L’inedito e inaudito caso delle elezioni annullate in Romania

 

Credo che tutti i cittadini europei dovrebbero osservare con molta più attenzione quello che sta succedendo in Romania.

Nel disinteresse generale dell’Europa, infatti, la Corte Costituzionale romena ha annullato (con la motivazione ufficiale che “I tentacoli di Mosca hanno creato il consenso”) a 48 ore dal ballottaggio le elezioni presidenziali che al primo turno avevano sorprendentemente escluso dal secondo il leader socialdemocratico Marcel Ciolaco – attuale primo ministro – che era dato per grande favorito e che invece era stato sconfitto da un candidato indipendente, Calin Georgescu (subito definito sovranista e “filo russo”) ma anche dalla leader della destra moderata ed europeista Elena Lasconi.

A parte l’ironia delle dichiarazioni di Ciolaco che – ad urne chiuse, ma convinto di essere stato eletto – aveva parlato di “Una elezione assolutamente trasparente” salvo poi chiederne l’annullamento quando è arrivato terzo, ci sono molte cose che non vengono chiarite.

Innanzitutto va ricordato come la Corte Costituzionale romena è strettamente legata al potere politico – nove persone tutte nominate dai Presidenti della Repubblica e di Camera e Senato – ma che, con una decisione senza precedenti, non è stato annullato solo il voto ma “tutto il procedimento elettorale”.

Si riparte quindi da capo, ci vorranno mesi per nuove elezioni, ci potranno essere nuovi candidati. Se il processo elettorale non funzionava prima del voto, perché attendere i risultati per annullarlo e non intervenire prima? Intanto il presidente attuale, dopo 10 anni, continuerà a governare nonostante i limiti costituzionali.

La Corte ha deliberato sulla base di “documenti desegretati” (post voto!) che proverebbero una lunga azione di Putin per stravolgere i risultati. Come prove si parla soprattutto di manipolazioni informative tramite Tik Tok, hackeraggio elettorale e di un contributo elettorale di 381.000 euro che durante l’arco di un mese sarebbe stato versato da “una potenza straniera” a influencer vicini a Georgescu.

Senza dimenticare che i “servizi informativi” sono tutti in mano al governo, possibile che 19 milioni di romeni siano condizionabili da tik-tok? E quanto hanno investito allora sulle elezioni romene l’Europa, la NATO (in vista dell’apertura della sua nuova grande base militare a Costanza), gli USA e le “fondazioni” di Soros?  Questi non “inquinano” il voto e invece Putin sì?

Perché ci sono anche due gravi aspetti che vengono taciuti dai media. Innanzitutto le recenti elezioni legislative in cui i partiti di governo e quelli filo-UE avevano già pesantemente perso la maggioranza, tanto che non si riesce a costituire un nuovo governo e poi il voto dei romeni all’estero.

Appare difficile che anche qui da noi conti l’influenza di Putin, eppure è sorprendente che il voto “estero” abbia comunque ovunque largamente premiato Georgescu, con oltre il 70% dei voti.

“E’ una sciocchezza dire che i romeni abbiano votato pro Putin – sottolinea uno dei responsabili della comunità romena di Verbania, la mia città, dove pure era stato aperto un seggio per il migliaio di romeni residenti nel VCO – piuttosto il nostro voto era andato a Georgescu perché rappresentava una speranza di rinnovamento rispetto alla corruzione che dilaga in Romania con i governi degli ultimi anni che hanno sprecato i fondi europei e dove la mafia e la corruzione dominano ovunque. Questo è il vero motivo del voto a Georgescu, il resto è pura disinformazione che però in Italia sembra non interessare a nessuno. Ma questo è un vero e proprio colpo di stato che l’Europa dovrebbe evitare”.

Parole che aprono un baratro anche sui risultati che l’allargamento ad est della UE ha portato in termini di spreco, corruzione, uso improprio dei fondi europei. Tutti argomenti che finiscono però sempre sotto traccia in nome del “politicamente corretto”.

E’ comunque discutibile che sia stato annullato in modo inappellabile un voto espresso da milioni di persone, è un pericolosissimo precedente se ci diciamo “democratici” visto anche quale era la vera posta in gioco ovvero le nuove basi NATO in Romania, l’appoggio romeno per il conflitto in Ucraina, l’aperta diffidenza verso Bruxelles che i romeni già il mese scorso avevano certificato con un voto che nessuno aveva contestato.

Anche perché è molto probabile che nei prossimi mesi Calin Georgescu verrà accusato di nefandezze varie, verrà incriminato per qualcosa e gli sarà impedito di partecipare comunque alle elezioni il cui risultato sarà così probabilmente “normalizzato”.

Se questo avverrà ricordate di quello che sto scrivendo oggi, perché è il timore di tutti i romeni con i quali ho parlato in queste ore, ovvero l’avvio di crescenti disordini.

Ci verranno poi a dire che saranno fomentati da Putin, ma nove persone politiche non devono avere la possibilità di annullare senza appello un processo democratico di mesi solo perché chi li ha nominati non gradisce il risultato. Semmai era l’Europa che doveva garantire la trasparenza del processo elettorale, ma nulla ha eccepito fino alla pubblicazione dei risultati. E’ questa sarebbe la democrazia europea in cui dobbiamo credere?”

 

Marco ZaccheraVedi tutti gli articoli

Laureato in Economia Aziendale all'Università Luigi Bocconi e in Storia delle Civiltà all'Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro, è giornalista pubblicista e dottore commercialista. La lunga carriera politica in Alleanza Nazionale e Popolo delle Libertà lo ha portato a ricoprire diversi incarichi tra i quali consigliere regionale in Piemonte, membro della Camera dei deputati in cui ha fatto parte della commissione Esteri e Difesa, presidente della delegazione italiana alla UEO di Parigi e componente del Consiglio d'Europa a Strasburgo, e sindaco di Verbania. Autore di numerose opere tra cui Diario Romano (2008) e Integrazione (im)possibile? Quello che non ci dicono su Africa, Islam e immigrazione (2018). Impegnato nelle associazioni di volontariato e per la cooperazione internazionale, nel 1981 ha fondato i Verbania Centers, attivi in diversi paesi dell'Africa ed in America del Sud.

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