Dilettanti allo sbaraglio
Una pattuglia della polizia ha ucciso alle 3 di mattino del 23 dicembre a Sesto San Giovanni Anis Amri, il terrorista salafita tunisino ricercato per la strage di Berlino, che procedeva a piedi nei pressi della stazione ferroviaria. Alla richiesta di esibire un documento, il terrorista ha estratto da uno zaino una pistola calibro 22 e ha sparato contro i poliziotti ferendo quello che gli aveva chiesto i documenti. La pattuglia ha risposto al fuoco colpendo mortalmente Amri al petto. L’uomo era sprovvisto di documenti e quindi non è stato immediatamente identificato e solo in seguito è stato accertato che si trattava dell’attentatore di Berlino.
Un dettaglio che conferma come il terrorista sia stato intercettato dalla Polizia casualmente, nell’ambito di controlli di routine certo intensificati in questo periodo “caldo” per rafforzare il controllo del territorio. Del resto se le autorità italiane avessero teso un agguato ad Amri avrebbero impiegato forze più consistenti e specializzate di una pattuglia di giovani agenti.
Il bel successo della Polizia italiana è stato però trasformato rapidamente in farsa dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e del Ministro degli Interni Marco Minniti, che hanno comunicato l’identità dei due poliziotti con tanto di nomi, cognomi, età e luogo di nascita.
Amri era un salafita legato ai gruppi jihadisti tedeschi del Lander Nord Reno –Vestfalia, e potrebbe aver raggiunto Milano per procurarsi nuovi documenti falsi (aveva già cambiato 12 volte identità) o per nascondersi presso la comunità salafita milanese, una delle più importanti d’Europa anche se “poco rumorosa” probabilmente proprio perché si sospetta che funga da supporto logistico alle altre organizzazioni europee.
Secondo il sito Mondafrique gli 007 marocchini avevano segnalato la sua affiliazione all’Isis ai colleghi tedeschi in due informative a settembre e ottobre. In questa ricostruzione si fa accenno anche a due responsabili dell’Isis, uno russo e l’altro marocchino, “in contatto con Amri a Dortmund”.
Insomma, non era un rubagalline nè uno sprovveduto: il suo attentato è stato rivendicato dall’Isis e in un video lo stesso Amri afferma: “Giuro fedeltà al principe dei fedeli Abu Bakr al Baghdadi. Veniamo a sgozzarvi come maiali. Ogni essere umano in grado di combattere, vada a uccidere in tutta Europa i crociati maiali”.
Sorprende quindi che un “tecnico” come Marco Minniti (fino a ieri sottosegretario con delega ai servizi d’intelligence) abbia rivelato l’identità dei due agenti coinvolti nella sparatoria: l’agente rimasto ferito, per fortuna non gravemente, e soprattutto quello che ha ucciso Amri, esponendoli così al rischio di rappresaglie da parte di terroristi islamici (ci sono anche in Italia) o anche solo di semplici invasati in cerca di gloria e visibilità nel nome di Allah.
Dei due agenti sono stati diffusi persino luogo e data di nascita, manca solo l’indirizzo di casa per aiutare Isis e salafiti a vendicare Amri.
Lascia perplessi osservare che, nella conferenza stampa, Minniti divulghi pochi dettagli sull’operazione che ha portato all’uccisione di Amri perché “ci sono indagini in corso” ma poi riveli l’identità degli agenti coinvolti seguito a ruota dal presidente del consiglio Paolo Gentiloni.
Vengono taciuti nomi e oscurate facce dei nostri soldati impegnati in Iraq ad addestrare i curdi e sbattono in prima pagina due giovani agenti di un commissariato dell’hinterland milanese che hanno ucciso un pericoloso terrorista islamico?
Foto, selfie dei due poliziotti, interviste con genitori e parenti degli eroi, immagini e nome dell’ospedale in cui è ricoverato l‘agente ferito, persino interviste al chirurgo che lo ha operato e poi reportage dai paeselli natii dove anche il più sprovveduto jihadista potrà agevolmente trovare parenti e amici dei tutori dell’ordine sui quali compiere adeguate rappresaglie.
Franco Maccari, segretario del sindacato di polizia Coisp, ha definito “una follia rendere noti i nomi dei poliziotti. Si sarebbe dovuta tutelare la loro identità, così come avviene per i militari impegnati all’estero nelle attività di contrasto al terrorismo. E’ incredibile la superficialità con cui è stata gestita la vicenda da parte dello stesso Governo che ha dimostrato di sottovalutare il rischio di rappresaglie mettendo a rischio le vite dei nostri colleghi ed anche dei loro familiari”.
Un dilettantismo dei nostri vertici politici (francamente inaspettato almeno da Minniti) che conferma ulteriormente come i problemi di sicurezza dell’Europa esposta alla minaccia jihadista non siano legati alle forze dell’ordine e all’intelligence ma alla pochezza dei governanti, incapaci di prevenire e risolvere i problemi con leggi ad hoc contro islamismo e immigrazione illegale ma pronti a metterci la faccia quando si tratta di celebrare successi, anche se casuali.
Comprensibile la tentazione di togliersi qualche soddisfazione, per una volta, con la Germania che ha a sua volta molti “dettagli” (si fa per dire) da spiegare sulla vicenda Amri.
Per 24 ore la polizia tedesca ha attribuito la responsabilità della strage a un giovane afghano. Poi a un giorno di distanza dall’eccidio le autorità tedesche hanno detto di aver trovato nel camion i documenti di Amri. Ma il veicolo non lo avevano perquisito immediatamente dopo la strage? Perché ci hanno messo un giorno per trovare i documenti del tunisino?
Successivamente i tedeschi hanno trovato pure le impronte di Amri che, non occorre aver guardato tutti gli episodi di CSI per saperlo, avrebbero dovuto essere rilevate immediatamente dalla Polizia Scientifica considerato che i dati del criminale tunisino sono inseriti nelle banche dati europee e di certo tedesche.
Tornando ai guai di casa nostra, non è ammissibile che i vertici del governo italiano si comportino da dilettanti allo sbaraglio quando si tratta di sicurezza nazionale solo per potersi ritagliare spazi di visibilità e meriti (che forse non hanno, Gentiloni e Minniti hanno assunto gli attuali incarichi pochi giorni or sono) che sperano forse di tradurre in consenso.
Quanto accaduto ieri è molto più grave per la credibilità del governo delle dichiarazioni di un ministro del Lavoro entusiasta per i giovani italiani che si tolgono dai piedi andando a cercare lavoro all’estero o di un ministro della Pubblica Istruzione senza laurea e persino senza diploma di maturità.
Ad aggravare la posizione di Gentiloni e Minniti, riusciti nell’ardua impresa di trasformare un successo in un autogol, contribuisce pesantemente la notizia che già alle 7.30 del mattino (4 ore dopo la sparatoria e ben prima che i nomi dei due agenti fossero noti) il capo della Polizia, Franco Gabrielli, ha inviato a tutti i prefetti e questori una circolare di poche righe con la quale invitava il personale impegnato sul territorio alla “massima attenzione” poiché “non si possono escludere azioni ritorsive” sia nei confronti dei poliziotti sia verso tutti coloro che indossano una divisa, dunque anche le altre forze di polizia, i militari e gli appartenenti alle polizie locali.
Valutazioni appropriate poiché Amri è a tutti gli effetti il primo “soldato” dell’Isis a venire ucciso dagli italiani poiché finora i nostri militari in Iraq non hanno sparato un solo colpo o lanciato una sola bomba d’aereo contro i jihadisti del Califfato: meglio quindi prendere subito tutte le precauzioni necessarie per far fronte a probabili rappresaglie.
Allora i casi sono due: o Minniti e Gentiloni non erano a conoscenza delle raccomandazioni del capo della Polizia o le hanno deliberatamente considerate superflue.
In entrambi i casi l’auspicio è che il Califfo Abu Bakr al-Baghdadi abbia pietà di noi. Buon Natale.
Foto: AFP, TGcom24, Sky tg24 e Ansa
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.