Quando verrà il turco?
Ditemi nonno, verrà quest’anno il turco?
No, figliola, il turco non verrà probabilmente ancora questo anno, non assedierà di nuovo Vienna, non disporrà i suoi giannizzeri intorno alla fortezza di Kruje sino a quando non suoneranno i Tamburi della pioggia, non occuperà Otranto con uno sbarco improvviso, non dominerà il Mediterraneo con flotte comandate da rinnegati calabresi…
Non, non, non…..ma ancora per quanto?
Allorché l’islamismo riprese possesso dell’Anatolia ponendo fine allo straordinario esperimento di laicismo concepito da Ataturk e lasciato in legato alle Forze Armate turche, noi da un lato sottovalutammo l’impatto rapido e travolgente che il ritorno della religione avrebbe avuto sul paese, mentre dall’ altro sopravvalutammo la capacità di resistenza dei militari locali.
Pensavamo infatti che il lunghissimo periodo trascorso alla guida del paese avesse fornito loro tutti gli strumenti necessari per contenere l’avanzata islamica entro limiti che potessero essere considerati accettabili in ambito occidentale.
Del resto poi, anche se non faceva parte appieno dell’Occidente, la Turchia era comunque membro coccolato e riverito di una delle sue istituzioni principali, la NATO, mentre la sua richiesta di essere cooptata dalla UE sembrava destinata, al di là di tutte le momentanee opposizioni, ad essere un giorno accolta.
Nulla di più sbagliato, considerato come sin dall’inizio di questa sua nuova fase politica la Turchia abbia seccamente rifiutato la tentazione di divenire una “Democrazia Cristiana in salsa anatolica“.
Ankara ha invece imboccata una strada che l’ha portata dapprima ad orientarsi verso una forma di governo molto prossima alla dittatura, poi a ricondizionare le sue Forze Armate passando attraverso un periodo violento culminato in un tentativo di colpo di stato, ed infine a rispolverare una ideologia panturanica che ha ispirato negli anni recenti tutte le sue decisioni politiche più importanti.
È certamente tardivo riconoscerlo adesso, ma bisogna ammettere che a suo tempo oltre alla Turchia avevamo fortemente sottovalutato anche Recep Tayyp Erdogan, il politico ivi alla testa del partito maggioritario e destinato – come è apparso chiaro da un certo momento in poi – ad assumere la guida incondizionata del paese.
In questo particolare momento storico, in cui la leadership è divenuta merce molto, molto rara nel mercato dell’Occidente, Erdogan è riuscito infatti ad imporsi in breve tempo come il leader euro-mediterraneo più brillante della sua generazione.
Lo aiuta moltissimo nel conseguire questo risultato il fatto di avere avuto sin dall’inizio idee molto chiare su ciò che egli voleva ottenere per la Turchia, nonché sul tragitto che il paese avrebbe dovuto a suo avviso compiere, volente o nolente, per poter sperare di tornare ai fasti della Sublime Porta.
Presupposto ad un simile programma è stata necessariamente la capacità di potersi muovere senza dare, almeno nel breve periodo, alcun fastidio alle grandi potenze, mondiali o regionali, che insistevano sui medesimi teatri d’azione.
Occorreva quindi avere con tutte se non un rapporto di amicizia perlomeno interessi comuni tali da smorzare ogni eventuale tentazione di contrasto .
A tal fine, attraverso un gioco finemente calibrato, la Turchia è riuscita nel corso degli ultimi anni a rimanere membro della NATO e nel contempo a curare buoni rapporti di vicinato ed interscambio con la Russia, a divenire indispensabile per la UE facendo buona guardia (a caro prezzo!) alla porta Sud della rotta balcanica di immigrazione, a tenere aperto il dialogo con l’Egitto malgrado le simpatie di Ankara per la Fratellanza Musulmana, ad intendersi con l’Arabia Saudita a dispetto della rivalità per la leadership in campo sunnita che le divide …..e via di questo passo!
Almeno in teoria, in questo momento la Turchia ha quindi soltanto due nemici, vale a dire l’Iran ed Israele, ma anche in questo caso l’ostilità ufficialmente espressa è sempre contenuta entro limiti che risultano tanto accettabili da lasciare spazio alla possibilità di un improvviso ripensamento.
Con queste condizioni di base non vi è da meravigliarsi di come Erdogan abbia potuto da qualche anno a questa parte praticare una politica di espansione diretta, quasi senza esclusioni, verso quasi tutti i luoghi che un tempo facevano parte dell’Impero Ottomano.
In tale ottica le direzioni in cui il Presidente turco si è mosso sono così risultate molteplici.
Nell’Asia Centrale, ad esempio, Ankara ha acquisito grande credito per l’aiuto militare fornito all’Azerbajan che grazie a lei può ora considerare chiuso il lungo contenzioso con l’Armenia per il contestato controllo del Nagorno Karabakh.
Non c’è da meravigliarsi del fatto che a questo punto il prestigio turco presso tutti i cinque “Stans” dell’area sia enormemente cresciuto.
Nell’Africa del nord Erdogan è poi rientrato in controllo, sfruttando la prima occasione favorevole, di una Tripolitania che con un ricorso storico da manuale ha facilmente strappato ad una influenza italiana che la riluttanza ad impiegare in loco militari e risorse rendeva in realtà più teorica che pratica.
Nella medesima logica e soprattutto nel caso in cui la Russia dovesse rinunciare all’idea di installare una sua base navale a Tobruk, è anche facile che a breve scadenza il Presidente faccia persino un tentativo in direzione della Cirenaica, iniziativa che forse avrebbe se non altro l’effetto positivo di portare la Libia alla riunificazione.
Quanto alla Siria ed al Medio Oriente vero e proprio, abbiamo tutti avuto occasione di constatare nel corso dell’ultimo mese come sia risultato agevole e pressoché indolore per la Turchia liberarsi del dominio di Assad sulla Siria e prendere agevolmente (sia pure per interposte persone tra l’altro molto poco raccomandabili) il controllo della intera area.
Due parole infine su quella che un tempo era chiamata l’Africa Nera. Anche qui la Turchia è presente, pur se per il momento in maniera militarmente consistente solamente in Somalia. A spese di nuovo della influenza italiana di un tempo ……e a questo punto la cosa più che una coincidenza diviene quasi una palese rivincita.
Quanto ai progetti turchi relativi al resto dell’Africa è probabilmente sufficiente, per definirne l’estensione, accennare al fatto che nel corso dell’ultimo decennio le linee aeree turche sono silenziosamente divenute la compagnia europea che dispone di più scali in Africa.
A questo punto il nostro giro di orizzonte sull’argomento è quasi completato. Rimane solo da accennare, con un minimo di preoccupazione, alla “dorsale verde“ dell’Europa, vale a dire a quella fascia di paesi più o meno islamizzati che si estende dall’Anatolia alla Bosnia Erzegovina e che per centinaia d’anni ha fatto parte dell’Impero Ottomano .
Si tratta di un fronte che per ora Erdogan non ha ancora aperto, anche se in tutta l’area il suo paese e l’Arabia Saudita si sono dati per decenni molto da fare onde recuperare il terreno perduto dalla religiosità collettiva in epoca comunista.
Se le condizioni politiche generali dovessero peggiorare il discorso potrebbe però divenire differente in tempi molto brevi, anche perché nel contrasto sarebbero coinvolti paesi in cui già adesso soltanto una massiccia presenza militare internazionale riesce a tenere a freno consolidati odi etnici e religiosi.
Auguriamoci dunque che almeno nella nostra direzione il turco non venga. Ne’ quest’anno ne’ negli anni a venire.
Chiudiamo inoltre paragonando magari la politica estera turca a quella dell’Italia e chiedendoci come sia possibile per loro ottenere tanti risultati e giocare in contemporanea su tanti tavoli malgrado un prodotto nazionale lordo che non supera i due terzi del nostro.
Due solo le risposte possibili: o i turchi sono straordinariamente bravi o noi buttiamo vere e proprie fortune dalla finestra. Ai lettori l’onere di decidere quale ipotesi scegliere.
Foto Anadolu
Giuseppe CucchiVedi tutti gli articoli
Entrato alla Scuola Militare di Napoli nel 1955, il Generale Cucchi ha avuto una lunghissima carriera conclusa nel 2008 come Direttore Generale dell'Intelligence Nazionale. Dopo il definitivo pensionamento ha lavorato due anni per le Nazioni Unite come esperto nell'ambito della crisi del Mali/Sahel. Attualmente insegna management alla Università LUISS di Roma ed alla Business School della Università di Bologna.