L’imprevedibile caduta di Bashar al-Assad e l’inerzia dell’Europa
La caduta improvvisa del regime di Bashar al-Assad l’8 dicembre 2024 è un evento che non solo sconvolge il panorama geopolitico mediorientale, ma evidenzia una carenza endemica nella capacità di previsione delle classi dirigenti e degli esperti internazionali. Il rapido avanzare del gruppo Hayat Tahrir al-Cham (HTC), che in undici giorni ha conquistato Damasco e messo fine a 50 anni di regime del partito Baath, non è stato percepito né anticipato da chi dovrebbe, per ruolo e competenze, monitorare la regione. Ancora più allarmante, però, è l’incapacità delle cancellerie europee e della NATO di rispondere a una crisi di tale portata.
La velocità con cui HTC, un’organizzazione terroristica per definizione, ha preso il controllo della Siria sfida ogni previsione. Nonostante le evidenti debolezze del regime di al-Assad, logorato da anni di conflitto e dall’erosione del sostegno russo e iraniano, nessuno aveva pronosticato una simile débâcle. Eppure, il contesto regionale forniva segnali inequivocabili.
Il conflitto in Libano, l’escalation a Gaza e il consolidamento dell’influenza turca nell’area avevano già disegnato un quadro di instabilità crescente. Ma i cosiddetti esperti, confortati dall’apparente stagnazione del conflitto siriano, non hanno saputo leggere i segnali deboli che preannunciavano un cambio di paradigma.
Anche le intelligence occidentali, evidentemente, hanno fallito. HTC non è un attore nuovo nel panorama siriano, e il suo leader Abu Mohammed Al-Joulani non è un nome sconosciuto. Eppure, il suo progetto di coalizione insurrezionale, sostenuto indirettamente dalla Turchia, ha colto tutti di sorpresa. Questo non è solo un problema di incompetenza analitica: è la dimostrazione di una pigrizia intellettuale diffusa, che confonde la gestione delle crisi con la loro previsione.
Mentre HTC avanzava verso Damasco, l’Europa e la NATO erano occupate altrove. L’immagine dei leader europei, riuniti in pompa magna per celebrare un evento a Notre-Dame e banchettare all’Eliseo, stride con l’urgenza della situazione. Nessuna riunione straordinaria, nessun piano di emergenza. L’assenza di una risposta coordinata lascia esterrefatti.
Perché non è stata convocata una riunione d’urgenza a Bruxelles? Perché la NATO, direttamente coinvolta per il ruolo della Turchia, non ha fatto sentire la sua voce? La Turchia di Erdogan, vero regista di questa operazione, non ha trovato ostacoli: il suo sostegno ai ribelli, diretto o indiretto, le ha permesso di ridisegnare a suo vantaggio gli equilibri della regione.
La Francia, membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non ha proposto neppure una discussione sull’eventualità di una crisi umanitaria. Eppure, le domande sono numerose e cruciali: come gestire l’ascesa al potere di un gruppo terrorista? Come proteggere le minoranze cristiane e gli altri gruppi vulnerabili? Qual è il piano per contenere un probabile flusso di rifugiati verso l’Europa? L’inerzia, in questo caso, non è solo deplorevole: è pericolosa.
La crisi siriana dimostra una volta di più che l’Occidente, prigioniero della sua narrazione, continua a sottovalutare gli attori regionali. L’idea che il Medio Oriente sia un teatro stagnante, dove nulla di veramente nuovo può accadere, si è dimostrata falsa. Erdogan, con la sua politica spregiudicata, ha dimostrato di saper sfruttare le debolezze dei suoi avversari, mentre le leadership europee si dimostrano incapaci di elaborare una visione strategica.
L’ascesa di HTC pone interrogativi profondi sul futuro della Siria e del Medio Oriente, ma anche sull’efficacia del multilateralismo e della politica estera occidentale. Come sarà possibile negoziare con un regime classificato come terrorista? E soprattutto, chi sarà il prossimo a riempire il vuoto di potere lasciato dalla ritirata degli Stati Uniti e dall’impotenza europea?
La caduta di Bashar al-Assad segna un nuovo capitolo nella crisi siriana, ma rappresenta anche un monito per l’Occidente. La geopolitica è l’arte dell’imprevisto, e chi non sa anticiparlo è destinato a subirlo. Oggi più che mai, è necessario abbandonare il compiacimento e investire in analisi lucide, visione strategica e capacità di azione.
Per il Medio Oriente, questo potrebbe essere l’inizio di una nuova fase di instabilità. Per l’Europa e la NATO, è l’ennesima occasione mancata per dimostrare leadership. La storia non aspetta i ritardatari: l’Occidente farebbe bene a ricordarlo.
Foto Anadolu
Giuseppe GaglianoVedi tutti gli articoli
Nel 2011 ha fondato il Network internazionale Cestudec (Centro studi strategici Carlo de Cristoforis) con sede a Como, con la finalità di studiare in una ottica realistica le dinamiche conflittuali delle relazioni internazionali ponendo l'enfasi sulla dimensione della intelligence e della geopolitica alla luce delle riflessioni di Christian Harbulot fondatore e direttore della Scuola di guerra economica (Ege). Gagliano ha pubblicato quattro saggi in francese sulla guerra economica e dieci saggi in italiano sulla geopolitica.