L’Ucraina chiude i rubinetti del gas russo
(aggiornato alle ore 11.30)
Prima che propaganda e disinformazione (la nostre, non quelle russe) impostino narrazioni “fantasiose” circa lo stop alle forniture di gas russo all’Europa attraverso i gasdotti ucraini e le conseguenze sul caro-energia, ci sono almeno tre punti che vanno evidenziati.
Il primo è che la decisione di non rinnovare il contratto con Gazprom per il transito del gas verso la UE (in media 42 milioni di metri cubi al giorno, 14/15 miliardi all’anno, transitati nonostante la guerra in corso) è stata presa dall’Ucraina (per ragioni di “sicurezza nazionale” ha detto il ministro dell’Energia di Kiev) che, in accordo con gli Stati Uniti e alcune nazioni europee, punta a tagliare ogni residua forma di legame politico, commerciale e soprattutto energetico tra Russia e UE.
Non sorprende che il presidente ucraino Volodymyr Zelenski lo abbia definito “una delle più grandi sconfitte di Mosca” ricordando che “quando Putin prese il potere in Russia più di 25 anni fa, il volume annuo di gas inviato attraverso l’Ucraina in Europa ammontava a più di 130 miliardi di metri cubi“.
Semmai l’aspetto sorprendente è che la decisione di Kiev non sia contestata né ostacolata dall’Unione Europea, innanzitutto perché, nonostante le dichiarazioni di Ursula von der Leyen e gli alti costi energetici patiti nel Vecchio Continente dal 2022, l’Unione non è riuscita a fare meno del gas russo come si era ripromessa.
Mosca è ancora oggi il nostro maggior fornitore di gas (insieme agli USA) ma a prezzi molto più elevati perché ci viene rivenduto da terzi o perché acquistato in forma liquida (GNL), quindi molto più costoso rispetto al gas trasferito via tubo.
Infatti nel 2024 le importazioni di GNL russo dell’Unione Europea hanno toccato un livello record, superando i 16,5 milioni di tonnellate, come ha ricordato recentemente il Financial Times, per un terzo acquisito tramite il “mercato spot”, che permette acquisti a breve termine a prezzi più bassi. La Germania importa GNL russo dalla Francia mentre Belgio e Paesi Bassi continuano a fungere da piattaforme logistiche per il gas russo.
Le nazioni che subiranno i maggiori danni dallo stop alle forniture di gas russo attraverso il gasdotto ucraino sono inoltre membri dell’Unione: Ungheria, Slovacchia, Austria e più marginalmente l’Italia.
Che l’Unione sostenga un’iniziativa ucraina volta a penalizzare alcuni suoi stati membri non stupisce dal momento che dal 2022 le due commissioni guidate da von der Leyen hanno sempre colpito gli interessi europei e in molti a Bruxelles vedono con favore una manovra energetica che penalizza Ungheria e Slovacchia, i cui governi non forniscono armi all’Ucraina e non applicano neppure sanzioni alla Russia.
Il primo ministro slovacco Robert Fico ha accusato Zelensky di voler “sabotare” l’economia della UE e ha minacciato di tagliare gli aiuti ai profughi ucraini residenti in Slovacchia. “Con questa decisione unilaterale”, ha detto Fico, la Slovacchia perderà ogni anno “quasi 500 milioni di euro” che ha guadagnato dal transito del gas russo attraverso il suo territorio. Inoltre, ha proseguito, l’Unione europea pagherà prezzi più alti per l’elettricità. “La Russia non sarà toccata. La decisione del presidente Zelensky andrà a beneficio solo degli Stati Uniti con l’aumento del trasporto di gas verso l’Europa”, ha spiegato in un video sul suo account Facebook.
Il secondo punto da sottolineare è che un rappresentante della Commissione europea ha dichiarato anonimamente alla Deutsche Welle che “l’impatto della sospensione del transito attraverso l’Ucraina sulla garanzia della sicurezza delle forniture dell’Ue è limitato”.
Comprensibile che il funzionario abbia voluto restare anonimo considerato che poche ore dopo, il 31 dicembre, il prezzo del gas in Europa è cresciuto del 5 per cento alla borsa di Amsterdam superando i 50 euro per megawattora.
Un incremento repentino registratosi dopo che l’operatore ucraino GTSOU ha reso noto che il giorno successivo non era prevista la consegna di gas russo all’Europa attraverso l’Ucraina, segnando così la fine di un contratto russo-ucraino (Gazprom-Naftogaz) del 2019 che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky definì all’epoca “un’intesa centrale per la sicurezza energetica” e “la prosperità degli ucraini”) e delle forniture a diversi Paesi dell’Europa orientale.
Del resto già l’ultimo giorno dell’anno il flusso di gas russo ha visto Gazprom immettere un volume ridotto 37,2 milioni di metri cubi.
Certo siamo lontani dai prezzi speculativi raggiunti nell’estate 2022, quando venne superata quota 340 euro, ma le quotazioni attuali sono più che doppie rispetto a quello che era la norma lo scorso decennio e vedono l’Europa pagare l’energia molto di più di qualsiasi altra area industrializzata del mondo.
Il terzo punto critico è costituito dalla valutazione che la fine del transito del gas russo via tubo priverà l’Ucraina di 800 milioni di dollari all’anno in commissioni dalla Russia, mentre Gazprom perderà quasi 5 miliardi di dollari nelle vendite di gas all’Europa attraverso l’Ucraina.
L’Ucraina però compenserà facilmente la perdita finanziaria grazie ai miliardi donati dall’Europa e, fino a oggi, dagli Stati Uniti mentre Gazprom non avrà difficoltà a vendere ad altri clienti il suo gas che nel 2024 ha generato proventi per 46 miliardi di dollari, oltre ogni previsione.
Perde l’Europa
Dopo la distruzione dei gasdotti Nordstream, l’Europa è quindi l’unica a rimetterci nello stop alle forniture russe attraverso l’Ucraina a dirigenza UE così come i governi di molti stati membri sono direttamente responsabili del disastro economico in cui versa la Ue e che potrà solo aggravarsi, specie dopo il diktat già annunciato da Donald Trump, che prima ancora di insediarsi alla Casa Bianca ha fatto sapere all’Europa che se non acquisteremo (a caro prezzo) il GNL americano subiremo dazi commerciali (minacciati anche se non dedicheremo alla Difesa il 5 per cento del PIL).
Lo stop alle forniture russe via Ucraina rappresenta un’ulteriore battuta d’arresto per l’approvvigionamento energetico europeo proprio in un momento in cui l’aumento della domanda di gas naturale durante l’inverno genera aumenti dei prezzi.
I paesi europei, che già pagano l’energia prezzi cinque volte più alti degli Stati Uniti e tre volte più alti della Cina, affrontano una maggiore pressione sul mercato energetico e un ulteriore incremento dei costi. La Commissione europea ha dichiarato che è pronta a sostituire la fornitura russa ai paesi più colpiti attraverso quattro rotte alternative da Germania, Italia, Polonia, Grecia e Turchia.
La rete del gas Ucraina è collegata a Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia e attualmente solo la Repubblica Ceca, l’Ungheria, l’Italia, la Slovenia, l’Austria e la Slovacchia continuano ad approvvigionarsi del gas russo che transita attraverso l’Ucraina, ma gli ultimi due saranno i più colpiti perché soddisfa circa il 60% della loro domanda. La prima rotta alternativa è quella attraverso la Germania grazie alla “recente e significativa espansione” dei terminali GNL e alle importazioni di gas tramite gasdotti da Norvegia, Paesi Bassi e Belgio. Dalla Germania ulteriori volumi di gas potrebbero essere convogliati in Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia attraverso le infrastrutture già esistenti.
La seconda faciliterebbe l’accesso del gas norvegese e del GNL dagli Stati Uniti e dall’Ucraina dalla Polonia alla Slovacchia attraverso l’interconnessione tra i due Paesi e da lì alla Repubblica Ceca, Austria, Ungheria e Ucraina.
Una terza alternativa potrebbe vedere il gas trasportato dall’Italia all’Austria e poi in Slovacchia e Slovenia mentre la rotta trans-balcanica può trasportare il gas dalla Grecia, dalla Turchia e dalla Romania verso nord per rifornire non solo i Paesi dell’Europa centrale e orientale, ma anche l’Ucraina e la Moldavia, grazie alle interconnessioni tra Grecia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Moldavia, Ucraina e Slovacchia.
La Commissione Ue non precisa però due aspetti fondamentali: il primo è che la rotta trans-balcanica movimenta gas russo che arriva in Turchia attraverso il gasdotto Turkstream che corre sotto la superficie del Mar Nero e il secondo è che tutte e quattro le fonti alternative di approvvigionamento rappresentano un costo di diverse volte superiore al gas russo che transitava dall’Ucraina.
Del resto sono gli stessi mercati a indicare che questo non è il momento migliore per rinunciare a fonti di gas sicure e a basso costo, come confermano le tendenze delle esportazioni globali di gas liquefatto (GNL) che registrano il tasso di crescita più lento dal 2015. Nel 2024, le esportazioni globali di GNL hanno registrato un aumento modesto dello 0,4%, raggiungendo circa 414 milioni di tonnellate. Nel 2024 gli Stati Uniti sono stati il principale esportatore mondiale di GNL, con un volume record di 87 milioni di tonnellate, pari a livelli simili a quelli dell’anno precedente.
Secondo le statistiche fornite dalla piattaforma di analisi dati KPLER, la crescita lenta delle esportazioni di GNL è stata influenzata principalmente da due fattori: la lentezza nella realizzazione di nuovi impianti di produzione negli Stati Uniti e le continue ripercussioni delle sanzioni imposte alla Russia.
Per l’Europa sarà quindi impossibile rimpiazzare il gas russo se non con un forte incremento delle importazioni del ben più costoso GNL fornito in buona parte dagli Stati Uniti che hanno appena consegnato il primo carico persino all’Ucraina.
L’Europa in mano agli Stati Uniti
La produzione statunitense è aumentata di circa 220 miliardi di metri cubi all’anno: un volume superiore rispetto a quello che Gazprom realizzava attraverso l’export verso l’Europa, che nel 2024 ha importato dagli Stati Uniti circa 45 milioni di tonnellate di GNL, necessari a coprire quasi la metà del fabbisogno continentale. Secondo i calcoli di Goldman Sachs, l’export di GNL degli Stati Uniti è aumentato del 197% verso l’Europa e diminuito del 41% verso tutte le altre aree del mondo.
Gli analisti di Goldman Sachs sottolineano i costi elevati degli approvvigionamenti statunitensi e l’insufficienza di tali forniture a compensare l’ammanco generato dall’interruzione delle consegne del gas russo.
In termini anche simbolici il massiccio flusso di GNL statunitense in Europa e in Ucraina rappresenta meglio di tante parole il successo strategico conseguito dall’Amministrazione Biden, che l’amministrazione Trump sembra voler consolidare, annichilendo ogni possibilità europea di restare economicamente competitiva e di mantenere almeno una parvenza di sovranità politica e strategica.
L’ACER, che riunisce i regolatori europei dei mercati energetici, a ottobre ha denunciato che in tre anni le tariffe per il trasporto transfrontaliero del gas nella UE sono aumentate di circa il 40% e c’è il rischio che salgano ulteriormente.
Anche negli Stati Uniti dove a Wall Street il 30 dicembre i prezzi del gas sono cresciuti del 17 per cento a oltre 13 euro per megawattora, il livello più alto da dicembre 2022. Rialzo dovuti alle previsioni di aumento della richiesta globale di GNL, non solo per l’inverno perché non a caso il boom del prezzo è stato registrato dalla borsa di New York in concomitanza con lo stop alle forniture russe di gas decretato da Kiev, che di fatto ha reso un grande servizio agli Stati Uniti sgambettando ulteriormente la UE.
Gli analisti escludono il rischio di carenze di combustibile in Europa ma vedono nell’inevitabile ricorso al GNL un forte aggravio dei costi, che potrebbe essere molto accentuato per i Paesi lontani dal mare e dunque privi di rigassificatori. Come spiega l’Oxford Institute for Energy Studies (Oies), «con la produzione domestica in declino e nessun aumento significativo previsto per le forniture via gasdotto non russe, i due parametri con cui misurare l’impatto economico della cessazione dei transiti del gas russo in Ucraina saranno la disponibilità di GNL e il costo per trasportarlo ai Paesi colpiti» dal taglio del gas russo.
Secondo alcuni analisti di Bloomberg, il mercato del gas è destinato ad essere ancora “molto volatile” nei prossimi mesi, quando la domanda salirà per effetto del riempimento degli stoccaggi. L’aumento della domanda di gas da “stoccare manterrà i mercati elevati nei prossimi mesi”, afferma Florence Schmit, analista europeo di Rabobank. Eventuali interruzioni negli impianti di esportazione di GNL a livello globale potrebbe far aumentare ulteriormente i prezzi. L’equilibrio globale del gas rimane “stretto, con poca flessibilità per assorbire eventuali effetti di restringimento del mercato, per cui è possibile che i prezzi aumentino in modo sostanziale nelle prossime settimane”, evidenzia James Waddell, responsabile del settore gas europeo e GNL globale di Energy Aspects.
C’è poi chi ipotizza che lo stop al gas russo in Europa sia solo temporaneo. A lungo termine, i prezzi dovrebbero diminuire con una eventuale ripresa dei flussi dall’Ucraina, sottolineano gli analisti di Citigroup. “Siamo consapevoli dell’imprevedibilità dell’esito dei negoziati tra Russia e Ucraina, ma gli incentivi economici suggeriscono un’eventuale ripresa delle forniture”.
Reazioni e conseguenze
“Valuteremo la situazione e le possibilità di misure reciproche contro l’Ucraina. Se è inevitabile, interromperemo l’approvvigionamento di elettricità che l’Ucraina necessita durante i blackout. Oppure concorderemo su un diverso corso d’azione”, ha detto il premier slovacco Robert Fico minacciando rappresaglie contro Kiev.
Per Fico “lo stop al passaggio del gas attraverso l’Ucraina verso la Slovacchia costerà decine di miliardi ai cittadini, alle imprese e alle infrastrutture europee. Avrà un effetto drastico su tutti noi ma non sulla Federazione Russa. Anche per questo motivo continuerò con una politica coerente orientata verso tutte e quattro le parti del mondo”.
Il governo ungherese ha reso noto ieri di non essere preoccupato per lo stop del transito del gas russo in Ucraina, sottolineando che le forniture passano già quasi interamente attraverso il Turkstream, il gasdotto che attraversa Mar Nero, Turchia, Bulgaria e Serbia.
“L’Ungheria non intende affatto staccarsi dal gas russo, perché attualmente non abbiamo alternative più vantaggiose, anzi, acquistiamo quantità ulteriori con prezzi a buon mercato”, ha detto il ministro degli Esteri Peter Szijjarto.
Alcuni esperti in Ungheria non sostengono tuttavia le affermazioni dell’esecutivo di Viktor Orban: il governo mantiene segreti i contratti relativi – compreso il costo – delle forniture di gas russo ma calcoli di commercio estero mostrerebbero, secondo gli analisti, che i prezzi pagati dall’Ungheria a Gazprom sono vicini a quelli della borsa del gas di Amsterdam. “Il gas russo non è a più buon mercato di altre fonti, così non si vedono vantaggi particolari dal punto di vista economico”, ha affermato l’istituto economico GKF in uno studio pubblicato recentemente.
L’Austria non dovrebbe affrontare interruzioni di servizi poiché si è preparata al passaggio dalle forniture russe alle alternative occidentali, ha reso noto l’autorità di regolamentazione dell’energia austriaca E-Control. Anche la società energetica austriaca OMV ha rescisso il suo accordo con Gazprom, a seguito di una disputa contrattuale con la società russa. Markus Krug, vice capo dipartimento gas di E-Control, ha affermato che l’autorità di regolamentazione sta seguendo da vicino gli eventi, ma che non prevede delle interruzioni nella fornitura di gas, perché l’Austria ha preso provvedimenti per ottenerlo da altrove e ha accumulato delle riserve.
“È un grande aggiustamento nel flusso di gas, da est a ovest“, ha detto Krug all’agenzia Reuters, aggiungendo che i prezzi potrebbero aumentare temporaneamente dopo il 1° gennaio 2025, ma probabilmente scenderanno di nuovo, una volta che il mercato si accorgerà che le cose stanno funzionando.
Dall’Italia non sono giunti commenti benché già nei primi mesi del 2025 siano previsti rincari nelle bollette energetiche.
I flussi di gas russo dovrebbero essere compensati soprattutto dalla Germania, che ha tolto la tassa all’export. Inoltre, secondo quanto si evince dai dati forniti da Snam, al momento la domanda di gas resta contenuta e viene garantita dall’Algeria, dal TAP, dagli stoccaggi, e dai rigassificatori a pieno ritmo. A dicembre l’Italia ha importato di più da Tarvisio – circa 500 milioni di metri cubi – ma buona parte dei volumi è arrivata non tanto dalla Russia quanto dagli stoccaggi austriaci e dalla Germania.
Gli Stoccaggi sono ora pieni circa all’80%, quindi secondo gli operatori non c’è alcuna situazione di allarme ma occorre continuare nella strategia di diversificazione degli approvvigionamenti intrapresa dal Governo (e dagli operatori come ENI e SNAM) all’indomani dell’invasione russa in Ucraina.
“Non si è fatto niente negli ultimi anni per aumentare la produzione nazionale italiana di gas. Un delitto economico… perché andiamo a prendere il gas dagli USA fatto col fracking inquinante a 13mila chilometri di distanza da noi…assurdo. Paghiamo la nostra incapacità e le difficoltà incontrate da tutti i governi… anche quest’anno cala la produzione italiana” ha commentato Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, all’agenzia di stampa GEA.
“Biogas o il biometano non possono risolvere i problemi… Se arriveremo a 1 miliardo di metri cubi di biogas o biometano sarà un successo… ma noi consumiamo 61 di miliardi di metri cubi di gas. E adesso siamo a soli 0,2 miliardi col biometano. Nel 2025 stimiamo un aumento della bolletta energetica di 250-300 euro per una famiglia media… per una impresa tipo invece, considerando un rincaro di 3 centesimi per kwh e un consumo annuo di 1 milione di kwh, l’aumento potrebbe essere di 30mila euro. La Commissione Ue non fa altro che spargere ottimismo da 4 anni, ma siamo dentro la crisi ancora. Si è fatto molto poco delle varie diversificazioni annunciate dalla politica.”
Radoslaw Sikorski, ministro degli Esteri polacco ha definito lo stop all’esportazione di gas russo all’Europa attraverso l’UCRAINA una grande vittoria. “Putin ha speso miliardi per costruire il Nordstream per aggirare l’UCRAINA e ricattare l’Europa orientale con la minaccia di tagliare le forniture di gas. L’UCRAINA gli ha tagliato la possibilità di esportare gas direttamente nell’Ue. Un’altra vittoria dopo l’allargamento della NATO da parte di Finlandia e Svezia”, ha scritto X il ministro.
Sempre su X, nel settembre 2022, Sikorski (che all’epoca non era ministro) anche aveva commentato l’esplosione che distrusse i gasdotti Nordstream scrivendo “Grazie Stati Uniti” per poi cancellare il “tweet” poco dopo.
Anche la Moldavia, ormai allineata a UE e NATO, si trova in difficoltà: Gazprom ha infatti ribadito che a ausa dei debiti moldavi insoluti Chisinau non riceverà più le forniture di (2 miliardi di metri cubi di gas all’anno) che venivano convogliate dalla Transnistria. Alcuni report riferiscono di interruzioni di corrente elettrica e riscaldamento nelle abitazioni mentre i filobus sono stati fermati. La centrale elettrica è passata al carbone e le sue riserve dureranno circa 50 giorni.
“La motivazione ufficiale di questa decisione sono i debiti insoluti da parte moldava. La Russia usa l’energia come un’arma politica”, ha commentato su Facebook il primo ministro moldavo Dorin Recean, minacciando di nazionalizzare JSC Moldovagaz, la società energetica che gestisce il gas e che è detenuta al 50% da Gazprom.
Anche la regione moldava della Transnistria, controllata da Mosca che vi schiera 1.500 militari, subisce gravi danni dalla fine del flusso di gas russo attraverso l’Ucraina. Ieri la principale centrale elettrica della Transnistria ha iniziato ad utilizzare il carbone.
Il leader della regione, Vadim Krasnoselsky, ha dichiarato che la centrale dovrebbe riuscire a fornire elettricità ai residenti della regione in gennaio e febbraio, affermando che la Transnistria ha riserve di gas che potrebbero durare per 10 giorni di utilizzo limitato nelle aree settentrionali e il doppio a sud.
Krasnoselsky ha descritto la crisi energetica come una seria prova, ma ha aggiunto che le autorità della regione hanno preso diverse misure per prepararsi a convertire la centrale elettrica al funzionamento a carbone. Le autorità, ha concluso Krasnoselsky, continuano a fornire gas ai condomini per consentire ai residenti di cucinare e nella regione vi sono 30 punti attrezzati per fornire calore e cibo caldo alla popolazione.
Tutte le imprese industriali della Transnistria sono ferme a causa della mancanza di risorse energetiche, ha dichiarato il primo vicepresidente del governo e ministro dello Sviluppo economico della Transnistria, Sergej Obolonik. “L’intero settore industriale è fermo, ad eccezione delle imprese alimentari che garantiscono la sicurezza alimentare della regione”, ha detto Obolonik. “La situazione è ancora gestibile, ma se non si troveranno soluzioni rapide, l’industria potrebbe subire danni irreversibili, con la perdita della capacità produttiva delle imprese”.
Foto: Commissione UE, Naftogaz, Gazprom, TAL, La Verità, Presidenza Slovacchia e ONE-Dyas
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.