In Groenlandia l’imperialismo di Trump spiazza anche l’Europa
Che l’aspirazione statunitense di mettere le mani sulla Groenlandia sia una faccenda seria lo ha confermato ieri Segretario di Stato Marco Rubio. “Il presidente Trump ha chiarito cosa intende fare, ovvero acquistarlo”, ha detto Rubio in un programma radiofonico. “Non si tratta di acquisire terreni per il gusto di farlo. Si tratta del nostro interesse nazionale e la questione deve essere risolta“, ha affermato.
Rubio ha anche espresso preoccupazione per il fatto che la Cina, che ha puntato l’attenzione sull’Artico, possa guadagnare terreno in Groenlandia. “È abbastanza realistico pensare che alla fine i cinesi, forse anche nel breve termine, cercheranno di fare alla Groenlandia quello che hanno fatto al Canale di Panama e ad altri luoghi”, ha affermato.
Frase sibillina che sembra idonea soprattutto a giustificare le pretese di Washington sull’isola artica dal momento che, al di là di sviluppi futuri “abbastanza realistici”, non vi sonio al momento indizi né negoziati tra il governo della Groenlandia e la Cina e in ogni caso se il paragone è con Panama, nel paese latino americano sono presenti società cinesi come Hutchison-Whampoa che gestisce i porti del Canale di Panama, i cui primi fruitori commerciali sono gli Stati Uniti seguiti proprio dalla Cina.
Si tratta di concessioni che lo stato panamense ha firmato nell’ambito della sua legittima sovranità (anche il porto greco del Pireo è gestito da una società cinese) ma a Panama non vi sono basi militari di Pechino, che ha una sola base militare all’estero, a Gibuti, in Africa Orientale.
Del resto, come se non bastassero le guerre in Ucraina e Medio Oriente e le tensioni tra Occidente e Cina, il neo presidente statunitense Donald Trump sembra determinato ad aprire nuove crisi con Canada, America Latina ed Europa spaziando come motivi del contendere dalla sicurezza nazionale ai rapporti commerciali (minacciando dazi e sanzioni) fino alle pretese territoriali.
Trump non ha poi dimenticato di lasciare sconcertato anche il mondo arabo affermando che la popolazione palestinese di Gaza dovrebbe venire deportata in Egitto e Giordania, nazioni che peraltro oltre a non poter accogliere due milioni di persone verrebbero destabilizzate da una presenza così ingombrante di palestinesi nati o cresciuti nell’integralismo islamico di Hamas.
Le pretese “neo imperialiste” di riassumere il controllo di Panama e di annettere agli USA Canada e Groenlandia, di colpire con dazi Messico, Colombia e tutti i BRICS oltre all’Europa, espresse da Trump dopo la vittoria elettorale e ribadite dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, si stanno trasformando da boutades sopra le righe in minacce concrete che sollevano critiche in tutto il mondo e mettono a rischio la stabilità già incerta della NATO.
I continui riferimenti al Canada come 51° stato degli USA hanno irritato Ottawa e la Corona Britannica (Re Carlo è formalmente il capo dello stato del Canada). “Mi piacerebbe vedere il Canada come 51° stato degli USA. I cittadini canadesi, se lo facessero, otterrebbero un taglio fiscale molto consistente, un taglio fiscale enorme, perché sono tassati molto” ha affermato Trump il 24 gennaio aggiungendo che “se i canadesi lo accettassero non dovrebbero preoccuparsi di molte cose e avrebbero una migliore copertura sanitaria. Quindi penso che alla gente del Canada piacerebbe”.
Trump aveva già espresso durante il suo primo mandato, nel 2019, il desiderio di acquistare la Groenlandia ma ora i toni sono ben più duri. “Ai fini della sicurezza nazionale e della libertà in tutto il mondo, gli Stati Uniti d’America ritengono che il possesso e il controllo della Groenlandia siano una necessità assoluta” ha postato Trump sulla piattaforma Truth Social.
Le minacce rivolte alla Groenlandia sono state prese molto sul serio dal premier danese Mette Frederiksen che il 25 gennaio ha avuto un colloquio telefonico di 45 minuti molto teso con Trump. Secondo il Financial Times, che cita alti funzionari europei, il presidente americano avrebbe insistito sulla determinazione ad acquisire la Groenlandia.
Secondo questi funzionari, “Trump è stato aggressivo e conflittuale” dopo che il primo ministro danese ha dichiarato che l’isola non è in vendita, nonostante la sua offerta di una maggiore cooperazione sulle basi militari e sullo sfruttamento delle risorse minerarie.
Del resto Trump non ha mai mostrato molta considerazione per la sovranità danese sulla Groenlandia; l’isola certo gode di ampia autonomia ma la sua storica appartenenza alla Danimarca è ben presente anche nell’araldica della monarchia danese che ha recentemente modificato il proprio simbolo rafforzando il peso della Groenlandia e delle Isole Faroe in risposta alle pretese artiche di Trump.
Nella versione aggiornata dell’araldica, uno dei riquadri raffigurante le tre corone delle monarchie di Danimarca, Svezia e Norvegia è stato rimosso e due riquadri, invece di uno solo, sono stati dedicati all’orso polare e all’ariete per simboleggiare rispettivamente la Groenlandia e le Isole Faroe. Come si può notare, il re Federico X ha provveduto anche a evidenziare le mazze in mano ai guardiani del regno, oggi più pronunciate.
Simboli araldici che non sembrano impensierire il presidente statunitense. “La Groenlandia? Penso che ce l’avremo. E penso che i suoi 55 mila abitanti vogliano stare con noi. Non so davvero quali pretese abbia la Danimarca su di essa. Ma sarebbe un atto molto ostile se non lo permettessero“, ha detto Trump spiegando che la vuole “per proteggere il mondo libero, non è per noi.
“In questo momento ci sono navi russe, navi cinesi, navi da vari Paesi. Non è una bella situazione e credo che la otterremo, Loro (i danesi – NdR) non possono, hanno messo due slitte trainate da cani lì due settimane fa, pensavano che fosse protezione”.
Battuta umoristica con cui Trump ha voluto indicare le limitate risorse a disposizione del Comando Artico Interforze danese (Joint Arctic Command), comando territoriale operativo che opera in Groenlandia e nelle Isole Faroe il cui compito principale è la sorveglianza, l’affermazione della sovranità e la difesa militare di un’area che include anche la zona di pesca delle Isole Faroe di 200 miglia nautiche, la zona economica groenlandese e aree aggiuntive incluse nella regione di ricerca e soccorso della Groenlandia (SRR).
Oltre al quartier generale di Nuuk, il comando dispone di basi a Thule e Kangerlussuaq e di stazioni più piccole principalmente lungo la costa orientale della Groenlandia: Stazione Nord, Daneborg, Mestersvig e Groennedal.
Sul piano strategico l’impressione è che a Trump interessi il controllo della Groenlandia (e del Canada) soprattutto per eguagliare la Russia nell’estensione territoriale nell’Artico con l’obiettivo di sfruttarne le risorse e le rotte commerciali oggi navigabili senza rompighiacci per molto mesi.
Ma è altrettanto evidente che l’approccio con un alleato storico come la Danimarca risulta insolente e del tutto fuori luogo, specie tenuto conto dell’impegno di Copenhagen nel supporto all’Ucraina e che le forze armate danesi sono importanti acquirenti di sistemi d’arma statunitensi: dai velivoli da combattimento F-16 agli F-35 (nella foto sotto). dai missili antinave Harpoon agli antiaerei SM2, dagli elicotteri MH-60R Seahawk agli aerei da trasporto C-130J.
Inoltre, gli Stati Uniti controllano da decenni la base aerea di Thule, nel nord della Groenlandia e Copenhagen non avrebbe problemi a consentire un rafforzamento di tale presenza.
Quanto allo sfruttamento delle risorse minerarie (petrolio, gas, oro, diamanti, uranio, zinco, piombo…), dal 2009 la Groenlandia decidere in autonomia come sfruttarle e nel 2019 gli USA hanno firmato un memorandum sulla cooperazione in questo settore come ha fatto la UE nel 2013.
L’Ue ha identificato 25 dei 34 minerali presenti nel suo elenco ufficiale di materie prime essenziali, tra cui le terre rare ma al momento in Groenlandia esistono solo due miniere, una di rubini, che sta cercando nuovi investimenti, e l’altra di anortosite, un metallo contenente titanio.
Un rapporto del 2023 pubblicato dal Geological Survey of Denmark and Greenland (GEUS) ha riconosciuto la presenza di ampie riserve di minerali per batterie come grafite e litio, nonché gli elementi delle terre rare (REE) utilizzati nelle tecnologie pulite come i veicoli elettrici e le turbine eoliche.
GEUS ha identificato 6 milioni di tonnellate di risorse naturali di grafite, 36,1 milioni di tonnellate di terre rare, 235 mila tonnellate di litio e 106 mila tonnellate di rame.
Finora però le difficili condizioni ambientali hanno reso troppo costoso e non conveniente lo sfruttamento di tali risorse che, in ogni caso, le grandi compagnie statunitensi potrebbero aggiudicarsi senza bisogno che Washington si annetta o invada la grande isola.Anche la minaccia adombrata da Trump circa la presenza di navi russe e cinesi è campata per aria. Le rotte commerciali sono aperte a tutti ma non vi sono basi russe o cinesi in Groenlandia il cui premier, Múte Egede, ha reso noto il 21 gennaio che il suo governo “sta lavorando” per organizzare un incontro con Trump affermando che “se gli Stati Uniti vogliono parlare della Groenlandia devono parlare con la Groenlandia” e ammettendo la seria “preoccupazione della popolazione” dopo che Trump non ha escluso l’impiego della forza militare per arrivare ai suoi scopi.
“I groenlandesi devono dire chiaramente quello che vogliono essere. Non vogliamo essere danesi. Non vogliamo essere americani”. Un sondaggio reso noto ieri dal quotidiano danese Berlingske rileva che l’85 per cento dei groenlandesi non vuole che la loro isola diventi parte degli Stati Uniti e solo il 6% sarebbe favorevole all’annessione e il 9% non si è voluto esprimere.
Autonoma dal 1979, la Groenlandia, ha 56.000 abitanti e un’estensione di quasi 2,2 milioni di chilometri quadrati (4 volte la Francia), ha bandiera, lingua, istituzioni e un governo che lascia alla Danimarca la gestione di difesa e politica estera. Non fa parte della Ue ma ha ricevuto finanziamenti comunitari in quanto territorio d’oltremare associato all’Unione tramite la Danimarca.
Egede fa parte del partito Inuit Ataqatigiit (di ispirazione socialista e indipendentista, e a fine 2024 ha dichiarato che nel prossimo mandato potrebbe istituire una commissione per varare un referendum per l’indipendenza, sulla carta gradita a molti ma solo se non comportasse un peggioramento degli standard di vita considerando le forti cifre investite ogni anno a fondo perduto dalla Danimarca.
Le sue risorse naturali e il crescente ruolo delle rotte commerciali artiche stanno incoraggiando lo sviluppo delle infrastrutture come la nuova pista dell’aeroporto della capitale Nuuk che e dall’estate vedrà due collegamenti settimanali con New York.
A conferma che il governo danese non sottovaluta le minacce di Trump, ha confermato il rafforzamento già previsto della presenza militare sulla grande isola abitata da meno di 60 mila persone (per il 90 per cento inuit e il 10 per cento danesi), ha inviato forze speciali in addestramento (nelle foto sopra) e annunciato in dicembre un piano da 2 miliardi di euro per rafforzare la sicurezza dell’Artico.
Il ministro della Difesa, Troels Lund Poulsen (nella foto sotto), aveva dichiarato la vigilia di Natale che “per molti anni non abbiamo investito abbastanza nell’Artico, ora stiamo pianificando una presenza più forte. La Danimarca è disposta a collaborare con gli Stati Uniti” per garantire la sicurezza della Groenlandia, dove sono stati trasferiti due pattugliatori della classe Thetis, due droni a lungo raggio, e un reparto militare artico con slitte trainate da cani che hanno suscitato l’ironia di Trump che sul social Truth ha affermato che la proprietà e il controllo degli Stati Uniti sulla Groenlandia sono una “assoluta necessità” per ragioni di sicurezza nazionale.
Il ministro degli Esteri danese Lars Lokke Rasmussen ha ribadito che il futuro della Groenlandia sarà deciso dal suo popolo, “Trump non l’avrà”. In vista delle elezioni groenlandesi previste ad aprile, sulle quali Copenhagen teme l’ingerenza americana (non quella russa!), il premier danese Frederiksen ha incassato però solo un timido supporto di Francia e Germania, dove il cancelliere Olaf Scholz ha affermato che “i confini non possono essere spostati con la forza”.
Al quartiere generale della NATO il segretario generale Mark Rutte è stato prudente. Nel timore di irritare Trump ha detto che “stiamo lavorando insieme per migliorare la sicurezza nel Mar Baltico, sostenere l’Ucraina e investire di più nella difesa, anche nel Grande Nord”, aggiungendo che “non ho motivo di credere che ci sia una minaccia militare contro la Groenlandia o la Danimarca”.
Per Frederiksen (nella foto a lato)“è assolutamente cruciale” che a fronte della potenziale minaccia verso la Groenlandia “restiamo uniti in Europa” dove “tutti possono vedere che ora ci sarà una collaborazione diversa con gli Stati Uniti. Almeno, questi sono i toni che sentiamo da Washington in relazione al commercio e alla cooperazione economica. Quali saranno le conseguenze, non lo sappiamo ancora“.
Il premier socialdemocratico danese ha aggiunto che sta lavorando “molto duramente in questo momento” per tutelare gli interessi della Danimarca. “Indipendentemente da ciò che accade negli Stati Uniti, l’Europa deve essere forte”.
Tra le poche voci che in Europa ha espresso un sostegno concreto alla Danimarca è stata quella del generale austriaco Robert Brieger, presidente del Comitato Militare della Ue, che ha proposto di stazionare in Groenlandia truppe europee per mandare “un segnale forte” e contribuire “alla stabilità nella regione”. E questa volta non è per far fronte alla minaccia russa ma bensì a quella statunitense!
Sostegno simile anche da Parigi. “Inviare truppe europee in Groenlandia? Perché no, dato che effettivamente si pone una questione di sicurezza. Le frontiere dell’Unione europea non sono negoziabili. Abbiamo iniziato a discuterne con la Danimarca, che si è detta pronta a riflettere se i nostri interessi di sicurezza dovessero essere in gioco“, ha affermato il ministro degli Esteri francese, Jean-Noel Barrot che si è detto certo che gli americani non invaderanno la Groenlandia.
Resta in ogni caso quanto meno curioso che mentre l’Europa rischia di perdere la guerra in Ucraina contro la Russia debba guardarsi le spalle dalle minacce degli “alleati” statunitensi.
Foto: White House, Governo Danese e Ministero della Difesa Danese
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.