Proposte per l’impiego dei militari nelle calamità
In occasione dei recenti terremoti e ancora di più dopo i recentissimi eventi calamitosi che hanno colpito l’Abruzzo, le Forze Armate (soprattutto l’Esercito) sono intervenute mettendo in campo potenzialità e professionalità peculiari che risultano essere state molto apprezzate.
Gianandrea Gaiani ha già illustrato su questa testata perché riterrebbe opportuno attribuire maggiori competenze e responsabilità alle F.A. in relazione agli interventi immediati per pubbliche calamità.
Personalmente, almeno in linea di principio sognerei F.A. agili, snelle, “giovani”, altamente tecnologiche ed “expeditionary”, orientate esclusivamente ad operazioni militari (prevalentemente) fuori dai confini nazionali.
A queste, nel mio immaginario, si dovrebbe affiancare un qualcosa di simile alla “Guardia Nazionale” sul modello statunitense per far fronte a tutte le altre esigenze che oggi vengono “scaricate” sulle F.A., appesantendone la struttura e distraendole da quei compiti che solo loro possono assolvere.
“Guardia Nazionale” la cui alimentazione potrebbe essere mista (professionisti, personale con contratto pluriennale ed eventuale “leva” sia maschile sia femminile di durata breve (ad esempio 6 mesi), posta alle dipendenze del dicastero degli Interni, verosimilmente senza status militare, in cui potrebbero confluire -oltre a potenzialità civili – quelle risorse delle F.A. eccedenti il reale fabbisogno di queste ultime.
A tale organizzazione potrebbero essere attribuiti compiti di protezione civile in concorso ai Vigili del Fuoco, ma anche di pubblica utilità (es: la cosiddetta “operazione strade pulite “ a Napoli, dove l’Esercito ha sopperito a carenze della nettezza urbana partenopea) ed eventualmente di supporto alle forze dell’ordine (es: l’ Operazione Strade Sicure che da quasi 9 anni vede impegnato l’Esercito in attività talvolta di mero di piantonamento, con innegabili riflessi negativi sulle capacità operative “militari” dei reparti impegnati).
In caso (oggi poco probabile) di guerra generale e schieramento a difesa dei confini, tale “Guardia Nazionale” potrebbe rapidamente essere militarizzata e mobilitata per compiti a supporto delle F.A. Questo però, oggi come oggi, non è ipotizzabile! Tornando all’Italia di oggi, prendo atto che, giocoforza, si debba ricorrere alle F.A. e all’Esercito, in particolare, ogni qualvolta si presentino eventi calamitosi importanti. Come ho avuto modo di scrivere su AD in tempi “non sospetti” (lo scorso 18 novembre), per il momento “un caso tipico in cui l’intervento delle nostre F.A. e dell’Esercito in particolare, potrebbe essere certamente più consistente ed organico è quello dell’intervento in caso di calamità naturali. ..… l’Esercito, se attivato (o, meglio, autorizzato ad intervenire) avrebbe talvolta fatto prima!”
Preso atto dell’esigenza di impiegare regolarmente l’Esercito per far fronte grandi eventi calamitosi, riterrei utile non limitarsi a chiamare i soldati solo quando l’emergenza emerge. Sarebbe più ragionevole prepararsi per l’evento imprevisto e adattare procedure e normative in modo da poter intervenire senza ricorrere a misure straordinarie per fa fronte ad eventi che sono in effetti “ordinari”. Infatti le calamità, siano esse terremoti, nevicate, slavine, alluvioni, incendi boschivi, ecc, sul nostro territorio sono venti “ordinari” e frequenti. Imprevisti nel loro manifestarsi, certamente, ma ordinari e frequenti.
Mi si obietterà che, comunque, l’Esercito ha continuato a essere chiamato e a intervenire ogni volta che il nostro territorio è stato flagellato da terremoti, nevicate eccezionali (peraltro, non esattamente “eccezionali”, stante la regolarità del loro ripetersi) o le puntuali esondazioni dei nostri fiumi in autunno ed inverno. Si aggiungerà che tali interventi sono sempre stati efficaci. Quindi: tutto va bene così!
È vero. L’Esercito è sempre intervenuto con generosità e competenza. Ciò rappresenta un vanto per i soldati che sono intervenuti, ma può rappresentare un vanto anche per l’organizzazione che ne ha disposto l’impiego?
Se l’esperienza insegna che regolarmente per eventi calamitosi di rilievo le F.A. sono chiamate ad intervenire in concorso alla Protezione Civile e se oggi le possibilità per un militare nel corso di un qualsiasi anno solare di essere chiamato ad un intervento per pubbliche calamità (sia pure limitato nel tempo) sono certamente superiori a quelle di partecipare ad un intervento operativo all’estero, ritengo che occorra tener presente tale situazione a monte.
Ovvero, non si può continuare a concepire l’intervento per pubbliche calamità come un “compito residuale” (sic! giuro che l’espressione non è mia!) delle Forze Armate e mi riferisco in primis all’Esercito, che è la F.A. più coinvolta).
Un compito, cioè, cui si possa tranquillamente far fronte con uno strumento militare dimensionato, calibrato, organizzato, dislocato sul terreno, equipaggiato, addestrato e mantenuto a livelli di prontezza esclusivamente in funzione di ben altre ipotesi d’impiego.
Si obietterà che il Libro Bianco della Difesa edizione 2015 (all’ art 81) prevede esplicitamente tale impiego nell’enunciare le 4 missioni per le F.A. italiane:
- La difesa dello Stato;
- La difesa degli spazi Euro-Atlantici ed Euro-Mediterranei;
- Contributo alla realizzazione della pace e della sicurezza internazionale;
- Concorsi e compiti specifici (?)
In merito alla 4^ Missione, quella che ci riguarda, il documento apiega (in maniera leggermente laconica a mio avviso) che “consiste nella salvaguardia delle libere istituzioni e nello svolgimento di compiti specifici in circostanze di pubbliche calamità ed in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza”
Sarò sincero. L’enunciazione della missione (che mi sembra tratta dal paragrafo “varie ed eventuali” del resoconto di un’assemblea condominiale) non mi pare fare molta chiarezza su ciò che le F.A. debbano in realtà fare.
È ben chiaro che le F.A. non siano il first responder in questo settore (competenza attribuita dalla legge n. 225/92 “Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile” alla Protezione Civile ed al Corpo dei Vigili del Fuoco) e che non debbano assolutamente diventarlo.
Peraltro, le F.A. (che sulla base della medesima legge, costituiscono, insieme ad altri Corpi dello Stato, la “struttura operativa del Servizio Nazionale di Protezione Civile ed intervengono secondo i rispettivi ordinamenti e le rispettive competenze”) devono essere, comunque, pronte a far fronte ai compiti di second, third o fourth reponder che gli si voglia assegnare.
Non si tratta qui di sgomitare per assumere un ruolo più visibile o più importante, ma solo di avere le risorse e le capacità per meglio prepararsi al ruolo assegnato dalla legge e confermato dalla pratica.
Mi si dirà che il Libro Bianco della Difesa, sintetico documento di ”analisi strategica e sintesi progettuale”, non avrebbe potuto dedicare all’argomento più spazio nelle sue 133 pagine. Il fatto che a fronte di 6 pagine dedicate a rapporti Difesa-Industria, l’organizzazione nazionale di protezione civile non venga neanche citata è altrettanto comprensibile, stante la natura prettamente politico-strategica e di pianificazione del documento.
Scendendo di livello, però, ritenevo che si abbandonassero i grandi progetti ed i massimi sistemi e si parli anche di “boots on the ground” e magari di “boots in the mud” (scarponi nel fango).
Sulla direttiva dello Stato Maggiore della Difesa (SMD – G-006) testualmente ripresa da analoga Direttiva sui “concorsi militari in tempo di pace” dello Stato Maggiore dell’Esercito ed.2015, leggo: “L’Amministrazione della Difesa, compatibilmente con le capacità tecniche del personale e dei mezzi in dotazione, fermi restando i prioritari compiti prettamente istituzionali, può fornire concorso ad altre Amministrazioni, Enti o Società, sia pubbliche che private, qualora questi non siano in grado di assolvere ai propri compiti con i mezzi a loro disposizione o, comunque, quando vi sia un interesse per le F.A”..
Tutte le clausole cautelative mi farebbero quasi pensare che la direttiva sia stata scritta da un Avvocato aduso a redigere polizze assicurative anziché da un Ufficiale, ovvero da un “Comandante di Uomini” che di norma è tenuto a impartire ordini chiari ed inequivocabili.
È vero, peraltro, che la pubblicazione citata tratti sia gli interventi per pubbliche calamità (inclusi quelli per salvare vite umane in pericolo) sia richieste di routine da parte delle amministrazioni civile, quale potrebbe essere la cessione di un pullman per l’attività didattico-ricreativa di una scolaresca.
È proprio questo uno dei problemi, a mio avviso.
Dal punto di vista normativo, infatti, l’intervento per pubbliche calamità sembra essere considerato quasi alla stregua di uno dei tanti compiti che, in fondo, non competono alle F.A.
Compito che comunque viene assolto solo perché vi sono capacità o mezzi non impiegati al momento per altre esigenze prioritarie e che possono essere resi disponibili.
L’atteggiamento mentale del “pianificatore” sembrerebbe essere quello di chi dice “questo è ciò che offre il convento, prendete ciò che volete ma non chiedetemi altro, perché ho cose ben più importanti a cui pensare”.
È indubbio che il “convento” militare sia in grado di offrire e abbia offerto regolarmente molto più di qualsiasi altra organizzazione chiamata a supportare il Servizio Nazionale di Protezione Civile. È verissimo! Ciò grazie all’impegno, alla dedizione allo spirito di sacrificio di soldati di ogni grado. Ma l’Organizzazione Militare fa tutto ciò che potrebbe?
Preso atto che l’intervento delle F.A. in caso di pubbliche calamità è ormai sistematico in Italia, mi chiedo se non sarebbe opportuno affrontare l’esigenza partendo non dalla “coda” (ovvero dai militari che nella neve e nel fango fanno, come sempre, in maniera encomiabile e senza risparmiarsi il proprio dovere) ma dalla “testa”, ovvero strutturando le F.A. per far fronte (sia pure come “second responder”) anche a tali evenienze calamitose, che sono ad un tempo gravi e frequenti.
Ovvero, non limitarsi a rendere generosamente disponibile ciò che può “offrire il convento”, ma mettere il convento in condizione di offrire ciò che maggiormente serve! In tal senso, il compito delle F.A. di intervenire in supporto al Servizio Nazionale di Protezione Civile andrebbe tenuto in considerazione già nella redazione di documenti di indirizzo politico-strategico e, a cascata, in tutti i settori organizzativi delle F.A.
Senza alcuna pretesa di essere esaustivo e puro titolo di esempio, citerei almeno i seguenti settori:
- Ordinamento delle F.A. e sua organizzazione periferica, in modo da rendere il più funzionale possibile l’intervento di assetti militari ed il collegamento (soprattutto a livello periferico) con le altre amministrazioni interessate.
- Presenza sul territorio e distribuzione territoriale degli assetti (soprattutto di unità con capacità preziose per questa tipologia d’interventi, quali assetti elicotteristici, ospedali da campo, unità logistiche e del genio). Presenza che tenga conto anche delle esigenze di protezione civile e dei tempi d’intervento in caso di calamità sul territorio nazionale. Ad esempio, oggi a nord di quella che fu la “Linea Gotica” ci sono ben 7 reggimenti genio, di cui 2 con capacità campal-genio (capacità tecniche indispensabili ad esempio per la realizzazione di villaggi abitativi con strutture complesse), su ciascuna delle due isole maggiori c’è un reggimento genio, mentre su tutto il resto della Penisola ci sono soltanto 3 reggimenti genio di cui uno solo con capacità campal-genio. Se questa dislocazione risponde sicuramente alla struttura “brigato-centrica” della F.A., potrebbe forse non essere l’articolazione più funzionale a far fronte anche ai frequenti cataclismi naturali.
- Quantificazione delle singole componenti delle F.A. fatta tenendo in considerazione anche le esigenze che scaturiscono da questa tipologia d’intervento.
- Attività di “procurement” e politica di acquisizione di mezzi e materiali. I mezzi acquistati per l’attività “combat “possono non essere i più idonei per intervento per pubbliche calamità. Ad esempio, per l’acquisizione di una macchina movimento terra, se se ne prevede l’impiego in un teatro operativo lontano ad alta intensità quale l’Afghanistan si privilegeranno caratteristiche (es.: avio-trasportabilità, possibilità di montaggio di kit protettivi, rusticità) ben diverse da quelle che possono essere premianti in caso d’intervento per pubblica calamità (es: capacità di movimentazione detriti).
- Addestramento e formazione per queste specifiche esigenze. Mi riferisco non tanto all’addestramento dei singoli operatori, ma soprattutto a quello dei quadri responsabili di organizzare gli interventi e di coordinarsi con i funzionari delle altre organizzazioni coinvolte. Mi riferisco anche alla condotta di esercitazioni di preparazione per tali evenienze, la cui frequenza sembra essersi diradata, stanti altri impegni ritenuti prioritari o più paganti.
- Collegamento strutturale e permanente con tutte le Amministrazioni periferiche coinvolte (quindi anche con Regioni e Provincie, non solo con le Prefetture, come è previsto oggi).
Senza tentare di approfondire in merito alle soluzioni organizzative adottabili in relazione ai diversi settori, vale la pena sottolineare che l’impiego delle risorse militari per il soccorso alle popolazioni colpite da calamità naturali è sicuramente oggi efficace e visibile, ma potrà essere veramente efficiente soltanto se si accetterà l’idea che si tratta di un “compito aggiuntivo” per il quale occorre pianificare, equipaggiarsi e organizzarsi.
Inutile dire che ciò non può essere ottenuto “a costo zero”.
Costerà in termini di personale, tempo e risorse. Però potrebbe contribuire a attenuare le sofferenze delle Comunità colpite.La decisione se ne valga o meno la pena è una decisione della leadership politica e non compete certo ai militari.
La responsabilità dei tecnici militari, invece, sta’ nello spiegare chiaramente alla leadership politica che la “capacità duale” di alcun assetti potrà arrivare solo fino ad un certo punto, oltre il quale bisognerà mettere mano al portafoglio oppure tagliare qualche compito (ancora una decisione politica!).
I tempi degli “aerei di Mussolini” sono passati!
Limitarsi a offrire alle Comunità ciò che “passa il convento militare” è sicuramente ammirevole per la generosità, la dedizione e le professionalità che i singoli soldati regolarmente dimostrano, ma potrebbe non rappresentare l’atteggiamento più proattivo da parte delle autorità responsabili. Autorità politiche che potrebbero anche incaricare le F.A. di prepararsi, organizzarsi ed equipaggiarsi per un compito, da alcuni ritenuto forse “residuale”, che è divenuto, invece, “abituale”.
Ove si voglia veramente che le F.A. possano fornire il contributo che potenzialmente sarebbero in grado di esprimere in questo settore sarà indispensabile fornire loro adeguate risorse aggiuntive. Risorse che consentano di farvi fronte in maniera strutturale.
Oggi, il compito dell’Esercito in supporto al Servizio Nazionale di Protezione Civile sembrerebbe venir minimizzato quando si è in sede di pianificazione e di organizzazione. Quando, cioè, si potrebbe cogliere l’occasione per preparare un output tecnicamente e qualitativamente sofisticato.
Per contro, quando “scoppia” l’emergenza, l’impressione che si riceve dall’esterno è che la priorità non sia l’essere organizzati per fornire il supporto più qualificato possibile alle Comunità colpite, garantendo loro gli assetti più idonei, bensì che tutte le specialità e tutte le componenti delle F.A. (in perfetta analogia a quanto sembra avvenire per tutte le altre variopinte componenti del Servizio Nazionale di Protezione Civile) abbiano pari share di visibilità sui telegiornali (sulle montagne abruzzesi abbiamo visto anche marinai spalare neve, altrimenti la Marina non avrebbe partecipato!).
Un contesto normativo più chiaro e più esplicito in merito ai compiti attribuiti alle F.A. in questo settore potrebbe consentire di impiegare le risorse pregiate di cui queste dispongono per compiti tecnicamente più complessi e non, come talvolta accade, per pura (sia pur utilissima ed indispensabile) manovalanza. Ad esempio Volontari in Servizio Permanente quarantenni, con esperienze in tutti i teatri operativi, magari con pregiate qualifiche di “Advanced Combat Reconnaissance Team” o di “Advanced Military Search” impegnati solo per spazzare la neve.
In conclusione, ci sono tre potenziali soluzioni:
- realizzare un sistema di Protezione Civile in tutto autonomo, che non abbia bisogno del regolare intervento dell’Esercito (soluzione che realisticamente avrebbe un costo molto elevato e che difficilmente sarebbe ipotizzabile, almeno a breve).
- richiedere alle Forze Armate di organizzarsi strutturalmente per far fronte anche a questi compiti (soluzione che pure avrebbe un costo, ma molto più contenuto).
- lasciare le cose come stanno (nessun costo per lo Stato, ma una perdita di opportunità pagata, direttamente o meno, anche dalle Comunità colpite da calamità).
Ripeto, si tratta di una decisione politica. Le Comunità colpite forse avrebbero bisogno di qualcosa di più, ma soprattutto l’Esercito ed i suoi soldati potrebbero fornire di più e la loro professionalità e la loro dedizione meriterebbero di più! Le Forze Armate hanno sicuramente le capacità per fare di più. Basterebbe metterle in condizione di farlo.
Foto Stato Maggiore Difesa
Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli
Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.