Ultimo atto a Raqqa, mistero sulla fuga dei foreign fighters
Il comando delle Forze Democratiche Siriane, le milizie curdo-arabe sostenute dagli Stati Uniti, valuta che la caduta di Raqqa, la “capitale“ del Califfato, potrebbe essere questione di pochi giorni. Alcune centinaia di combattenti dell’Isis combattono con tenacia nel 15% dell’area urbana che ancora controllano e che viene martellata dai jet della Coalizione. Venerdì oltre un centinaio di miliziani si è arreso, segnale che qualcuno interpreta come possibile indizio di un più ampio sintomo di cedimento.
“Siamo ora nella fase finale della battaglia”, ha detto la portavoce Jihan Sheikh Ahmed, a conferma che l’alleanza ha sferrato le operazioni per riprendere le ultime sacche della città ancora in mano ai jihadisti dove si calcola che siano quasi 1.500 le persone ancora intrappolate, rinchiuse per lo più nell’ospedale e nello stadio. L’Isis difende le ultime posizioni con cecchini e occasionali bombardamenti con mortai e avrà quasi certamente minato la zona.
Una difesa tenace quella del Califfato ma indebolita dalla fuga concordata di almeno 275 jihadisti e delle loro famiglie che hanno accettato di essere evacuati in base ad un accordo raggiunto a livello locale. Secondo alcune fonti, l’accordo avrebbe permesso anche la fuga di foreign fighters provenienti da Nordafrica ed Europa.
L’Isis tende infatti da sempre a sottrarre alle battaglie in cui la sconfitta è certa buona parte dei suoi combattenti stranieri, “foreign fighters” definiti semplicemente “mercenari” dalle truppe irachene, siriane e curde che li combattono.
Diversi servizi di sicurezza hanno rivelato che in molti casi l’Isis cerca di sottrarre i suoi combattenti stranieri alla cattura lasciando a difesa dei centri urbani come Mosul, Hawjia e Raqqa i miliziani autoctoni, siriani e iracheni che hanno aderito al Califfato.
I “mercenari” jihadisti raramente vengono fatti prigionieri e dopo interrogatori non certo morbidi hanno subito in molti casi esecuzioni sommarie, inoltre i combattenti stranieri possono rientrare nei Paesi d’origine e dare vita a nuove jihad o effettuare azioni terroristiche.
“Una parte degli stranieri è partita” ha confermato Omar Alloush, membro anziano del Consiglio civile di Raqqa (un organismo creato di recente da FDS per amministrare la città liberata) insieme alle loro famiglie confermando che tra essi vi sono foreign fighters fatti sfollare, anche loro con le famiglie, a bordo di decine di autobus arrivati nella notte dalle campagne del nord, come ha reso noto l’Osservatorio per i diritti umani.
Un accordo teso ufficialmente a evitare ulteriori vittime fra i civili e ad agevolare e velocizzare la caduta di Raqqa ma che suscita non poche perplessità.
Versione opposta è stata diffusa dal portavoce delle SDF, Talal Sello, secondo il quale hanno lascito la città solo 3.000 civili “diretti verso aree controllate dalle Forze democratiche siriane” ma nessun foreign fighter.
Sello ha aggiunto che adesso la città è “totalmente libera da civili” con l’eccezione delle famiglie dei combattenti Isis precisando che in città sono rimasti “solo 250 o 300 foreign fighters che hanno rifiutato l’accordo e affermato che resteranno fino alla fine, insieme ad alcuni elementi delle loro famiglie”.
In precedenza il Consiglio municipale, che insieme ai capi tribali ha negoziato l’accordo, aveva fatto sapere che “tra i miliziani dell’Isis, solo i combattenti locali sono usciti da Raqqa ma non è stata finora resa nota la loro destinazione. Coloro che si sono arresi sono siriani, mentre gli altri non sono stati graziati”.
Difficile quindi chiarire cosa sta accadendo anche a causa dell’assenza di osservatori neutrali e in passato anche le forze siriane del regime di Assad avevano concesso a miliziani del Califfato e dei qaedisti del Fronte al-Nusra di evacuare città assediate raggiungendo altre aree in mano alle rispettive milizie.
Accordi non disinteressati perché il rituro dei miliziani accelera la vittoria e in qualche caso ha permesso di inviarli dive potevano “fare comodo”. Non a caso intorno ad Hama l’Isis sta combattendo contro al-Nusra in una battaglia non nuova tra jihadisti.
Come hanno riportato fonti diverse, incluso l’Ondus (l’ong vicina ai ribelli moderati che ha denunciato quasi mille civili uccisi in tre mesi a Raqqa dai raid aerei americani) le forze speciali statunitensi hanno evacuato dai dintorni di Deir Ezzor combattenti dell’Isis con le loro famiglie, probabilmente informatori che Washington non voleva venissero catturati o uccisi da russi e siriani o forse combattenti che gli Usa considerano preziosi per contrastare l’avanzata verso est delle truppe di Bashar Assad con i loro alleati russi e iraniani.
Già durante la battaglia di Mosul la Coalizione ha lasciato una via di fuga ai miliziani dell’Isis che conduceva direttamente in Siria, dove avrebbero affrontato i governativi siriani considerati ostili da Washington, un corridoio chiuso solo dalle milizie scite filoiraniane alleate di Mosca e Damasco.
Secondo l’agenzia di stampa di Stato siriana SANA, ripresa dalla cinese Nuova Cina, dozzine di combattenti dell’Isis sono stati evacuati dalle SDF per trasferirli sul fronte di Deir Ezzor per contrastare le truppe siriane e russe. In quell’area le stesse SDF sembrano affiancare alle forze del Califfato senza conflittualità tra le due compagini che invece si affrontano in armi a Raqqa.
L’obiettivo sarebbe quindi portare i combattenti dell’Isis a Deir Ezzor per farli combattere contro russi e truppe governative siriane. SANA aggiunge che da due giorni i jet della Coalizione hanno sospeso i raid su Raqqa per favorire l’accordo di trasferimento dei miliziani del Califfato ricordando che intese simili erano già state raggiunte nelle battaglie di Tabqa, Mansura e Karama.
Nei giorni scorsi Mosca ha denunciato un attacco di 400 miliziani dell’Isis che hanno manovrato liberamente in un’rea sotto il controllo delle truppe USA e delle SDF condotto nel settore di Deir Ezzor contro i consiglieri militari russi che affiancano le truppe di Assad.
Il rientro dei foreign fighters in Europa (da dove sono partiti in oltre 5mila per aderire al jihad di Abu Bakr al-Baghdadi) risulta del resto facilitato dalla scarsa repressone del fenomeno. Si stima che oltre 1.500 foreign fighters siano già rientrati ma quelli incarcerati sono pochissimi e la stessa Ue, come ha dichiarato l’anno scorso il coordinatore antiterrorismo Gilles de Kerchoeve, prevede di reintegrarli nella società.
Un approccio morbido che potrebbe attirare in Europa anche foreign fighters provenienti dai paesi del Maghreb che hanno offerto circa 10 mila combattenti all’Isis (dei quali ben 6mila tunisini) e che rappresentano l’area in cui il Califfato sconfitto in Medio Oriente cerca di riorganizzarsi.
Specie in Libia dive il capo dello Stato Islamico già designato come erede di al-Baghdadi (che non è certo sia sopravvissuto ai raid russi su Raqqa di fine maggio) è proprio un foreign fighter tunisino con passaporto francese, Mohamed Ben Salem Al-Ayouni, nome di battaglia Jalaluddin al-Tunisi.
“Se dei jihadisti moriranno in questi combattimenti, dirò tanto meglio, e se cadono nelle mani delle forze siriane, dipenderanno dalla giurisdizione siriana” ha detto il ministro della Difesa francese, Florence Parly, parlando dell’accordo con le FDS con i jihadisti presenti a Raqqa.
“Noi possiamo proseguire i combattimenti per neutralizzare il massimo dei jihadisti” ha detto il ministro sottolineando come Raqqa rappresenti “un luogo molto simbolico, dal momento che è da lì che sono partiti gli ordini riguardanti il massacro al Bataclan ed allo Stade de France”, il 13 novembre del 2015.
L’esodo dei miliziani dai fronti siriano e iracheno desta preoccupazioni anche in Italia specie a causa del fenomeno degli “sbarchi fantasma” con piccole barche da pesca che sfuggono ai controlli e sbarcano sulle coste siciliane tunisini determinati a far perdere le proprie tracce.
La rotta tunisina e quella parallela che dall’Algeria conduce direttamente in Sardegna sono perfettamente idonee a trasportare in sicurezza criminali e terroristi. Un binomio che non dovrebbe sorprendere dopo i tanti casi di terroristi divenuti tali dopo trascorsi nella criminalità comune e perché i servizi di sicurezza europei attivi nel Sahel hanno sempre evidenziato come i traffici illeciti siano gestiti dalle stesse organizzazioni criminali e al tempo stesso jihadiste: sigle legate ad al-Qaeda nel Maghreb islamico e più recentemente allo Stato Islamico.
Da più parti si evidenzia il rischio che tra i 1400 tunisini sbarcati in Italia solo in settembre vi siano molti dei criminali liberati dai recenti indulti e del resto Tunisi ha sempre affrontato il sovraffollamento delle carceri con provvedimenti simili cui hanno fatto seguito esodi versi l’Italia, dove “ospitiamo” in galera oltre il 67% dei criminali tunisini incarcerati in patria e all’estero.
Tra i 24 mila tunisini sbarcati in Italia nel 2011 quasi la metà erano galeotti fuggiti di prigione in seguito alla “rivolta dei gelsomini” ma anche sul fronte della lotta an terrorismo Tunisi appare reticente e poco disposta a controllare i suoi foreign fighters. Un anno or sono il governo nordafricano stimava ne fossero rientrati 800 valutando impossibile incarcerarli tutti.
Foto: Ansa, Askanews, AFP/Getty Image e DPA
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.