F-35 e Typhoon “separati in casa” in Italia?
Come collaboreranno, come comunicheranno, come si “spalleggeranno” a vicenda il Joint Strike Fighter e l’Eurofighter nelle file delle nostre forze aeree? E più in generale, che confronti si possono fare oggi, rapportandoli allo scenario militare e alle potenzialità tecnologico-industriali italiani, fra i due aeroplani da combattimento dopo le consegne dei primi JSF all’Aeronautica Militare e la più che raggiunta maturità del caccia europeo?
Domande che ci si pone da tempo e che non potevano trovare risposte nell’ultima occasione pubblica che ha visto Leonardo e l’Aeronautica protagoniste della scena in occasione della consegna a Torino l’11 aprile all’Arma Azzurra del 500° Eurofighter F-2000 Typhoon prodotto dal consorzio europeo.
Una cerimonia contenuta ma che comunque ha lanciato precisi messaggi, come l’esaltazione dell’Europa e nella fattispecie della collaborazione nei sistemi d’arma, ma allo stesso tempo, nelle accorate parole del capo della Divisione Velivoli di Leonardo ingegner Filippo Bagnato, la denuncia della “sclerosi” che il Vecchio Continente si è auto-inflitta proprio nel settore dei velivoli militari negli ultimi dieci anni; non a caso, gli stessi che hanno visto l’avvio della partecipazione di almeno quattro importanti player dell’industria aerospaziale europea al programma statunitense F-35.
Possiamo partire subito dalla nota questione dello scarso lavoro riservato alla nostra industria aerospaziale dal JSF, dopo aver brevemente scambiato qualche idea a Torino con Fabrizio Giulianini, capo della Divisione Elettronica, Difesa e Sistemi di sicurezza di Leonardo e mancato nuovo Amministratore delegato che sarebbe piaciuto anche ai militari.
Dall’ingegner Giulianini arriva la conferma di quanto denunciato di recente dal Presidente di AIAD e dall’ex premier Renzi. “Nel settore avionico e in generale sistemistico, il programma F-35 non ci ha riservato praticamente nulla. Abbiamo avuto difficoltà fin dall’inizio, quado gli Americani ci offrivano ‘target price’ che rischiavano di non coprire nemmeno i costi. Chiedemmo di poterci approvvigionare per le componenti dalle stesse fonti agevolate cui si rivolgevano le ditte americane, ma non ci fu permesso”.
Il dirigente di Leonardo è tranchant anche sulle promesse che ci erano state fatte per la manutenzione: “Lo Hub di cui si è tanto parlato, di fatto non è stato stabilito qui da noi, ma in Gran Bretagna”.
La “rivincita” della Divisione elettronica di Leonardo
Nel campo dell’elettronica, fa notare l’ingegner Giulianini, Leonardo mantiene la sua competitività, dopo aver archiviato un 2016 con risultati “addirittura over budget” e il pieno di nuovi ordini. “Prendiamo il caso dei sensori IRST(InfraRed Search and Track) per i caccia di nuova generazione. Quello che abbiamo progettato, sviluppato e stiamo producendo tutto da soli per la nuova generazione del caccia svedese Gripen, lo SkyGuard, è tanto avanzato e promettente che siamo riusciti a proporlo nientemeno che sul mercato americano: Northrop Grumman ne equipaggerà sulla parte frontale un suo pod avanzato di ricerca e designazione dei bersagli”.
Facendo così concorrenza agli analoghi sistemi di Lockheed Martin, dalle eccellenze del cui strike di quinta generazione la parte sistemistica di Leonardo è stata esclusa. Lo SkyGuard italiano sui velivoli da combattimento americani è una grossa soddisfazione e in qualche modo una rivalsa per la nostra società, che si è così tolta un sassolino dalla scarpa.
Sassolino che tuttavia potrebbe rientrare se il Decreto esecutivo del 18 aprile con cui il presidente Trump ha disposto nuove rigide disposizioni riguardo il “Buy American” anche nella Difesa, avrà un seguito concreto, finendo però per indebolire la stessa base industriale americana, che – come proprio il programma F-35 insegna – poggia anche su indispensabili forniture estere, frutto di accordi pregressi.
Il colpo grosso della Divisione elettronica di Leonardo sta comunque a dimostrare che il treno tecnologico dell’F-35 non è perso nel tutto. In questa prospettiva, con tutto il rispetto, alcune recenti considerazioni del generale Mario Arpino (“…Misteriosamente, ancora oggi compaiono lobbistiche sollecitazioni, di origine non solo politica, a continuare con l’Eurofighter, snaturandone il concetto. Della serie ‘vogliamo continuare a far solo ciò che sappiamo già fare, perché ci costa di meno e ci fa guadagnare di più’. Concetto forse comodo, ma molto malato”), appaiono forse un po’ fuori tempo. “Certo ci vorrebbe un nuovo programma europeo per consentirci di proseguire sulla strada dell’innovazione e della competitività”, è il commento di Giulianini.
Il problema dello scambio di dati
Non si può arrivare a dire che alla cerimonia torinese l’F-35 fosse il “convitato di pietra” (solo tre giorni dopo alcuni esemplari dell’USAF hanno compiuto il primo rischieramento in Europa, volando fino in Estonia), ma confronti e paralleli erano sulla bocca di molti, con Leonardo impegnata nel JSF assai più “passivamente” che non nell’F-2000, e l’Aeronautica Militare che lo sta finalmente ricevendo (col contagocce, e in gran segreto) sulle sue basi.
Qualcuno fra i convenuti ha proposto questo scenario: il Typhoon come tipico caccia di quarta generazione-plus suscettibile di costanti – certo lunghi e dispendiosi – incrementi di capacità, e il Joint Strike Fighter con rivoluzionarie doti comunicative ma con – ancora per anni – prospettive di costo/efficacia troppo scadenti per i portafogli europei (in Norvegia assorbirà il 35% dei budget della Difesa fino al 2025), sono in qualche misura sovrapponibili.
In altre parole, tolte le intrinseche preziose capacità di fungere da mini-AWACS e mini-Joint STARS del secondo, per i compiti strike in condizioni stand-off e non, basterebbe il primo. Una tesi forse azzardata (o di parte, malignerà qualcuno) ma non priva di un fondo di verità: quella (non poca) quota di “sovrapponibilità” fra i due sistemi d’arma potrebbe portare ad assurdi sprechi e doppioni e alle deleterie classiche prassi – ideologiche prima che operative – tipiche delle coppie “separate in casa”.
Ci mancherebbe altro. Ci mancherebbe, per esempio, che il multiruolo e super-elettronico F-35 avesse bisogno – ma i rapporti del Pentagono dicono il contrario – se impiegato in teatri poco permissivi della protezione dei caccia (nei casi italiano e britannico degli Eurofighter) e/o dei velivoli da disturbo elettronico (ma la Navy americana ha già capito che al JSF dovrà mandar dietro l’EA-18G Growler col suo nuovo Next Generation Jammer). Ci mancherebbe che F-35 e Typhoon non potessero scambiarsi i dati più preziosi senza compromettere la Low Observability del primo.
La Royal Air Force britannica sta provando a scongiurare questo rischio introducendo una modifica nel data link MADL (Multifunction Advanced Data Link) dell’F-35B, una misura che in una recente campagna di test negli USA ha dimostrato di poter “tradurre” i dati in uscita dal MADL nel formato del Data Link 16 usato dagli Eurofighter e in generale da tutte le forze armate occidentali, sistema che finora non poteva trasmettere/ricevere certi dati sensibili al/dal Joint Strike Fighter.
Abbiamo chiesto ad Armaereo se anche i nostri F-35 ed Eurofighter potranno parlarsi in questo modo. Ecco la risposta: “Ad oggi non risultano iniziative poste all’attenzione della partnership (di Eurofighter; ndr) tese ad implementare tale sistema sul velivolo F-35; al momento attuale, quest’ultimo è già in grado di offrire, by design, un elevato livello di interoperabilità con gli altri sistemi d’arma attraverso i sistemi di bordo che consentono lo scambio di informazioni utili e importanti per l’esecuzione della propria missione, come dimostrato durante le attività propedeutiche alla dichiarazione della Initial Operational Capability di USMC e USAF, nonché nel corso della recente esercitazione “Red Flag 2017-01”. Non risulta, peraltro, che il suddetto dispositivo sia a oggi implementato nella configurazione dei velivoli Eurofighter delle Aeronautiche che hanno in servizio il suddetto aeromobile”.
Non è implementato, ma resta il fatto che i Britannici abbiano fatto un primo passo in quella direzione, noi no.
Due percorsi evolutivi diversi
Possibili sovrapposizioni – coi relativi aumenti di costo – e al tempo stesso paradossi tecnico/operativi almeno per ora appaiono però inevitabili, per lo meno nell’AM. Non entriamo nel discorso della prospettata “complementarietà” fra i due velivoli, interessante quanto si vuole ma – a quanto si avverte – non facile da tradurre in funzionalità concrete e soprattutto moltiplicatrici di capacità.
Né abbiano elementi sufficienti per bonificare il campo minatissimo delle sinergie che si dovranno stabilire fra la componente STOVL dell’Aeronautica e quella della Marina, con quest’ultima che non dovrà/potrà abdicare ai suoi peculiari requisiti operativi in nome di un’integrazione che comincerebbe a complicarsi già nella fase addestrativa.
A Torino i raffronti fra i due “campioni” erano insomma nell’aria. A livello di progetto, tanto per cominciare. Nell’F-2000 sistemi e sensori hanno ciascuno il proprio processore, che spedisce dati già filtrati al main computer. Per l’F-35 invece si è scelta una via più ardita: sensori e sistemi inviano i dati direttamente al computer centrale, che fa tutto. Anche se non ci sono conferme ufficiali, gli addetti ai lavori non escludono che per l’estrema difficoltà di implementare e rendere accettabilmente stabile una simile architettura di sistema, Lockheed Martin alla fine abbia scelto una specie di via di mezzo fra le due “filosofie”. Quello che è certo, osservano, è che rispetto al caccia europeo i costi di manutenzione della parte – semplifichiamo al massimo – “intelligente” del JSF risulteranno enormemente superiori.
I due aerei hanno storie comunque diverse, così come le strade evolutive imboccate: il caccia europeo sta vivendo una maturazione “incrementale”, quello americano sta lottando contro il tempo per imporre il suo primato, rischiando di rimanere sempre indietro. Ma a Caselle Sud c’era un “terzo incomodo”, l’addestratore avanzato M-346 nella nuova versione Fighter Attack col radar italiano Grifo 346, per la quale (ma si parla anche della variante scuola/attacco Fighter Trainer, senza radar) l’AM pare stia decidendo di andare assai più in là del “saremmo anche interessati” di prammatica. Nuova carne al fuoco, nuovi conti e piani da ipotizzare, avendo però sempre sul groppone il programma americano, “non negoziabile”.
Nel settore decisivo dei sensori asserviti all’armamento, con gli ultimi upgrade l’Eurofighter ha poco da invidiare al Joint Strike Fighter. Addirittura fa meglio nella designazione dei bersagli grazie a un pod esterno allo stato dell’arte come il Rafael Litening III, già montato da tempo su AMX e Tornado. Israele s’è accorta fin da subito dell’obsolescenza del sistema di targeting dell’F-35, e ora è pronta a equipaggiare i suoi F-35I “Adir” con qualcosa di meglio dell’EOTS (Electro-Optical Targeting System) montato sui 200 F-35 già consegnati (anche all’Italia).
L’EOTS nasce da specifiche di vent’anni fa, dunque non è, non può essere allo stato dell’arte: range, risoluzione delle immagini (che si degraderebbero in presenza di umidità) e apertura del campo visivo della telecamera all’infrarosso offrono prestazioni inferiori ai sistemi cui si accennava più sopra, che equipaggiano gli aerei che l’F-35 deve sostituire. Cose risapute e già scritte su queste colonne, ma ora dai più recenti rapporti del Pentagono emerge che l’EOTS obbliga il pilota ad avvicinarsi troppo all’obiettivo, vanificando così il fattore sorpresa di un attacco (soprattutto nel supporto aereo ravvicinato alle forze di terra).
Ma nessuno scandalo: anche il sensore all’infrarosso PIRATE del Typhoon è arrivato ai reparti già un po’ vecchiotto, mentre lo SkyGuard italiano, di una generazione successiva, lo surclassa ampiamente. Dell’EOTS dell’F-35 viene ora proposta una configurazione avanzata con prestazioni generali più confacenti alle necessità odierne e del futuro immediato. Il tutto grazie all’aggiunta di una nuova telecamera a onde medie, a una all’infrarosso a onde corte (TV SWIR, Short-Wave IR) per una maggiore risoluzione in condizioni ambientali differenti, a un nuovo IR marker.
A questo upgrade del sistema Lockheed sta lavorando già dal 2011, e ci si chiede perché ci voglia ancora tanto per renderlo disponibile, dato che stringi stringi altro non è (come abbiamo già osservato in un precedente articolo) che un più che mai indispensabile “svecchiamento” dell’attuale apparato attraverso migliorie hardware del tipo plug-in, che non richiedono l’alterazione delle sue geometrie interne.
Domanda retorica, perché si conosce bene il motivo di tanta attesa: per montare l’Advanced EOTS bisognerà aspettare che sia disponibile la versione del software che lo farà funzionare, il Block 4. E questo non accadrà prima del 2021, o anche più in là se – come si teme – i relativi fondi verranno in parte drenati da quelli supplementari richiesti alla fine del 2016 per la conclusione dello sviluppo del velivolo.
Sulla disponibilità del Block 4 nei tempi stabiliti nutre però grossi dubbi il Government Accountability Office statunitense, che in un rapporto del 17 aprile in pratica pone un preciso veto: l’Amministrazione non prenderà in considerazione lo stanziamento dei previsti 600 milioni di dollari necessari nel solo 2018 (così specifica il GAO) per lo sviluppo di questa evoluzione del sistema F-35 prima che sia terminato il lavoro sul software precedente, l’ormai “mitico” Block 3F, quello della “full combat capability”.
Lavoro di validazione e certificazione, dice il GAO, che sulla base dei test fin qui portati a termine (molti meno di quelli necessari) rischia di subire un nuovo ritardo di 12 mesi. Riassumendo: niente soldi per il Block 4 fino a quando il Block 3F avrà dimostrato tutte le funzionalità previste in sede contrattuale. Significativo e allarmante a questo riguardo un passaggio del rapporto di aprile: “Il problema è che il Pentagono non ha idea di cosa debba modernizzare sul F-35, perché non ha finito di sviluppare il progetto iniziale”.
Aggiornamenti “minimi”?
Quali saranno i riflessi sul fronte italiano per l’Aeronautica e la Marina? I primi 8-10 JSF in consegna alle nostre forze aeree hanno il software 3I. Dovrebbero ricevere il 3F nel maggio 2018, ma se il GAO ha ragione – e come al solito il Joint Program Office del JSF non gliel’ha data – si andrà al 2019 inoltrato. Riceveranno poi il Block 4 – ricordiamolo, con l’EOTS “aggiustato” – nel periodo 2021-23. Ma, ancora, se le analisi della Corte dei conti americana (il GAO) si dimostrassero corrette, si andrebbe alla metà del prossimo decennio.
Anche su questo abbiamo voluto sentire Armaereo: “Le capacità del velivolo al termine della fase di sviluppo SDD (System Development and Demonstration), saranno quelle previste da specifiche contrattuali relative al blocco di software 3F. Come dimostrato dai risultati della prima esercitazione “Red Flag” a cui ha partecipato l’F-35A dell’USAF, le capacità del velivolo non hanno eguali e i suoi sistemi rappresentano già oggi lo stato dell’arte, garantendo primato tecnologico e assoluta superiorità (…). L’aggiornamento del sistema d’arma F-35 sarà quindi dedicato principalmente all’introduzione di nuove capacità, non disponibili in passato, per adeguarlo alle necessità future e, solo in minima parte, all’aggiornamento di quelle esistenti e previste dal blocco di software 3F. La posizione di supremazia tecnologica raggiunta alla data odierna, quindi, andrà mantenuta attraverso l’implementazione di blocchi e sotto-blocchi incrementali di capacità. Il primo pacchetto capacitivo di prevista implementazione è il Block 4; esso si baserà su aggiornamenti software biennali ai quali si sovrapporranno, con cadenza quadriennale, degli aggiornamenti hardware. La lista finale delle capacità contenute nel Blocco 4 viene approvata congiuntamente dalle nazioni partner. Il contributo economico per l’implementazione è funzione del livello di partecipazione al Programma nella fase PSFD (Production, Sustainment and Follow-on Development). La somma che l’Italia dovrà contribuire è pari a poco meno del 3% della somma totale”.
Solo una osservazione. Oltre al sistema dei designazione dei bersagli EOTS, ci saranno varie altre cose a diversi gradi di obsolescenza sugli F-35 col software Block 3F. Siamo così sicuri che il Block 4 aggiornerà “solo in minima parte” le capacità di un aereo da combattimento le cui specifiche risalgono a più di vent’anni fa?
Un esempio per tutti. Il più volte citato EOTS è in grado di trovare un bersaglio in movimento e tracciarlo, ma deve lasciare al pilota il compito di calcolare dove si sposterà e di indirizzare al posto e al momento giusti le bombe a guida laser, avendo un marcatore laser non adeguato allo scopo/non allo stato dell’arte. Per battere bersagli mobili senza gravare sul carico di lavoro del pilota, al tempo della formulazione dei requisiti dell’F-35 si pensava di ricorrere al munizionamento cluster, cioè del tipo a saturazione d’area – colloquialmente, “dove colgo, colgo”.
Queste bombe furono però successivamente messe al bando da un trattato internazionale. A complicare le cose c’era anche il fatto che la cluster bomb in questione – la CBU-99/100 Rockeye II – doveva essere trasportata all’esterno sotto le semiali, compromettendo la stealthness dell’aeroplano.
L’Air Force americana ora ha trovato una soluzione, che a volerla chiamare col suo nome è un ripiego. Su un esemplare di F-35C dotato della release 3F del software, ha montato e provato un ordigno guidato “dual mode” (laser e satellitare GPS) Raytheon Enhanced Paveway II GBU-49 opportunamente modificato con l’aggiunta di un misuratore inerziale delle accelerazioni. Ha poi associato questa bomba super-dotata a un EOTS dotato di una nuova logica aggiuntiva, detta Lead Point Computer, che ha il compito di ritardare lo sgancio della bomba per darle modo coi suoi cinematismi di agguantare il fuggitivo. Una simile soluzione non è però prevista dal programma nella configurazione finale 3F degli F-35 attualmente in consegna con la precedente 3I; e il Pentagono ha già fatto sapere che i test che dovranno validare l’efficacia della soluzione/ripiego non dovranno intralciare le attività sperimentali tese a rendere disponibile fra un anno la capacità “full combat” con il software 3F – per la quale come s’è detto il GAO prevede però tempi più lunghi.
Non una, ma due linee multiruolo
Tutto questo ha risvolti assolutamente paradossali. Riassumendo, primo: i sistemi di puntamento del JSF e le armi a questi associate che erano previsti nel momento in cui questi aerei con il software 3F avrebbero potuto/dovuto definirsi “full capable”, più efficaci secondo la vulgata americana dei caccia che devono sostituire, non permettono di fare qualcosa – colpire bersagli in veloce spostamento – che da molti anni rappresenta “il pane” di ogni aereo da attacco che si rispetti. Un pane che manca alle decine di F-35A e F-35B STOVL che Washington ha mandato in Europa e nel Pacifico a mostrare bandiera.
Secondo: se la bomba guidata “miracolosa” per l’F-35 sarà impiegabile solo fra uno-due anni, gli Eurofighter, anche quelli italiani, ne hanno una simile (la GBU-48, da 1.000 libbre) già in dotazione da tempo. Per la cronaca, questo tipo d’arma fu collaudato sul caccia europeo nel lontano 2008 proprio dall’Italia allorché l’allora Alenia Aeronautica lo sperimentò a Decimomannu su un proprio prototipo strumentato del Typhoon. Ma nove anni fa (come del resto ancora oggi) erano tutti lì a strillare che l’Eurofighter era nato come caccia da difesa aerea ed era sacrosanto che facesse solo quello, guai a trasformarlo in qualcos’altro! Peccato che non sia così: il Typhoon, fu spiegato a chi scrive una quindicina di anni fa dal massimo dirigente del consorzio industriale allora in carica, aveva già nel suo Dna le caratteristiche tipiche del multiruolo. Punto.
Sul Typhoon le capacità nell’attacco (in parallelo con quelle nell’aria-aria) saranno ancora accresciute con i previsti nuovi aggiornamenti P3E e P4E, il primo ormai disponibile per il retrofit e il secondo in fase di sviluppo dopo la firma, anche da parte dell’Italia, del relativo contratto. Ci contano molto i Britannici, che da tempo hanno ufficializzato la “migrazione” della massima parte delle funzioni dei loro Tornado sull’Eurofighter.
Un approccio forse un po’ meno “estremista” ma pur sempre analogo nelle sue implicazioni operative si è consolidato anche in seno all’Aeronautica Milìtare, che ha stabilito come d’ora in poi tutti i Gruppi di volo che hanno in linea l’F-2000 (quattro, in prospettiva cinque), saranno Gruppi multiruolo – non fosse altro per non dover considerare buttati dalla finestra le centinaia di milioni di euro spesi anche dal nostro Paese per dotare a mano a mano questo caccia di capacità sempre più multirole-swingrole sempre più allo stato dell’arte.
Da questo punto di vista la cerimonia di Torino non ha fatto altro che confermare premesse consolidate da fatti e risultati. Il settore avionìca e sistemi di Leonardo continua a rappresentare un partner-chiave del programma proprio là dove latita nel concorrente che ha in casa, il Joint Strike Fighter. Vedremo se il Sistema Paese – Governi in testa – saprà resistere agli inviti/pesanti richiami da Oltre Oceano per una maggiore diffusione fra gli alleati più fedeli di quote sempre maggiori di prodotti aeronautici militari statunitensi – un “Buy American” funzionale a una futuribile grande Joint Force interalleata che servirebbe poi, guarda caso, anche a ridurre i costi dei procurement del Pentagono.
Nel frattempo sono 300 i lavoratori degli stabilimenti torinesi della Divisione Velivoli distaccati nella FACO di Cameri. La grande camera anecoica e il vasto, moderno parco-simulatori di Caselle Sud sono sotto-occupati: il lavoro grosso lo stanno facendo gli analoghi impianti realizzati sulla base novarese con/per gli Americani per il caccia americano. L’Aeronautica Militare riceverà gli ultimi 11 Typhoon da qui al 2019 (9 monoposto e due biposto), ma per fortuna c’è la commessa per il Kuwait, che si esaurirà solo nel 2023. Si parla di un fornitura al Belgio: l’offerta industriale è stata presentata, c’è qualche speranza (Bruxelles non ha messo fra i requisiti per il sostituto dei suoi F-16 il trasporto della bomba nucleare, che l’F-35 può sganciare e l’Eurofighter no).
Congedando chi scrive dopo una breve chiacchierata, il CEO di Eurofighter Volker Paltzo ha detto “incrociamo le dita. Inshallah”. Leonardo in cuor suo spera che dietro ci siano intenzioni più convinte. Si spera ancora di piazzare dei Typhoon alla Svizzera e alla Finlandia: nuovi clienti aiuterebbero a dar vita a nuove capacità incrementali (Paltzo ha accennato a possibili P5E e P6E).
Intanto le forze aeree italiane si avviano a disporre non di una, ma di due diverse (diversissime) linee da combattimento multiruolo. Un lusso che nemmeno altri Paesi NATO più ricchi (e avveduti) del nostro si possono permettere. Una vera pazzia.
Foto: AM, RAF, Lockheed Martin e The Aviationist
Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli
Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.