosi a colloqui che si sarebbero tenuti ieri a Baku, in Azerbaigian) che, se confermati, mostrerebbero un ennesimo ritorno della Germania alla Realpolitik di bismarckiana memoria.
Il premier ungherese Viktor Orban ha dichiarato di non sostenere il Piano Zelensky perché ”non è vantaggioso per l’Ungheria” e sulla stessa linea si è posta la Slovacchia del premier Robert Fico.
La Casa Bianca ha fatto sapere che all’interno della NATO non c’è unanimità circa l’invito di Kiev nell’Alleanza, e il segretario generale Mark Rutte ha rifiutato di esprimere una posizione netta sul piano di Zelensky pur definendo l’ingresso “irreversibile” mentre un alto funzionario dell’amministrazione statunitense ha riferito valutazioni opposte. “Gli alleati della NATO continuano a negoziare l’invito all’Ucraina ma al momento non c’è consenso per offrire all’Ucraina l’adesione”.
Anche sul fronte dell’invio di armi la tendenza non è positiva per Kiev: le potenze occidentali continuano a negare agli ucraini l’uso dei missili balistici ATACMS e da crociera Storm Shadow/SCALP per colpire la Russia e “la Casa Bianca non intende cambiare idea” ha fatto sapere un portavoce.
Inoltre il vertice di Ramstein del 12 ottobre sulle nuove forniture militari a Kiev è stato rinviato ufficialmente per gli impegni di Biden in seguito all’uragano Milton che ha colpito le coste della Florida ma al momento non è ancora stato riprogrammato e con ogni probabilità non se ne riparlerà prima delle elezioni negli Stati Uniti del 5 novembre.
Del resto la gran parte degli aiuti militari promessi più recentemente a Kiev riguardano armi e munizioni ancora da produrre e che quindi saranno disponibili per le truppe ucraine tra molti mesi o più.
Quanto alla condivisione con gli alleati delle risorse naturali ucraine vale la pena ricordare che le aree minerarie del Donbass sono già per la gran parte in mano russa mentre lo stesso Zelensky ha sottolineato che “i russi si trovano a soli 100 chilometri da alcuni dei nostri giacimenti di materie prime. Naturalmente, non permetteremo loro di catturarli, ma se non saremo aiutati dai nostri partner, le possibilità della Russia aumenteranno. Quindi, se li conquista, insieme ai suoi potenziali alleati, la Russia può usarli. E ciò è molto pericoloso” ha detto il presidente.
Un piano dissociato dalla realtà
Un tema strettamente legato all’annuncio di Zelensky che l’Ucraina non intende cedere territori né negoziarne la cessione. Affermazioni paradossali considerando le continue avanzate russe nel Donbass e le difficoltà degli ucraini nella regione di Kursk. Basti pensare che fonti ucraine confermano che negli ultimi due mesi i russi hanno conquistato 5,5 volte il territorio che avevano occupato nell’intero 2023.
Le crescenti carenze di armi, munizioni e truppe rischiano di esporre le forze ucraine al rischio di collasso in diverse aree del fronte: per questo appare poco probabile che Kiev possa determinare se cedere o meno territori mentre risulta più probabile che Mosca rivendichi presto il possesso di aree più ampie delle quattro regioni ucraine che si era annessa con i referendum del settembre 2022.
Ciò nonostante, con sprezzo del ridicolo, Zelensky ha avvertito che la Russia ha bisogno di soldati e “Putin si inquieta perché l’opinione pubblica è contraria al reclutamento generale”. Per questo, “secondo la nostra intelligence, la Russia formerà 10.000 soldati di origine non russa”, e in particolare “sono in corso di formazione dei soldati nord coreani, che sarebbero poi inviati a combattere in Ucraina“.
In realtà ad avere bisogno disperato di truppe è invece l’Ucraina, che peraltro ha già arruolato e impiegato molte migliaia di “volontari” stranieri e per rimpolpare i ranghi è costretta ad arruolare a forza i cittadini attuando rastrellamenti nei locali pubblici e nelle strade.
Difficile credere che le drammatiche condizioni militari ucraine possano cambiare con l’istituzione a Wiesbaden (Germania) della nuova struttura NATO che a detta di Rutte “farà davvero la differenza” sul campo di battaglia e sarà determinante nel rafforzare il sostegno all’Ucraina.
Il NATO Security Assistance and Training for Ukraine (NSATU), retto da un generale di corpo d’armata, sostituirà il coordinamento statunitense che finora ha gestito le spedizioni di armi all’Ucraina e sovrintenderà all’addestramento delle truppe di Kiev effettuato in diverse nazioni alleate. La sua istituzione è stata approvata al vertice NATO di Washington, dovrebbe impiegare circa 700 militari (appartenenti a quanto sembra ai 32 stati membri dell’alleanza tranne l’Ungheria che non ha voluto aderire) assumerà il controllo del coordinamento delle spedizioni di armi e munizioni all’Ucraina.
Si tratta quindi di un’organizzazione prettamente logistica dispiegata in Germania e nelle nazioni alleate che confinano con l’Ucraina.
Valutazioni
Dal quadro attuale sembra emergere, al di là dei soliti slogan triti e ritriti, l’assenza di una strategia occidentale rispetto al conflitto e al futuro assetto dell’Ucraina. L’ex segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha proposto un modello erroneamente definito “dell’ex Germania Ovest”, cioè l’ammissione nella NATO solo di quelle regioni dell’Ucraina su cui Kiev esercita un controllo completo. Stoltenberg ha dichiarato al Financial Times che “è necessaria una linea che definisca il punto in cui viene invocato l’articolo 5 e l’Ucraina deve controllare il territorio fino a quel confine”.
Insomma l’Ucraina entrerebbe nella NATO solo con le regioni in cui non vi sono truppe russe. Difficile comprendere come possa Stoltenberg (peraltro già noto per le sue gaffes e le parole in libertà) a non rendersi conto che anche le regioni ucraine fuori dal controllo militare di Mosca vengono ogni giorno colpite da missili e droni russi e non sono estranee al conflitto in corso: quindi i raid russi colpirebbero comunque un paese della NATO con tutte le implicazioni del caso.
Inoltre la Germania Ovest era una nazione riconosciuta al pari della Germania Est (DDR), quindi si trattava di due stati appartenenti a due alleanze diverse e contrapposte (NATO e Patto di Varsavia), non di regioni della stessa nazione invase. Insomma, quanto emerge dal dibattito in Occidente sulla guerra in Ucraina non fa che ingigantire la percezione dell’inconsistenza politico-strategica e innanzitutto culturale di chi dovrebbe guidarci fuori da questa crisi e scongiurare un conflitto più ampio in Europa.
Difficile non notare che ogni ipotesi di ingresso dell’Ucraina nella NATO cozza con la pretesa russa che Kiev resti neutrale, non disponga di armi offensive né ospiti truppe o armi statunitensi o alleate. Si tratta di una delle motivazioni che hanno indotto la Russia ad attaccare l’Ucraina nel febbraio 2022: quindi l’ingresso di Kiev nell’alleanza significherebbe automaticamente uno status di guerra costante tra Russia e NATO.
C’è davvero qualcuno in America e in Europa pronto a questo o anche solo disposto a correre questo rischio?
Certo un’ampia e incontrovertibile sconfitta militare di Mosca nell’attuale conflitto potrebbe cambiare gli equilibri ma questa ipotesi non appare realistica a guardare cosa accade sui campi di battaglia, dove i russi avanzano su tutti i fronti e gli ucraini in ritirata sembrano prossimi al collasso.
Del resto non è difficile comprendere il punto di vista di Mosca: l’Ucraina nella NATO significa (nei suoi attuali confini) che USA e alleati sarebbero schierati a 500 chilometri da Mosca. Per comprendere meglio cosa significhi basta porsi una sola domanda: se vi fossero basi missilistiche russe o cinesi sul confine messicano o canadese come reagirebbero gli Stati Uniti?
In ultima analisi occorre sottolineare che ancora una volta Zelensky ha proposto i suoi piani per concludere il conflitto agli alleati quando dovrebbe invece rivolgersi alla Russia, unico attore con cui Kiev potrebbe e dovrebbe negoziare. Non a caso la risposta del Cremlino al “Piano della Vittoria” ne mette in luce la totale inattendibilità.
“L’unico piano di pace possibile è che il regime di Kiev comprenda che la sua politica è senza prospettiva e che è necessario svegliarsi”, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. “Molto probabilmente, questo è lo stesso piano degli americani per combatterci fino all’ultimo ucraino”.
Valutazione quest’ultima non casuale dopo che fonti ucraine hanno confermato le pressioni di Washington su Zelensky affinché abbassi l’età dell’arruolamento obbligatorio da 25 a 18 anni. Questione spinosa per i suoi risvolti sociali e per il consenso già scarso di Zelensky che potrebbe essere tra i temi in agenda della visita di oggi a Kiev del segretario alla Difesa americano Lloyd Austin.
Foto: NATO, Presidenza Ucraina e TASS
Mappa Institute for the Study of the War
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.