La Mitteleuropa unisce gli eserciti contro i migranti illegali
da Il Mattino del 21 luglio (titolo originale “I Paesi dell’Est si fanno l’esercito contro i migranti”)
Sarebbe un errore liquidare come semplici dichiarazioni populiste le “raccomandazioni” all’Italia formulate ieri da Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia che hanno chiesto a Roma di “chiudere i porti per arginare i flussi migratori nel Mediterraneo”.
Anche perché dalle parole il Gruppo di Visegrad insieme ad Austria, Slovenia e Croazia, si appresta a passare ai fatti.
Il mese scorso i ministri della difesa di Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria si sono riuniti a Praga, nell’ambito della “Central European Defence Cooperation” (CEDC), a discutere di “gestione dell’immigrazione illegale di massa, con particolare attenzione alla rotta balcanica”.
I sei, che hanno già messo a punto disposizioni ed esercitazioni congiunte delle forze armate e di polizia per fronteggiare insieme nuovi flussi migratori illegali su vasta scala, hanno approvato un piano militare che si attiverà nel caso di emergenza mobilitando gli eserciti congiunti per bloccare i migranti alle frontiere.
Un piano nato per fermare nuovi flussi dai Balcani, qualora le intese tra Ue e Turchia dovessero venir meno, ma che potrebbe venire applicato anche a ovest, lungo i confini con l’Italia.
Il documento della CEDC, basato “sui valori dell’Ue e sul rispetto del diritto internazionale, sancisce la nascita della prima struttura militare multinazionale istituita per contrastare “invasioni” di migranti e del resto una nota del ministero della Difesa ungherese ha fatto seguito al vertice di Praga facendo sapere che “l’Europa centrale si schiera unita contro l’immigrazione illegale di massa”.
Anche alla luce di queste valutazioni il governo italiano, che nei giorni scorsi ha risposto alle minacce di Vienna circa la difesa della frontiera del Brennero attribuendole alla campagna elettorale austriaca, farebbe meglio a non sottovalutare i partner dell’Europa centro orientale che rifiutano di accogliere migranti illegali e persino i ricollocamenti previsti dalla Ue che riguardano solo le nazionalità a cui Bruxelles riconosce il diritto all’asilo, cioè siriani e in parte iracheni ed eritrei (presenze marginali tra quanti giungono in Italia per lo più da Africa Occidentale e Bangladesh).
A metà giugno la Commissione europea ha avviato le procedure di infrazione contro Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca per i mancati ricollocamenti dei profughi da Italia e Grecia. Varsavia non ha accolto nessuno dei 6.182 migranti previsti, Praga ne ha accolti solo 12 su 2.691 e l’Ungheria nessuno dei 1.294 assegnati. Nessuna sanzione, per ora a Croazia, Slovenia e Slovacchia che ne hanno accettati meno di 300, per i due terzi accolti in Slovenia.
Va detto però che in tutta la Ue i ricollocamenti procedono a rilento, per usare un eufemismo (appena 20 mila su 160 mila previsti) e la stessa Commissione raccomanda gli Stati membri di accelerare le espulsioni nei paesi di origine o di transito dei migranti illegali che non hanno diritto allo status di rifugiati, stimati in oltre un milione tra quelli arrivati negli ultimi anni.
Il documento indirizzato all’Italia evidenzia la determinazione dei paesi dell’Europa Centro-Orientale osteggia apertamente la debole e confusa politica di Bruxelles, contrapponendole un’iniziativa ben definita nei confronti di immigrazione, sicurezza e minaccia terroristica.
Elementi che i governi europei occidentali tengono accuratamente separati mentre il Gruppo di Visegrad li ha sempre accomunati in base al semplice e difficilmente confutabile principio che i flussi di migranti islamici vanno contrastati perché illegali ma anche per non compromettere l’identità culturale dell’Europa e per evitare che nelle comunità islamiche possano annidarsi estremisti e terroristi.
Concetti espressi in diverse occasioni dai leader polacchi, slovacchi e cechi.
Orban rivendica il diritto a non riempire l’Ungheria di immigrati islamici come hanno fatto Germania, Francia e altri membri della Ue. Dopo aver completato nel marzo scorso il secondo sbarramento ai confini serbi ha affermato che “se dovesse saltare l’accordo con la Turchia le barriere costruite solo con soldi ungheresi, ci permetteranno di bloccare un’eventuale nuova ondata migratoria” proteggendo così anche Austria e Germania. “Penso che sia un nostro diritto decidere di non volere un elevato numero di musulmani nel nostro Paese”.
Circa immigrazione e terrorismo per la premier polacca Beata Szydło “bisogna dire chiaramente che questo è un attacco all’Europa, alla nostra cultura, alle nostre tradizioni”.
Il ministro degli esteri ceco, Lubomír Zaorálek, dopo aver invitato la Ue a occuparsi più dei cittadini europei in povertà che dei migranti illegali, ha ricordato che “la gente che sta arrivando non ha alcun interesse reale a integrarsi” sottolineando che i Paesi dell’Europa centrale e orientale non vogliono “ripetere l’errore commesso dai Paesi occidentali” rilevando che “non ci sono attentatori suicidi tra gli ucraini e i vietnamiti”, comunità non islamiche presenti e integrate nella Repubblica Ceca.
Espressioni ritenute “politicamente scorrette” a Bruxelles, Berlino, Parigi e Roma ma non a Bratislava dove il premier Robert Fico afferma senza mezzi termini che “non assisteremo a questa follia con le braccia spalancate accettando tutti, indipendentemente dal fatto che siano immigrati economici o no. Dobbiamo cominciare a dire la verità sui flussi migratori.
Non voglio vedere una comunità musulmana in Slovacchia. Non voglio che ci siano diverse decine di migliaia di musulmani che promuovono la loro ideologia. Non vogliamo cambiare le tradizioni di questo Paese, che sono costruite sulla tradizione cristiana”.
Nel 2015, in piena emergenza per i flussi migratori dalla “rotta balcanica” la Slovacchia si rese disponibile ad accogliere 200 siriani ma solo di religione cristiana con la giustificazione che nel Paese non vi sono moschee ed eventuali profughi musulmani si sarebbero trovati a disagio.
Posizioni difficilmente liquidabili come semplici “populismi” specie tenendo conto che stanno mietendo consensi sempre più evidenti presso le opinioni pubbliche anche in Europa Occidentale condizionandone i governi, come dimostra il “muro” eretto al vertice di Tallinn intornio alla pretesa italiana di decentrare gli sbarchi dei migranti illegali dalla Libia anche in porti di altri Stati dell’Unione.
Il documento inviato da Orban a Paolo Gentiloni esprime quindi la preoccupazione che dall’Italia possano penetrare in Mitteleuropa quei flussi migratori che il Gruppo di Visegrad e altri Paesi di quella regione si sono preparati a fermare se la Turchia dovesse riaprire la rotta balcanica.
Ipotesi da non escludere considerata l’aggressiva politica anti Ue di Recep Tayyp Erdogan e il riacceso braccio di ferro tra Ankara e Berlino anche se il Commissario europeo per la politica di vicinato e i negoziati per l’allargamento (si chiama così), l’austriaco Johannes Hahn, si è detto fiducioso circa le capacità europee di scongiurare flussi come quelli di due anni or sono.
“Nel 2015 avevamo una situazione in cui i migranti arrivavano incontrollati nell’Ue. Ora la situazione è molto diversa ed è diminuito molto il rischio che decine di migliaia di rifugiati si riversino in Europa, se Ankara dovesse aprire le frontiere”. Un ottimismo forse eccessivo.
Foto EPA
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.