Le criticità del piano di pace di Trump per l’Ucraina
In una recente intervista all’emittente statunitense FOX News, il futuro consigliere per la sicurezza nazionale scelto da Trump, Mike Waltz, ha affermato che Trump considera un’escalation anche il permesso di Biden di lanciare missili a lungo raggio sul territorio russo, e che tale escalation, da entrambe le parti, deve arrivare a una “fine responsabile”.
Parole molto confortanti che provengono da una delle figure chiave della nuova amministrazione statunitense, che potrebbero gettare le basi per l’avvio del tanto agognato negoziato per la conclusione del conflitto russo-ucraino. Tuttavia, Robert Wilkie, già Sottosegretario alla difesa per gli affari dei veterani sotto la precedente amministrazione Trump, posto a capo del team di transizione al Pentagono, aveva spiegato in un’intervista alla BBC, le modalità con le quali la squadra del nuovo presidente degli Stati Uniti affronterà Putin fin dal primo giorno.
Pur avendo puntualizzato che non stava parlando ufficialmente a nome di Trump, ha espresso opinioni decisamente non aderenti alle nostre aspettative. In particolare, l’idea di Wilkie sarebbe quella di “ordinare” a Mosca di fermarsi.
Nel caso la Russia rimanesse “ribelle” Trump aumenterebbe notevolmente gli aiuti all’Ucraina, in contrasto con le idee isolazioniste sull’abbandono di Kiev al proprio destino. “Donald Trump aumenterà gli aiuti all’Ucraina se la Federazione Russa minaccerà gli americani con una risposta schiacciante. Gli Stati Uniti hanno già l’esperienza di aver ucciso trecento soldati russi in Siria” ha affermato con orgoglio Wilkie.
Inoltre, secondo quanto riportato da Politico, un altro alleato importante del nuovo presidente, il senatore Mike Rounds, avrebbe espresso frustrazione per il fatto che Washington non abbia fornito all’Ucraina più armi per vincere la guerra.
In aggiunta, avrebbe raffreddato gli animi circa l’idea di negoziare un accordo di pace tra Russia e Ucraina, dicendo che non ci si può fidare del Cremlino e che vedrebbe qualsiasi proposta di pace come un segno di debolezza occidentale.
“Per quanto mi piaccia credere che possiamo negoziare con un tiranno, sospetto che potremmo ingannare noi stessi” ha detto il senatore parlando di Putin all’Halifax International Security Forum qualche giorno fa. Anche Rounds ha peraltro sottolineato di non esprimere il pensiero ufficiale dell’amministrazione entrante (ma, allora, perché parlano?).
La rassegna delle affermazioni poco confortanti si può concludere, al momento, citando le esternazioni di Sebastian Gorka, futuro Senior Director for Counterterrorism della nuova amministrazione statunitense, di origine ungherese, e noto per le sue simpatie per un gruppo estremista di destra del Paese di origine, che ha equiparato l’invasione dell’Ucraina alla campagna di Hitler per annettere i Sudeti. Primo passo di una guerra lampo per conquistare l’Europa.
Insomma, Waltz a parte, si tratta di dichiarazioni che non sono certamente il frutto di un’articolata visione strategica del futuro del conflitto russo ucraino, e che rappresentano una posizione nettamente diversa nel partito repubblicano dalle promesse di Trump di mediare un accordo di pace con la Russia entro pochi giorni dall’assunzione della presidenza.
Riflettono anche una visione pro-Ucraina che sembrerebbe peraltro essere ampiamente condivisa nell’ambito dell’entourage repubblicano del Senato, anche se altri segmenti dello stesso partito stanno spingendo il nuovo presidente a tagliare gli aiuti militari a Kiev, quando entrerà in carica a gennaio. Dunque, tenuto conto che si tratta delle persone che Trump ha scelto perché lo rappresentino (e consiglino), che valore dobbiamo attribuire a queste affermazioni? E che cosa ne sarà del conflitto dopo il 20 gennaio del prossimo anno?
Probabilmente, dovremo convivere con la presenza di tutti e due gli stati d’animo (più che strategie): quello di trovare una generica “fine responsabile” e quello di continuare a “punire” Putin qualora le aspettative di Trump sul comportamento della Russia vengano disattese.
In merito a quest’ultimo aspetto sembrerebbe, secondo alcune indiscrezioni, che il maggiore ostacolo alla negoziazione di un possibile piano di pace sia costituito dal comportamento del futuro presidente a fronte di un possibile rifiuto di Mosca delle condizioni poste da Washington, peraltro solo parzialmente note.
La vera preoccupazione, secondo alcuni analisti, è che Trump faccia qualcosa di inaspettato per affermare il proprio ego e salvaguardare l’immagine e la reputazione degli Stati Uniti. È noto, infatti, per aver preso decisioni rapide e intemperanti come quelle di lanciare missili contro la Siria o uccidere il generale iraniano Soleimani.
Pertanto, se l’ego di Trump fosse offeso da un possibile rifiuto della Russia, il pericolo è il ricorso ad azioni incontrollate come l’invio di truppe statunitensi in una parte del territorio ucraino, o della marina militare nel Mar Nero e chissà che cos’altro. Trump non può permettere che la sua reputazione sia quella dell’uomo che ha subìto l’iniziativa di un suo avversario, (in questo caso Putin), e il mantra della “pace attraverso la forza” è l’ossimoro che costituisce la più grande minaccia al processo di pace.
D’altronde, ci sono tutti gli elementi per aspettarsi un rifiuto di Putin, dal momento che il cosiddetto piano di pace di Trump prevede di affidare, secondo alcune dichiarazioni estemporanee, la leadership del controllo della zona di smilitarizzazione, per tutta la lunghezza del fronte, a Francia, Germania, Polonia e Regno Unito con schieramento di truppe della NATO, a ovest del Dnipro.
Una prospettiva incompatibile con la clausola della neutralità e del non schieramento di soldati ostili alla Russia in territorio ucraino richiesta dal Cremlino. La Francia ha sempre sposato la linea dura della risposta militare occidentale invocando, anche recentemente, il coinvolgimento diretto dell’Alleanza Atlantica nel conflitto, e ha tolto le restrizioni all’impiego dei propri missili da crociera SCALP per colpire il territorio russo.
Parimenti, il ministro degli esteri tedesca Annalena Baerbock ha sempre affermato che anche la Germania dovrebbe prendere la stessa decisione in merito all’impiego dei propri missili Taurus. È pur vero che nei primi mesi del prossimo anno a Berlino s’insedierà un nuovo governo, ma le possibilità di assistere a un brusco cambio di rotta circa la postura strategica dei tedeschi devono essere valutate. Nel frattempo, l’incertezza politica tedesca non aiuta.
La Polonia è, tra tutte le citate possibili nazioni leader, quella che presenta il quadro più complesso e meno rassicurante. Anche Varsavia ha evocato spesso la prospettiva di un coinvolgimento diretto nel conflitto, auspicato peraltro anche da Zelensky. Tuttavia, secondo un sondaggio del think tank statunitense European Council on Foreign Relations, il 69% dei polacchi non è favorevole allo schieramento di truppe di Varsavia in territorio ucraino a qualunque titolo, contingenti “di pace” inclusi.
Inoltre, le manifeste ostilità tra polacchi e ucraini su alcuni temi importanti di politica estera minano la credibilità della Polonia come garante di un possibile accordo di pace duraturo. Pesa soprattutto la questione del genocidio di Volhynia, avvenuto nel corso della Seconda guerra mondiale, dove circa centomila polacchi sono stati uccisi dalle forze naziste. Kiev si è rifiutata di riesumare e seppellire le vittime del massacro, nonostante Varsavia abbia speso il 3,3% del proprio PIL in aiuti all’Ucraina.
Il rifiuto ucraino viene interpretato come la conferma che le vittime in argomento non erano innocenti e che quindi meritavano quella morte. Molti ultranazionalisti ucraini considerano i polacchi alla stregua dei russi, se non peggio. E anche questo non aiuta.
Ci sono poi le accuse di Zelensky al governo polacco, riportate dalla testata ucraina Ukrainska Pravda alla fine dello scorso mese di ottobre, riguardanti il (presunto) scarso impegno nell’assistere l’Ucraina nel corso della guerra. In questo caso il “casus belli” era costituito dall’accusa di aver trattenuto delle armi, compresi alcuni MIG 29, utili per il sostegno del conflitto.
Improponibile anche un ruolo per il Regno Unito, russofobo per eccellenza e sempre pronto a incoraggiare nelle parole dei suoi leader politici e dei suoi vertici militari, inclusi il confronto diretto con Mosca e l’impiego dei missili da crociera contro la Russia.
Diciamo, quindi, che non solo non siamo in presenza delle condizioni ottimali per attuare una soluzione del conflitto nei termini in cui è stata accennata, ma dovremo anche fare i conti con l’imprevedibilità dei comportamenti di chi avrà nelle mani il destino di ulteriori migliaia di vite umane.
La risoluzione di questo conflitto è una questione esistenziale per Mosca, e Putin ha già sottolineato più volte che non è interessato ad accettare una brutta copia degli accordi di Minsk, con protagonisti gli stessi inaffidabili attori. Ma non sembra che questo aspetto sia stato colto né negli Stati Uniti né in Europa, dove aspettiamo le mosse della nuova amministrazione USA per poter poi adeguare la postura strategica di conseguenza.
Nessun dibattito o dichiarazioni di intenzioni di voler contribuire all’elaborazione di ipotesi di proposte negoziali che rispecchino la realtà. Biden lascia un’eredità mortale che sarà gestita con esiti imprevedibili e incerti dal suo successore, e dovremo probabilmente convivere ancora a lungo con un quadro di profonda instabilità.
Foto: MAGA, Ministero Difesa Russo, Presidenza Ucraina, TASS e Ministero Difesa ucraino
Maurizio BoniVedi tutti gli articoli
Nato a Vicenza nel 1960, è stato il vice comandante dell'Allied Rapid Reaction Corps (ARRC) di Innsworth (Regno Unito), capo di stato maggiore del NATO Rapid Reaction Corps Italy (NRDC-ITA) di Solbiate Olona (Varese), nonché capo reparto pianificazione e politica militare dell'Allied Joint Force Command Lisbon (JFCLB) a Oeiras (Portogallo). Ha comandato la brigata Pozzuolo del Friuli, l'Italian Joint Force Headquarters in Roma, il Centro Simulazione e Validazione dell'Esercito a Civitavecchia e il Regg. Artiglieria a cavallo a Milano ed è stato capo ufficio addestramento dello Stato Maggiore dell'Esercito e vice capo reparto operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma. Giornalista pubblicista, è divulgatore di temi concernenti la politica di sicurezza e di difesa.