Se la Nato assomiglia un po’ alla Ue

Siria, Iraq, Libia, Afghanistan e lotta al terrorismo. La Nato è pronta a varare o rinnovare il suo impegno nelle sfide che coinvolgono l’Occidente ma senza inviare truppe da combattimento sotto le sue bandiere.

“Non c’è stata alcuna richiesta perché la Nato abbia alcun ruolo di combattimento nella coalizione anti-Isis”, quindi è “totalmente fuori discussione che la Nato possa impegnarsi in operazioni combat” aveva puntualizzato mercoledì il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, aggiungendo che “in Afghanistan abbiamo avuto un ruolo di combattimento, ma ora facciamo addestramento e consulenza”.

Anche sul fronte siriano, dove le forze speciali anglo-americane sono sempre più coinvolte nel supporto a milizie arabe e curde anti-Isis Stoltenberg ha precisato che “si discute di addestramento e supporto alle forze locali”, come in Afghanistan e Iraq.

L’adesione della NATO alla Coalizione anti Isis guidata da Washington vedrebbe il contributo dell’Alleanza limitato a consulenza alle forze di Baghdd e intelligence posto alle dirette dipendenze del comando USA, a conferma del ruolo nettamente subalterno che gli Stati Uniti oggi attribuiscono all’Alleanza Atlantica e ai partner europei.

Anche in Libia l’Alleanza Atlantica è pronta a fornire supporto e addestramento al governo riconosciuto di Fayez al-Sarraj, che ha chiesto aiuto ma non ha un vero esercito né controlla porzioni significative del territorio,

Valutazioni che ben sintetizzano le riserve di molti Stati membri dell’Alleanza Atlantica a farsi coinvolgere in operazioni belliche dagli obiettivi maldefiniti e dalle prospettive incerte. In Iraq e Siria il ruolo della Coalizione a guida statunitense è già abbastanza ambiguo senza bisogno di coinvolgere la Nato sul campo di battaglia mentre in Afghanistan, dopo il ritiro delle forze da combattimento alleate dell’Isaf (International Security Assistance Force) tra il 2011 e il 2014, i talebani hanno riguadagnato terreno e oggi controllano almeno la metà del territorio nazionale.

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Washington ha già reso noto che incrementerà di 3/5mila uomini (la decisione verrà presa entro due settimane) le sue forze a Kabul e Stoltenberg ha già preannunciato che alla Nato verrà chiesto un ulteriore contributo di truppe ma solo per assicurare consiglieri militari e istruttori per potenziare l’addestramento delle truppe di Kabul.

In ogni caso, dopo che la guerra afghana ha provocato dal 2001 poco più 3.500 caduti occidentali, per i due terzi statunitensi, nessun membro europeo della Nato sembra entusiasta di dover tornare a inviare forze da combattimento nel paese asiatico per liberare territori che erano già stati espugnati ai talebani a caro prezzo negli anni scorsi.

Né la Casa Bianca sembra pretendere un ruolo bellico della Nato, almeno per ora, forse perché Donald Trump non ha mai nascosto il suo scetticismo nei confronti di un’Europa che considera ostile quando parla di Ue o composta da “scrocconi” quando si riferisce all’Alleanza Atlantica i cui membri del Vecchio Continente pagano troppo poco per avere in cambio la protezione degli USA.

Benchè abbia recentemente corretto la sua linea, sostenendo che la Nato non è più “obsoleta” ma ”utile“, Trump e gli uomini chiave della sua Amministrazione hanno ribadito in queste ultime settimane che gli europei devono pagare di più in termini di bilanci della Difesa.

Almeno il 2 per cento del Pil, percentuale raggiunta solo da 5 dei 28 partner (‘Italia è appena all’1 per cento) ma che il presidente americano ha definito comunque insufficiente.

La richiesta di deciso incremento delle spese militari è stata più volte formulata anche da Barack Obama pur se con minore incisività rispetto all’attuale inquilino della Casa Bianca che a Bruxelles ha dettato le linee guida dell’Alleanza.

“La Nato del futuro dovrà avere un grande focus sul terrorismo e l’immigrazione, come pure sulle minacce dalla Russia e ai confini orientali e meridionali dell’Alleanza”. Un focus per così dire generico, che strizza l’occhio alle paure dei partner orientali (i più “filo-americani” della Nato) intimoriti da Mosca ma non dimentica l’esigenza dell’Italia e degli alleati del Sud Europa di fronteggiare terrorismo islamico e immigrazione.

La Nato aveva del resto già annunciato l’istituzione presso Il Joint Forces Command di Napoli di un “hub” per raccogliere e coordinare l’intelligence contro il terrorismo islamico.

“Ci sono migliaia e migliaia di persone che si riversano nei nostri vari Paesi, andando in giro e in molti casi non abbiamo idea di chi siano. Dobbiamo essere duri, dobbiamo essere forti e dobbiamo essere vigili”, ha detto Trump anche se è difficile immaginare che flotte della Nato effettuino quei respingimenti degli immigrati illegali che finora non hanno effettuato le flotte italiane ed europee.

Meno vago, come abbiamo detto, il “diktat” sul fronte finanziario in cui Trump ha dichiarato che se tutti pagassero il 2% del PIL avremmo 119 miliardi in più per la Difesa.

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Una cifra che porterebbe la spesa militare complessiva de Paesi della Nato verso i mille miliardi di dollari (contro i circa 840 del 2016 ottenuti dagli analisti di IHS Markit sommando i 622 del bilancio USA e i 219 degli europei) che appare enorme se raffrontata ai 50 miliardi spesi da Mosca e i 193 da Pechino.

Difficile che gli europei si adeguino in tempi rapidi alle pressioni USA ma le dichiarazioni di ieri costituiscono un’ulteriore conferma che Trump vede l’Alleanza Atlantica come una sorta di bancomat per far pagare cara agli europei la “protezione” offerta dagli USA riducendo così l’esborso del Pentagono e lasciando al tempo stesso le mani libere a Washington per muoversi con la massima autonomia su scala globale.

Del resto una NATO che spende di più ma si sottrae agli impegni bellici rischia di assomigliare nei compiti allo strumento militare della Ue che oggi dispiega circa 5mila uomini in missioni di pura consulenza, osservazione e addestramento (per lo più in Africa) limitandosi così a costituire un’appendice dell’apparato militare degli Stati Uniti, elemento che rafforzerebbe la percezione dell’irrilevanza strategica dell’Europa.

Infine appare chiaro che nelle valutazione statunitensi le maggiori spese militare europee finirebbero in buona parte per finanziare l’acquisto di equipaggiamenti “made in USA” come i cacciabombardieri F-35 potenziando l’egemonia dell’industria a stelle strisce e riducendo i costi degli stessi mezzi acquisiti dal Pentagono.

(con fonte Il Mattino/Il Messaggero)

Foto: AP, Reuters e Youtube

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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