Le fregate indiane Project 17-A classe Nilgiri

 

Sono ormai passati 10 anni da quando, nel settembre del 2014, l’allora Primo Ministro Indiano (peraltro, in carica ancora oggi) Narendra Modi lanciò l’iniziativa “Make in India”; una iniziativa ambiziosa, volta a incrementare la capacità industriale del grande Paese asiatico, soprattutto in funzione di una futura piena autosufficienza.

Tra gli obiettivi di questa iniziativa c’era anche la crescita quantitativa e qualitativa della forza lavoro locale nonché, infine, garantirsi una ben maggiore indipendenza tecnologica. Per capire la portata di “Make in India” un solo numero tra i tanti: 25, che rappresenta proprio il numero dei settori economici-industriali da essa coinvolti. Per non parlare poi della notevole mole degli investimenti mobilitati; da quelli locali a quelli provenienti dall’estero.

Ovviamente, tra questi 25 settori non poteva non esserci anche quello della Difesa. Anzi, quest’ultimo deve essere considerato come uno tra quelli più importanti, proprio per i suoi risvolti diretti di natura non solo industriale e tecnologica ma, anche, per gli effetti sulla sicurezza dell’India e sulla sua autonomia strategica. Che poi significa capacità di realizzare in maniera autonoma sistemi d’arma funzionali alle esigenze di Difesa (queste ultime sempre più pressanti per New Delhi, a fronte delle crescenti capacità militari dei suoi 2 nemici/competitor storici: Pakistan e Cina) ma anche per provare ad aumentare la propria penetrazione nel mercato dell’export degli armamenti.

E’ però opportuno evidenziare che “Make in India” non ha prodotto finora i risultati sperati se non a “macchia di leopardo”.

Alcuni ambiti hanno infatti visto sicuramente dei progressi mentre altri no. E tra i primi va annoverato l’ambito navale, con ancora più specifico riferimento alle unità di superficie: corvette, fregate e cacciatorpediniere sono infatti ormai realizzate con un ampio livello di autonomia e in numeri significativi (anche se ci sono ancora varie lacune, che emergeranno nel seguito della analisi).

Fino poi ad arrivare al livello più alto e cioè alla Indigenous Aircraft Carrier (IAC) Vikrant; la cui complessità ha però finito con il far risaltare ancora di più taluni limiti.

Abbastanza disastrosa invece, tanto per rimanere in ambito navale e per fare un esempio di segno contrario, la situazione della componente subacquea, con ogni singolo programma caratterizzato da difficoltà di vario tipo.

 

La nuova generazione di fregate Indiane:  le Project 17 classe Shivalik

Prima ancora di entrare nel dettaglio delle fregate Project 17-A classe Nilgiri, non si può non fare cenno alle piattaforme che le hanno precedute sugli scali dei cantieri Indiani.

E cioè le 3 fregate Project 17 della classe Shivalik (con la capoclasse consegnata nel 2010, la seconda unità Satpura consegnata l’anno successivo e la Sahyadri che è entra in servizio nel 2012, tutte assegnate all’Eastern Naval Command e dislocate presso la base navale di Visakhapatnam.

Perché proprio queste sono state le prime unità di questo tipo a poter essere considerate di progettazione e costruzione “indigena” nonché con un contenuto tecnologico importante.

E’ interessante notare che queste unità ordinate nel 1999, poi iniziate a costruire a partire dal 2001 e quindi consegnate agli inizi del decennio scorso, sono dunque piattaforme integralmente concepite realizzate ben prima dell’avvio del “Make in India”.

Eppure, vale comunque la pena di analizzarle (rapidamente) perché è proprio attraverso di esse che è stato possibile per l’India acquisire conoscenze e competenze nel settore; entrambe le quali poi riversate sulle unità successive.

Lo sviluppo di queste fregate ha avuto inizio nella seconda metà degli anni ‘90 ed è corso in parallelo con l’acquisto delle prime unità della Talwar o Project 11356 dalla Russia. Entrambi i programmi rappresentano perciò un “ponte” fondamentale per il passaggio della Marina Indiana verso delle fregate di una generazione successiva a quelle allora in servizio.

In questo senso è però da sottolineare che a dispetto dell’utilizzo di sistemi comuni, della collaborazione con Severnoye Project Design Bureau (russo) e di alcune somiglianze da un punto di vista della configurazione generale, le 3 fregate della classe Shivalik sono effettivamente da considerare a tutti gli effetti unità di concezione/progettazione e costruzione locale.

Il dato è da prendere con la dovuta cautela ma secondo fonti indiane la percentuale di “indigenizzazione” delle Shivalik sarebbe pari al 60 o forse anche al 70%.

Realizzate dai cantieri Mazagon Dock Limited, le Shivalik si contraddistinguono in particolare per lo sforzo fatto in termini di riduzione della segnatura, quella radar prima di tutto (visibile soprattutto nella configurazione del blocco delle sovrastrutture anche se poi vi sono diversi elementi di “sporcano” questo lavoro) ma anche quella nello spettro infrarosso, acustico e magnetico.

Lo stesso aspetto dimensionale ci fornisce precise indicazioni in proposito; con una lunghezza di 144 metri (secondo altre fonti 142,5), una larghezza di 16,9, un pescaggio di 4,5 e, infine, un dislocamento a pieno carico indicato in 6.200 tonnellate, è evidente che le Shivalik segnano un significativo passo in avanti rispetto non solo alle precedenti fregate ma anche alle stesse Talwar. Dato che le maggiori dimensioni restituiscono poi, ovviamente, un più ampio ventaglio di capacità operative.

Nuovo passo in avanti anche sul fronte dell’impianto propulsivo; che potremmo definire “pienamente Occidentale”, in contrasto a diversi elementi che invece tradiscono una eredità russa (e non solo).

Esso di presenta in configurazione CODOG (COmbined Diesel Or Gas Turbine) ed è composto da 2 diesel S.E.M.T. Pielstick 16 PA6 STC da 7.600 hp ciascuno, utilizzati per le andature di crociera, e da 2 turbine a gas General Electric LM 2500 IEC (Integrated Engine Controls) tarate a 24.000 hp, che invece sono impiegate per gli spunti di velocità.

Detto della presenza di 4 generatori diesel per le varie utenze di bordo, interessante il quadro prestazionale che emerge, 22 nodi di velocità massima sui diesel mentre con il ricorso alle turbine a gas la velocità stessa sale a 32 nodi, con un’autonomia di oltre 5.000 miglia ai 18 nodi dell’andatura di crociera sostenuta.

In questo quadro di sostanziale “modernità”, stupisce il dato sul numero degli uomini di equipaggio: ben 257. E questo nonostante le stesse Shivalik abbiano installato una serie di sistemi di automazione a partire da un Integrated Platform Management System (IPMS), passando per un Integrated Platform Management System (IPMS), per finire con un Battle Damage Control System (BDCS).

La parte che quindi potremmo definire più “originale” è il sistema di combattimento con sensori e sistemi d’arma tra i più vari in termini di loro provenienza.

Premesso che il Combat Management System (CMS) è stato sviluppato localmente dalla Weapons and Electronic Systems Engineering Establishment o WESEE (e indicato come CMS-17), nel campo dei sensori principali si distinguono sistemi di diversa origine:

  • Russa (il radar di ricerca aerea e di designazione dei bersagli MR-760 Fregat M2EM; più i 4 radar di controllo del tiro per i missili Shtil del tipo 3R-90 Orekh),
  • Israeliana (i 2 radar di controllo del tiro ELTA EL/M 2221 per i pezzi di artiglieria nonché, soprattutto, il radar di scoperta aerea e navale EL/M-2238 STAR)
  • Indiana (il radar di controllo per i missili antinave BEL Aparna). Sempre della stessa BEL (Bharat Electronics Limited) anche la suite sonar composta da un sonar a scafo e, secondo alcune fonti, anche da un Active Towed Array Sonar (ATAS).

Non meno eterogenea anche la composizione dei sistemi d’armamento dove ai tre Paesi già menzionati si aggiunge l’Italia con l’artiglieria di prua costituita dal celebre pezzo da 76/62 mm di Leonardo, qui in versione Super Rapido.

Accanto a questo, 2 impianti russi AK-630 a 6 canne rotanti da 30 mm mentre sul fronte della difesa aerea si registra l’ennesimo mix con un lanciatore singolo per missili russi a medio raggio Shtil-1 (con riserva di 24 missili) e 32 pozzetti VLS (Vertical Launching System) per missili Barak-1 di concezione Israeliana.

Vi è poi una vasta gamma di sistemi d’arma russi come le armi antisom rappresentate da 2 lanciarazzi RBU-6000 e da 2 lanciasiluri binati per ordigni Type 53.

Nel settore antinave sulle Shivalik sono installate 8 celle VLS per altrettanti missili da crociera Klub, versione export del ben noto Kalibr. Secondo alcune fonti tali celle di lancio dovrebbero essere in grado di ospitare anche i missili supersonici antinave BrahMos di produzione locale ma sviluppati congiuntamente da Russia e India..

Questo rapido quadro d’insieme delle Project 17 si conclude con la nota sulle dotazioni elicotteristiche; rappresentate da un paio di elicotteri (oggi dei Sea King Mk. 42B, in prospettiva altri modelli di nuova introduzione).

Dunque, le Project 17 rappresentano un deciso passo in avanti rispetto alle unità della generazione precedente (Project 16 Godavari e le derivate Project 16A Brahmaputra) che, per quanto anch’esse di progettazione/costruzione indigene, alla fine si sono rivelate unità complessivamente modeste. Cosa ben diversa, come detto, dalle Shivalik che, invece, hanno proiettato cantieri e Marina Indiana negli anni 2000.

Anche se può apparire anomalo che ne sano statio realizzati solo 3 esemplari specie per una forza navale come quella Indiana, letteralmente “affamata” di nuove unità con cui potenziare la propria flotta.

 

Le fregate Project 17A o classe Nilgiri

La storia di questo programma è sostanzialmente in linea con la media dei programmi di investimento per le Forze Armate Indiane, ovvero lento e complicato. La sua partenza può essere fatta risalire al giugno del 2009 quando il Defense Acquisition Council (DAC) elabora la cosiddetta Acceptance of Necessity (AoN) per il progetto nel suo complesso; definendo al tempo stesso il requisito per 7 unità.

Poco più di 2 anni dopo, lo stesso DAC stabilisce anche che ci sarà un cantiere responsabile del programma (di nuovo Mazagon Limited, MDL) che si occuperà della costruzione di 4 fregate; questo mentre le rimanenti 3 saranno invece realizzate da Garden Reach Shipbuilders & Engineers Ltd o GRSE: entrambi i cantieri sono controllati dal Governo Indiano.

Nel frattempo, il Warship Design Bureau (organo della Marina Indiana deputato alla progettazione delle sue navi) cominciò il lavoro di progettazione delle future fregate Proejct 17A che venne finalizzato almeno in quelle che saranno le caratteristiche fondamentali già nel 2013, per esser poi affinato nei mesi successivi.

Il 10 febbraio 2015 il Cabinet Committee on Security (CCS) diede il via libera definitivo al programma, consentendo al Ministero della Difesa di firmare i contratti con MDL e GRSE appena un paio di settimane dopo.

La Marina Indiana si era imposta tempi di consegna piuttosto stretti, tali quindi da riflettersi su quelli di costruzione. Ritenendo ora che i cantieri Indiani non sarebbero stati in grado di farvi fronte, ecco dunque la proposta di costruire le prime 2 fregate in un cantiere estero, per poi realizzare le successive 5 unità in India.

Tale raccomandazione però è stata nettamente respinta dal Ministero della Difesa in nome del “Make in India”, imponendo perciò il rispetto dei piani originali. Una decisione che, con il senno di poi, si può considerare corretta dato che il programma sta procedendo in maniera spedita, essenzialmente grazie a due fattori.

Il primo è rappresentato dall’intervento di Fincantieri che già nel dicembre del 2015 firmò un contratto con MDL attraverso il quale il gruppo italiano ha fornito assistenza tecnica a entrambi i cantieri Indiani coinvolti nel progetto.

Punti centrali di questa assistenza sono stati la progettazione e la costruzione modulare per consentire a MDL e GRSE di acquisire le capacità di progettare e costruire secondo i più moderni metodi di cosiddetta “integrated modular construction”.

Ciò significa realizzare anche in siti produttivi diversi più blocchi nello stesso momento, per poi farli confluire nel cantiere di assemblaggio finale in modo da risparmiare sensibilmente sui tempi di costruzione- Il secondo fattore è rappresentato dagli importanti investimenti fatti sia da MDL che da GRSE per adeguare le proprie strutture produttive.

I tempi per le prime unità realizzate rispettivamente da MDL e GRSE (Nilgiri e Himgiri) in realtà appaiono ancora lunghi: la Nilgiri impostata alla fine di dicembre 2017, varata nel settembre 2019 e consegna attesa a breve, mentre la Himgiri è stata impostata nel novembre del 2018, varata nel dicembre di 2 anni dopo e infine con consegna prevista il 2025. Le altre unità stanno viaggiando invece in maniera più spedita.

Per quanto riguarda quelle realizzate da MDL, abbiamo la Udaygiri impostata nel maggio del 2019, varata esattamente 3 anni dopo e consegna prevista nel 2025.

La Taragiri, impostata nel settembre del 2020, varata sempre 2 anni dopo e consegna prevista nel 2026. Infine, la Mahendagiri, impostata nel giugno del 2022, varata già nel settembre dell’anno dopo e consegna ipotizzata nel 2027.

Per ciò che riguarda invece GRSE, la Dunagiri è stata impostata nel gennaio del 2020, varata nel luglio di 2 anni dopo e la consegna è prevista nei primi mesi del 2026. Da ultimo, la Vindhyagiri, impostata nel marzo 2021, varata nell’agosto sempre di 2 anni dopo con consegna in indicata per la fine del 2026.

Tutte le unità sono state già varate e in meno di 3 anni il programma sarà stato completato. Nulla di eccezionale in senso assoluto ma per gli “standard” Indiani il risultato è notevole, anche perché i ritardi rispetto alla tabella iniziale si stanno comunque rivelando minimi.

Altro elemento importante, con la Nilgiri viene nel frattempo compiuto un altro passo in avanti in termini di “indigenizzazione”; secondo fonti Indiane, ora la percentuale di contenuto locale sale all’80%, con il coinvolgimento di almeno 2.000 imprese del Paese.

Per quanto riguarda i costi, non ci sono cifre ufficiali: a parte i contratti assegnati per la costruzione delle navi ai 2 cantieri, mancano indicazioni precise su ciò che riguarda quelli legati alla fase di Ricerca & Sviluppo, mentre altro ancora è stato poi anche acquistato separatamente. Le stime più diffuse riferiscono di un impatto finanziario complessivo del programma che si attesterebbe sui 6,3 miliardi di dollari circa mentre il costo di costruzione unitario sarebbe di circa 560 milioni di dollari.

 

La piattaforma

In termini di caratteristiche generali, le Project 17A classe Nilgiri si contraddistinguono per l’ulteriore passo in quanto a bassa osservabilità radar; altrimenti detto, sono da considerare delle navi ancora più “stealth” delle Project 17.

Un passo in avanti ottenuto attraverso un ancora più attento studio delle forme esterne (con il ponte di coperta continuo sul quale poggia il blocco delle sovrastrutture, che a propria volta si caratterizza per il suo “integrated mast”), da una maggiore attenzione nella disposizione delle varie attrezzature (come i ponti di manovra completamente chiusi, l’accurata disposizione dei sistemi d’arma e la riduzione del numero di antenne) nonché, infine, dall’impiego (dove possibile) di materiali/vernici radar assorbenti.

Analoga attenzione è stata posta sulla riduzione della segnatura infrarossa, ovvero della traccia termica, grazie a specifici sistemi di abbattimento delle temperature di scarico dei motori nonché dei generatori.

L’ultima fonte di emissioni della nave, quella acustica, è stata infine affrontata con l’attento studio delle eliche (al fine di prevenire fenomeni di cavitazione) e grazie all’ampio ricorso a supporti elastici nonché a specifici involucri per i vari macchinari di bordo.

Quella che ne risulta alla fine è una piattaforma dalle dimensioni anche importanti; con i suoi 149 metri di lunghezza fuori tutto, 17,8 di larghezza massima e 5,22 di pescaggio. Il dislocamento è indicato in 6.670 tonnellate a pieno carico.

L’impianto propulsivo, si presenta in una configurazione CODAG (Comined Diesel And Gas) piuttosto “aggressiva”; nella misura in cui risulta essere composto da 2 motori diesel MAN del tipo 12V28/33D STC (da 6.000 kw ciascuno) e da altrettante turbine a gas General Electric LM2500 (per le quali non è però noto a quel livello di potenza siano tarate). Da evidenziare che sia i motori diesel che le turbine a gas sono realizzate su licenza, rispettivamente dalla filiale locale della MAN e dalla Hindustan Aeronautics Limited (HAL).

Ricordato che nessuna Nilgiri è ancora entrata in servizio, e dunque per le prestazioni si deve fare riferimento solo a “numeri di progetto”, sul fronte della velocità massima si parla di almeno 32 nodi.

L’autonomia viene invece indicata in 2.500 miglia a una velocità decisamente sostenuta di 28 nodi; valore che aumenta sensibilmente fino a 5.500 miglia ad andature di crociera comunque discrete di 16 nodi.

Nonostante l’esperienza maturata già sulle Project 17 in quanto a sistemi di gestione integrata/automazione della piattaforma anche le Nilgiri continuano a caratterizzarsi per il numero non proprio modesto di uomini di equipaggio: 226 (35 dei quali ufficiali).

Peraltro, come su tutte le unità più moderne della Indian Navy è stata comunque posta una maggiore attenzione alla “qualità” degli spazi interni, al fine di garantire un maggior comfort a bordo.

 

Il sistema di combattimento

Nell’ambito delle capacità di combattimento delle Project 17A non vi è alcun dubbio che la novità più importante sia rappresentata dalla presenza del radar EL/M-2248 MF-STAR della Israeliana IAI Elta.

Un moderno sensore a 4 facce fisse (installate su un caratteristico “integrated mast”) del tipo Active Electronically Scanned Array (AESA), operante in banda S e multifunzione con una capacità di scoperta fino anche a 450 km; multifunzione in quanto capace di tracciare bersagli di superficie e aerei, fornendo al tempo stesso la funzione di controllo del tiro/guida per i propri missili.

Accanto all’MF-STAR, sulle Nilgiri è installato anche un altro radar di scoperta aerea; più precisamente, il LTR-25 Lanza-N della Spagnola Indra.

Con l’occasione, si osserva che lo stesso MF-STAR è installato sia sulla portaerei Vikrant che sui cacciatorpediniere Project 15 Kolkata e Project 15A Visakhapatnam; a dimostrazione del fatto che esso è già diventato il sensore principale di tutte le maggiori unità della Marina Indiana

Per quanto riguarda i sensori subacquei, è nota la presenza di un “Hull Mounted Sonar” (HMS) del tipo HUSMA-NG, della BEL (Bharat Electronics Limited); qui spicca l’assenza del sonar rimorchiato, evidentemente legata al fatto che le Nilgiri stesse sono principalmente fregate “General Purpose” e non unità a più spiccata vocazione ASW come le Shivalik.

Ricordato che il Combat Management System è lo stesso delle Project 17 ma in una versione evoluta nota come CMS-17A e prima di passare al capitolo dell’armamento, si evidenzia la presenza di una suite di Electronic Warfare (EW) Shakti, sviluppata dalla Defence Electronics Research Laboratory (DLRL).

La suite Shakti è pensata per la difesa contro i missili antinave e per la scoperta, classificazione/identificazione e il jamming dei radar; più specificatamente, essa è equipaggiata con sistemi Electronic Support Measures (ESM) e Electronic CounterMeasures (ECM).

Rimanendo in tema contromisure, le fregate Nilgiri sono anche equipaggiate con 4 lanciarazzi Kavach per il lancio di decoy in funzione anti-missile, così come di 2 Advanced Torpedo Decoy System (ATDS) Marech per la scoperta/classificazione e contrasto dei siluri, entrambi di origine locale.

Come appena anticipato, le Project 17-A sono piattaforme “General Purpose”, con significative capacità soprattutto antiaeree. Procedendo con ordine, il pezzo di artiglieria principale è il 76/62 SuperRapido anche se la Marina Indiana voleva dotare queste fregate di un pezzo da 127 mm e per questo aveva selezionato l’Oto 127/64 LW (Light Weight) di Leonardo.

La vicenda dello “scandalo” per la vendita di elicotteri EH-101, indusse l’India a scegliere invece il pezzo di BAE System Mk 45 Mod. 4 da 127/62 mm. A cui New Delhi rinunciò a causa dei costi troppo elevati. Un dietrofront che riportò la scelta sul 76/62 SuperRapido, peraltro già prodotto su licenza localmente dalla Bharat Heavy Electricals Limited (BHEL).

Ufficialmente, la stessa Marina Indiana sostiene che esiste sempre la possibilità di sostituire in futuro questi pezzi con altri da 127 mm, con la stessa operazione da portare a termine anche sui cacciatorpediniere Project 15A Visakhapatnam, interessati dallo stesso percorso delle Nilgiri. Possibilità, evidentemente, tutta da verificare.

La panoramica di pezzi di artiglieria conclude con i “soliti” 2 sistemi CIWS (Close-In Weapon System) russi AK-630 a 6 canne rotanti da 30 mm.

Decisamente robusta poi la dotazione di sistemi missilistici. Per il contrasto dei bersagli di superficie sono imbarcati 8 missili supersonici superficie-superficie BrahMos, contenuti in un sistema di lancio verticale (VLS) con altrettante celle che è posizionato a prua. Ordigno già temibile nella sua configurazione originale, ora significativamente aggiornato per effetto della acquisizione della capacità di colpire non solo bersagli navali ma anche terrestri.

Non è invece ancora perfettamente chiaro se sempre a prua si trovano tutti e 4 i moduli VLS a 8 celle ciascuno o se essi siano distribuiti tra la prua stessa una zona centro-poppiera con i missili Barak 8ER (Extended Range), anche noti come LR-SAM (Long Range-Surface to Air Missile).

Frutto di un progetto di collaborazione con Israele, questo missile è caratterizzato dalla capacità di ingaggiare svariati tipi di minaccia aerea e missilistica, con una portata massima indicata in 150 chilometri. In termini di dotazione ASW, le Nilgiri saranno dotate di 2 lanciarazzi RBU-6000 (di fatto, le uniche reminiscenze insieme ai cannoni AK-630 di un qualche legame con la Russia) e da 2 lanciasiluri tripli per i siluri leggeri di produzione locale Shyena.

Strettamente collegato a questo stesso ambito, la dotazione aeronautica che, viste anche le maggiori dimensioni della piattaforma, conferma la dotazione già vista sulle Shivalik dei 2 elicotteri medi ricoverabili nell’hangar.

Anche in questo caso, a scelta tra i vari (troppi…) modelli in dotazione all’Indian Naval Air Arm; quindi, Sea King Mk. 42 B o Dhruv (realizzato localmente dalla Hindustan Aeronautics Limited o HAL) o, ancora, MH-60R in fase di acquisizione dagli Stati Uniti.

Doverosamente, si riporta anche l’ipotesi secondo la quale in realtà l’hangar delle Nilgiri sarebbe in grado di ospitare un solo elicottero.

La rassegna delle dotazioni si conclude con la menzione della presenza di 2 RHIB per la messa a mare di in cursori o boarding team: la loro posizione a bordo delle Nilgiri non è a oggi chiara anche se l’assenza si sensori rimorchiati a poppa fa propendere per una loro ubicazione proprio a poppa.

 

Conclusioni

Il primo punto che emerge a conclusione da questa analisi è costituito da tema della reale indipendenza tecnologica dell’India. Sono infatti due gli ambiti nell’ambito dei quali questo Paese appare ancora complessivamente arretrato e, dunque, dipendente dall’estero.

Il primo è quello degli impianti propulsivi, ancora largamente basati su cruciali componenti straniere (turbine a gas e motori diesel in particolare, ancorché poi magari prodotte/i su licenza). Il secondo è costituito dal capitolo sistema di combattimento, laddove anche qui l’impronta locale non è così evidente; con sensori e sistemi d’arma spesso risultato di cooperazioni con altri Paesi e altri sistemi, o, di nuovo, semplicemente prodotti su licenza.

Occorre però riconoscere che i progressi ci sono stati dal punto di vista costruttivo così come da quello tecnologico. Non a caso, la Marina Indiana stessa sta decisamente e oggettivamente assumendo una “quantità” nonché una “qualità” diverse dal passato.

Con le stesse Nilgiri, che insieme ai cacciatorpediniere della classe Kolkata e della classe Visakhapatnam, rappresentano delle piattaforme efficaci (grazie all’accoppiata radar MF/STAR e missili Barak 8ER) soprattutto in chiave difesa aerea.

Efficacia da valutare in particolare nell’ottica di un loro inserimento nei 2 Carrier Battle Group basati sulle portaerei Vikramaditya e Vikrant. E con le Shivalik, supportate comunque anche dalle Talwar, a oggi previste in 10 esemplari, quali piattaforme con capacità più spiccate in ambito antisommergibile.

Ma oltre all’aspetto “qualità” per l’appunto, c’è anche quello della “quantità”; con una doppia sfida per New Delhi. Tenere cioè conto della minaccia rappresentata dall’eterno nemico che è il Pakistan (più concreta ma relativamente meno impegnativa) e, al tempo stesso, tenere conto anche di quella rappresentata dal “competitor strategico” che è la Cina, forse oggi meno diretta ma in prospettiva sempre più rilevante.

E dire Cina significa dire crescita “tumultuosa” della propria Marina, tale da imporre a tutti i Paesi della regione il compimento di uno sforzo (quasi) analogo.

L’Indian Navy si trova così costretta ad aggiornare a sua volta i propri piani. Per quanto infatti non ancora codificato in maniera ufficiale, i suoi vertici hanno già avvisato che l’attuale formato di 150 navi non è più sufficiente. Il nuovo obiettivo dovrebbe diventare 175 se non 200 navi intorno al 2035.

E in questo più che probabile ulteriore processo di espansione un posto di rilievo potrebbe essere rappresentato dalle stesse Project-17A e dai sempre più vicini sviluppi di queste piattaforme.

Da tempo infatti si parla del varo di un programma destinato alla realizzazione di 7 nuove fregate a oggi indicate come Project-17B; discussioni che hanno tra l’altro conosciuto un passaggio importante i primi giorni di settembre 2024, quando il DAC ha approvato la AoN per questo programma.

Le 7 unità previste saranno (probabilmente costruite utilizzando lo stesso schema già visto per le Nilgiri (4 + 3 suddivise tra MDL e GRSE) e il loro costo attuale è indicato in circa 8,3 miliardi di dollari.

Ancora diversi poi gli elementi da chiarire con riferimento alle caratteristiche e alle capacità di queste future unità. A lungo si era infatti ipotizzato che le 17B altro non sarebbero state se non un cosiddetto “repeat order” delle Nilgiri medesime, magari con modifiche minori e affinamenti vari; oltre a un maggior contenuto di sistemi indigeni.

Altre fonti invece, avevano ipotizzato che le Project-17B, pur mantenendo la stessa configurazione di base e lo stesso disegno stealth, avrebbero avuto uno scafo allungato per una maggiore dotazione di sistemi d’arma imbarcati e per ottenere un maggiore margine di crescita, anche in vista di una futura di installazione di altri sistemi, tra i quali si ipotizza la presenza di un’arma laser a energia diretta.

Il quadro oggi non è ancora chiaro, nonostante il programma abbia già avuto una sua prima approvazione. Alcuni rilanciano infatti sostanzialmente la prima ipotesi, cioè una più contenuta evoluzione rispetto alle Project 17-A senza stravolgimenti particolari anche a livello di dimensioni.

Altri invece ipotizzano, senza specificare interventi sulle dimensioni, un aumento del dislocamento fino a 8.000 tonnellate e ancora più significative novità sul fronte degli armamenti.

Le celle dei VLS passerebbero infatti a 48, con la capacità di integrare il nuovo missile per la difesa aerea Vertically Launched Short-Range Surface to Air Missile (VL-SRSAM) e il missile superficie-superficie Nirbhay (e/o relative versioni in fase di sviluppo).

Oltre a questo, la già ricordata possibile integrazione di un maggior numero di sistemi locali (in particolare, nel campo dei sensori). Insomma, sempre ipoteticamente parlando, una evoluzione ben più profonda.

Qualunque sarà la risposta a questi dubbi, resta il fatto che l’ingresso in servizio nei prossimi anni delle fregate della classe Nilgiri sarà già un passo importante. Un passo che sarà ancora più rafforzato dal programma di ammodernamento e potenziamento a breve termine della flotta di superficie della Marina Indiana, che prevede la realizzazione di diverse nuove classi di piattaforme cosiddette “Next Generation”.

Nel dettaglio:

  • Next Generation Offshore Patrol Vessels (NGOPV, 11 unità previste)
  • Next Generation Fast Attack Crafts (NGFAC, 7 unità),
  • Next Generation Missile Vessel (NGMS, 6 unità),
  • Next Generation Corvette (NGC, 8 unità),
  • Next Generation Frigate (NGF, le Project 17-B)
  • Next Generation Destroyer (NGD, con un progetto già noto e identificato come Project 18, per un totale di 8 unità).

Nel giro di relativamente pochi anni dunque, la flotta di superficie della Marina Indiana è destinata a cambiare volto in maniera profonda grazie all’immissione di un numero considerevole di nuove piattaforme, tutte realizzate in loco e con livello di qualità assolutamente adeguata.

Immagini: Wikipedia, Defense Matrix, Naval News, Magazon Dock Shipbuilders Limited, Facebook.

 

Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli

Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.

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