Da MAGA a MAHA (Make America Hated Again) il passo è breve  

 

Aggressivo e minaccioso con i rivali ma anche con vicini, amici e alleati. A poco più di due settimane dal suo insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump sembra essere già riuscito nell’impresa di rendere gli Stati Uniti invisi a quasi tutto il mondo.

L’arroganza costante e la pretesa di dettare regole e ricette a tutti rischia però di trasformare il tanto propagandato piano Make America Great Again (MAGA) in MAHA, acronimo di Make America Hated Again (Rendiamo l’America di nuovo odiata).

All’Europa Trump minaccia dazi se non compra armi e gas dagli USA e se non spende per la Difesa il 5 per cento del PIL, cioè ben di più di quanto spendono gli stessi Stati Uniti (3,3%). Una cifra non ragionevole, specie tenendo conto delle pessime condizioni economiche ed energetiche dell’Europa, che dopo aver pagato il prezzo salatissimo della sudditanza all’Amministrazione Biden viene oggi sottomessa anche da quella Trump.

Non pago, il presidente americano rivendica senza mezzi termini e senza escludere l’uso della forza il controllo sulla Groenlandia, dipendenza con larga autonomia dal regno di Danimarca ma ”fondamentale” per la sicurezza nazionale statunitense.

In un’intervista a Fox News, il vicepresidente statunitense J.D. Vance ha affermato che la Groenlandia è “davvero importante” per la “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti. “Francamente, la Danimarca, che controlla la Groenlandia, non sta facendo il suo lavoro e non è un buon alleato“.

Dopo aver ceduto gran parte delle sue munizioni e dei velivoli F-16 (nella foto sopra il premier Mette Frederiksen e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a bordo di un F-16B danese)  e tutta l’artiglieria all’Ucraina, la Danimarca improvvisamente non è più un buon alleato degli USA perché non è disposta a cedergli la Groenlandia?

Nell’ottica di dettare all’Europa regole, obblighi e indirizzi, Trump ha affidato a Elon Musk persino l’organizzazione dei movimenti politici sovranisti europei con il programma Make Europe Great Again (MEGA).

A parte l’ovvia considerazione che l’Europa non diventerà mai “grande” finché seguirà i diktat di tutti i presidenti che si alternano alla Casa Bianca, occorre chiedersi quale sovranismo europeo potrà mai emergere se viene guidato dal sovranismo statunitense. Un sovranismo senza sovranità? E poi non esiste un sovranismo europeo ma diversi sovranismi nelle differenti nazioni europee con obiettivi e punti di convergenza comuni.

Non che Trump abbia trattato meglio i suoi vicini, Messico e Canada, ai quali ha applicato dazi del 25 per cento. Nella visione di Trump anche il Canada dovrebbe venire annesso agli USA come 51° stato mentre al Messico sta riservando un trattamento da “paese ostile”, non solo schierando le truppe al confine per frenare l’immigrazione clandestina e il traffico di droga ma anche rivendicando un’egemonia territoriale ben evidenziata dalla pretesa di ribattezzare “Golfo d’America” il Golfo del Messico.

Secondo un attento osservatore statunitense di politica internazionale come il conservatore Daniel Pipes “la minaccia più ampia di Trump di imporre tariffe doganali indiscriminate, anche contro Canada e Messico, avrà conseguenze disastrose in politica estera. Gli alleati più stretti degli Stati Uniti prenderanno le distanze e i partner commerciali fuggiranno verso altri mercati”.

Non va meglio con l’intera America Latina. L’aver indotto con minacce economiche (i soliti dazi) il governo della Colombia ad accettare il rientro degli immigrati illegali deportati dagli USA e con la minaccia di invasione il governo di Panama a non rinnovare il contratto con una società cinese per la gestione del porto e del Canale che collega gli oceani Atlantico e Pacifico, non favorirà certo rapporti distesi e di buon vicinato con l’America centro-meridionale.

La Cina ha risposto ai dazi imposti da Trump con un minore export negli USA di terre rare e ha respinto al mittente le accuse di favorire i traffici di droga fentanyl attraverso il Messico, sottolineando che Pechino applica leggi severe contro il consumo di droga, a differenza degli Stati Uniti.

Benché cerchi un accordo con Putin per chiudere il conflitto in Ucraina, il neo presidente statunitense non ha resistito alla tentazione di minacciare anche Mosca di dazi e ulteriori sanzioni in caso di mancato accordo sulla guerra in corso ormai da tre anni. Forse Trump non si è reso conto che undici anni di sanzioni non hanno piegato l’economia russa?

Neppure l’Africa si salva dalle dure iniziative della nuova Amministrazione USA. Il segretario di stato Marco Rubio  ha annunciato su X che non si recherà al G20 in Sudafrica /(membro fondatore dei BRICS)  in quanto il governo di Pretoria “sta facendo cose molto brutte come l’espropriazione della proprietà privata. Il mio compito è quello di promuovere l’interesse nazionale americano, non di sprecare i soldi dei contribuenti o di coccolare l’anti-americanismo”.

L’accusa di Rubio riguarda la recente legge firmata dal presidente Cyril Ramaphosa che prevede l’espropriazione di proprietà senza compenso in alcuni limitati casi.

Anche in Medio Oriente il presidente americano ha rapidamente bruciato il credito che aveva incassato imponendo a Israele di accettare l’accordo per la liberazione degli ostaggi e il ritiro da Gaza, proponendo la deportazione degli abitanti della Striscia da porre sotto il controllo degli Stati Uniti.

In una conferenza stampa con Benjamin Netanyahu, il presidente ha affermato che “i palestinesi devono lasciare la città e andare in altri paesi. Gli Stati Uniti prenderanno il controllo di Gaza, un controllo a lungo termine che porterà stabilità al Medio Oriente, Gaza sarà la riviera del Medio Oriente”.

Trump ha ribadito che “gli Stati Uniti prenderanno il controllo di Gaza e si occuperanno della bonifica degli ordigni e della ricostruzione“.

Un controllo, quello di Washington sulla Striscia, “a lungo termine” che, per il presidente americano, “porterà stabilità al Medio Oriente“.  A Gaza “vivranno le persone del mondo, anche palestinesi. Sarà la riviera del Medio Oriente“. Non è chiaro se questo piano prevede il dispiegamento di truppe militari in territorio palestinese. Trump non lo ha escluso, limitandosi a dire che “faremo ciò che è necessario”.

In attesa di vedere marines o contractors statunitensi strappare il controllo delle rovine di Gaza ai miliziani di Hamas per farci un gigantesco resort turistico con alberghi, luna park e casinò, magari da inglobare negli USA, la “soluzione immobiliarista” di Trump alla crisi in Medio Oriente ha incassato l’ira di tutti.

L’Arabia Saudita ha reso noto che “non ci sarà alcuna normalizzazione delle relazioni con Israele senza la creazione di uno stato palestinese indipendente”, Hamas e l’autorità Nazionale Palestinese hanno deprecato come “razzista e volto a sradicare la causa palestinese” il piano statunitense, pesantemente censurato da Qatar e Turchia e che Egitto e Giordania, che secondo Trump dovrebbero accogliere i due milioni di palestinesi di Gaza, hanno definito una minaccia alla loro sicurezza nazionale.

 “Le dichiarazioni di Trump sul suo desiderio di controllare Gaza sono ridicole e assurde, e qualsiasi idea di questo tipo può infiammare la regione” ha detto all’agenzia Reuters Sami Abu Zuhri, funzionario di Hamas.

Giusto per ampliare l’ostilità verso gli Stati Uniti nella regione mediorientale, Trump ha offerto nuovi aiuti militari a Israele per 8 miliardi di dollari (oltre ai circa 10 forniti nel 2024 dall’Amministrazione Biden per sostenere la guerra) e ha minacciato Teheran di annientamento nel caso gli iraniani tentassero di ucciderlo.

Nel complesso la politica estera che Trump sta delineando rischia di irritare gran parte del mondo, rivali, amici e alleati, favorendo l’avvicinamento di molte nazioni a Russia e Cina.

Secondo Pipes “una cosa è minacciare la Colombia, secondo esportatore mondiale di fiori, con tariffe doganali per convincere questo Paese ad accogliere i migranti espulsi, due settimane prima di San Valentino. Ma indurre l’Egitto o la Giordania ad accettare l’afflusso massiccio di gazawi è un’altra questione.

Se ce ne fosse la necessità, l’Egitto e la Giordania rimpiazzerebbero i finanziamenti governativi statunitensi con il sostegno dell’Arabia Saudita e degli Stati del Golfo. Avrebbero un appoggio diplomatico quasi unanime. Si allontaneranno dagli Stati Uniti e si orienteranno verso la Cina”.

Pipes non risparmia un monito alla Casa Bianca. “Guai a un Paese il cui leader adotta una politica estera disinvolta, senza un’attenta considerazione dei fattori. Minacciare tutti, indistintamente, di danni economici indebolirà la posizione dell’America nel mondo. Gli americani e i loro alleati perderanno molto se Trump si ostinerà a minacciare di imporre dazi come pilastro della politica estera degli Stati Uniti”.

@GianandreaGaian

Foto MAGA, Ministero Difesa Danese e Governo Israeliano

Vignetta di Peter Brookes

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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