A Mosul arriva la”brigata uzbeka” dell’Isis

Per la fase finale della battaglia di Mosul lo Stato Islamico avrebbe messo in campo un’unità suicida uzbeka che attraverso il deserto avrebbe raggiunto all’alba di ieri la città irachena percorrendo i 250 chilometri che la separano da Raqqah. Lo ha riferito Abu Mohammed al-Musali, uno dei comandanti dei cosiddetti “Cavalieri di Mosul”, cioè la resistenza filo governativa attiva all’interno di Mosul.

Il reparto suicida, noto come “Brigata uzbeka” avrebbe il compito di affiancare i jihadisti locali e i foreign fighters per contrastare l’avanzata delle forze governative e pare composto esclusivamente da jihadisti originari della Repubblica ex sovietica dell’Uzbekistan. Ben equipaggiata e armata, la brigata dispone di un’unità di genieri esperti nella confezione di ordigni rudimentali e trappole esplosive; i suoi combattenti sarebbero specializzati nel combattimento urbano e muniti di cinture e giubbotti esplosivi per farsi all’occorrenza saltare in aria.

Gli ‘uzbeki’ sarebbero riusciti a entrare a Mosul nascondendosi a bordo di camion-frigoriferi, in apparenza carichi di rifornimenti di carne, e si sarebbero già attestati su ambedue le sponde del fiume Tigri, alle porte del sobborgo di al-Arabi, principale via d’accesso all’abitato dal nord schierandosi anche nel quartiere adiacente di al-Gabat e su uno dei ponti in pieno centro che collegano i settori orientali e occidentali. Secondo Musali, si sta ora cercando di accertarne l’esatta ubicazione per segnalarla poi alle firze aeree di Baghdad e alla Coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, così che possano bombardarne le posizioni.

f94f2de1-98ee-473b-b1f4-d3e0f2476aa5predatorbmediumProprio gli uzbeki potrebbero essere stati il bersaglio del raid aereo statunitense che ieri ha distrutto a Mosul u o dei ponti sul Tigri, il quarto fatto esplodere dai cacciabombardieri dall’inizio dell’offensiva militare contro l’Isis: l’unico rimasto ancora in piedi è il più antico, costruito dai britannici, secondo quanto testimoniato dai residenti locali. Il colonnello John Dorrian, portavoce della Coalizione, ha dichiarato che i ponti venivano utilizzati dall’Isis per avvicendare e rifornire i reparti in prima linea.

Le forze governative irachene avanzano intanto lentamente nei quartieri orientali di Mosul puntando verso il centro cittadino distante ancora circa 10 chilometri. Secondo l’inviato al fronte dell’emittente irachena governativa al Iraqiya, i militari di Baghdad sono penetrati a Zuhur, quartiere nella parte nord-orientale ma l’avanzata è rallentata dai colpi di mortaio e dal fuoco di cecchini dell’Isis.
Sempre ieri un comandante dello Stato Islamico è rimasto ucciso in un attacco con razzi lanciato presso Tal Afar, una sessantina di chilometri a ovest di Mosul, da miliziani sciiti delle Unità di Mobilitazione Popolare: lo ha rivendicato con un comunicato la Brigata ‘Hezbollah’, che fa parte delle stesse UMP, identificando il gerarca eliminato come Salem Abatu. Nella nota si precisa che, dopo averne espugnato la settimana scorsa l’aeroporto militare, le milizie sciite si sono adesso concentrate tutte intorno all’abitato di Tal Afar, in attesa di penetrarvi per sferrare l’attacco finale.

Le UMP affiancano i governativi iracheni nell’offensiva per strappare ai jihadisti Mosul ma puntano a conquistare Tal Afar pe tagliare le linee di rifornimento dell’Isis e completare l’assedio di Mosul. In questa operazione le milizie scite sono appoggiati da elicotteri Bell 206 e Mi-35 delle forze aeree irachene.

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E’ salito intanto ad oltre 68mila il numero degli sfollati provocati dall’offensiva per la liberazione di Mosul lanciata lo scorso 17 ottobre. Lo ha riferito in una nota l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), nella quale si legge che “attualmente risultano sfollate 68.550 persone che necessitano di assistenza umanitaria”. Secondo l’Ocha, si sta facendo sempre più complessa la risposta delle agenzie umanitarie alle richieste di aiuti da parte dei civili, che hanno urgenze differenti a seconda delle loro condizioni.

“Le necessità umanitarie sono gravi tra le famiglie sfollate sia dentro che fuori dai campi, i vulnerabili abitanti delle città riprese e la gente in fuga dai combattimenti nella città di Mosul”, è precisato nel comunicato. L’Onu aveva inizialmente previsto che i combattimenti nelle prime settimane dell’offensiva avrebbero provocato circa 200mila sfollati.

Per le autorità irachene, oltre un milione di civili vive ancora a Mosul, seconda città dell’Iraq e ultima roccaforte del sedicente Stato islamico (Is) nel Paese. Nessuno sembra tener conto del numero imprecisato di civili fuggiti da Mosul dirigendosi versi i territori ancora in mano all’Isis nel timore delle rappresaglie delle forze di Baghdad e delle milizie scite filo-iraniane.

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Cresce anche il timore che l’Isis impieghi armi chimiche nella battaglia di Mosul dopo il rapporto reso noto ieri dalla società di analisi IHS Markit
che riporta 53 casi di ricorso ad armi chimiche (proprie ed improprie) da parte del Califfato dal 2014 ad oggi in Iraq e in Siria.
In particolare a Mosul, l’Isis ha dato fuoco a una cava di zolfo distante circa 25 chilometri dalla città: col vento a favore, i fumi nocivi si sono sospinti verso le zone dove si trovavano sia i soldati americani che centinaia di civili sfollati. “Tanto più lo Stato islamico perde terreno attorno a Mosul, tanto più alto è il rischio che i jihadisti utilizzino armi chimiche per rallentare e intimorire le forze nemiche, oltra a vendicarsi sui civili” ha spiegato Columb Strack, analista senior e responsabile dell’IHS Conflict Monitor.

Dal 2014 l’Isis ha utilizzato armi chimiche 19 volte attorno a Mosul prima dell’inizio della controffensiva irachena. Probabilmente gli esperti chimici sono stati evacuati da Mosul e trasferiti in Siria, riporta il Washington Post aggiungendo che a marzo scorso le forze speciali americane sono riuscite a catturare il massimo esperto chimico dell’Isis nel corso di un raid nel nord dell’Iraq. Secondo il report lo Stato islamico ha fatto ricorso diverse volte ai cosiddetti gas mostarda in Iraq e in Siria, colpendo indiscriminatamente sia le forze armate nemiche che le aree abitate da civili.

Il prolungarsi del conflitto sta mettendo in ginocchio l’economia irachena. Ieri il ministro degli Esteri, Ibrahim al-Jaafari ha detto che l’Iraq deve incrementare la sua produzione petrolifera, perchè il calo dei prezzi del greggio e i costi della guerra con lo Stato Islamico hanno lasciato un “grosso buco” nel bilancio dello Stato. Le parole di al-Jaafari giungono mentre è in corso una difficile trattativa dei Paesi Opec per concordare dei tagli alla produzione.

“Il petrolio – spiega il ministro – rappresenta il 90% del bilancio dell’Iraq e dobbiamo far fronte a un ‘buco’ legato al calo del prezzo del greggio e all’aumento della spesa per gli armamenti legata al conflitto con lo Stato Islamico. In questa situazione dobbiamo aumentare la produzione e abbiamo bisogno della comprensione internazionale. L’Iraq potrebbe essere un paese ricco ma ha grossi problemi. Non sarebbe giusto ora abbassare la produzione”. L’Iraq è il secondo Paese produttore dell’Opec e in ottobre ha raggiunto una media una media di 4,56 milioni di barili estratti al giorno.

Foto: US DoD, Air Recognition, Reuters e AFP

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