Un premier con gli alamari?
Non ha provocato sorpresa l’assunzione della veste di leader di uno schieramento di sinistra da parte di Pietro Grasso. Nella confusione istituzionale del tempo corrente, il ruolo di guida militante di alcuni ex-magistrati è ormai considerato una componente scontata dello scenario politico. Una quasi analoga assuefazione ha sostanzialmente connotato i commenti alla notizia che Silvo Berlusconi vorrebbe quale prossimo premier il generale Leonardo Gallitelli, già Comandante dell’Arma dei Carabinieri.
Eppure, in questo secondo caso sarebbero state auspicabili valutazioni meno sbrigative e superficiali di quelle che il proposito ha suscitato, che hanno eluso le pur rilevantissime implicazioni giuridiche, storiche e anche di costume che il governo del Paese da parte di un alto ufficiale della Benemerita, ancorché in quiescenza, comporterebbe.
Intendiamoci. Berlusconi ha sicuramente, ancora una volta, inteso esprimere un attestato di stima all’Arma che, pur con qualche inattesa, recente ammaccatura, rimane fortemente benvoluta dagli Italiani. Del resto l’uomo di marketing, quando lo vuole, sa scegliere il meglio in termini di immagine cui, nel caso specifico, si accompagnano peraltro anche carisma, autorevolezza e capacità.
Non sono in discussione le qualità che sono riconosciute alla persona, ma l’ipotesi prospettata non è espressione di cultura istituzionale. Se si osserva la storia, si può cogliere come Vittorio Emanuele I di Savoia, quando due secoli addietro istituisce il Corpo dei Carabinieri Reali, concretizzi una soluzione di particolare significato che giunge intonsa fino ad oggi: affida ai carabinieri la difesa e la tutela della Corona ed allo stesso tempo la protezione delle popolazioni dal crimine. E’ il sovrano che si preoccupa della sicurezza dei sudditi.
E se essi sono più sicuri, tale è anche il regno. Si tratta di una collocazione originale, vicini al Re ed accanto alla gente, che i Carabinieri mantengono lungo tutta la loro vicenda storica, anche quando la monarchia sabauda soccombe a fronte della scelta repubblicana.
I Carabinieri sono in sostanza investiti fin dalla loro fondazione di una missione metapolitica che, anche nei frangenti più travagliati e tormentati, ne rende l’impiego diffusamente accettabile, in quanto largamente avvertito come espressione di un indirizzo istituzionale e non come rappresentanza di una maggioranza o di una fazione.
Con questo non si vuole affermare che i carabinieri siano meglio della politica. Sono, o forse dovrebbero essere, semplicemente altro. Fuori dai blog e dai salotti televisivi, ambienti invero oggi un po’ troppo affollati, gli Italiani li apprezzano, esprimendo anche ammirazione per il loro impegno e sacrificio, quando sono presenti nei centri urbani e sul territorio, quando fronteggiano il crimine, quando portano a termine operazioni complesse e/o rischiose. Sono un patrimonio di tutti e per tutti: una caratteristica che si vorrebbe mai fosse appannata.
Qualcuno potrà obiettare che già si sono visti carabinieri eletti al Parlamento od alle cariche amministrative. Ma ben diverso è il contributo che un militare, anche di alto rango, può assicurare al dibattito nelle Commissioni Difesa o alla gestione di una municipalità, rispetto all’assunzione di una responsabilità diretta in un esecutivo politico.
Gli stessi generale Domenico Corcione e ammiraglio Giampaolo Di Paola, che pure hanno ricoperto la carica di Ministro della Difesa in governi della Repubblica, erano tecnici in compagini inequivocabilmente tecniche: una situazione ben diversa anche da quella di qualsiasi titolare, ancorché nominalmente indipendente, di un singolo dicastero nell’ambito di un governo politico come quello che è presumibile scaturisca dalle prossime elezioni.
E’ infine opportuno considerare un ultimo, non marginale argomento. In una forma di governo evoluta i vertici degli apparati di sicurezza non vanno ad assumere alti incarichi politici come accade invece di frequente nelle giovani repubbliche ex-socialiste. Nonostante le nostre difficoltà e gli acciacchi dell’Occidente, chi ha dimestichezza con la democrazia preferisce ancora ispirarsi al di là della Manica, piuttosto che a Levante.
Foto AGI e La Presse
Carlo CorbinelliVedi tutti gli articoli
Nato a Tavarnelle Val di Pesa (FI) nel 1955, è laureato in Scienze Politiche presso la Facoltà "Cesare Alfieri" dell'Università di Firenze ed in Scienze della Sicurezza presso l'Ateneo di Tor Vergata. Ha conseguito vari diplomi post-universitari nel campo delle relazioni internazionali e della tecnica legislativa. Ha prestato per 36 anni servizio quale ufficiale dei Carabinieri, con incarichi in Italia e all'estero in tutti i settori di competenza dell'Arma. Da Colonnello ha retto la Segreteria del Sottosegretario alla Difesa, Il Comando Provinciale di Perugia ed il 2° Reggimento Allievi Marescialli di Firenze. Nella riserva dal marzo 2015, svolge attività di consulente in qualità di esperto di "Security". Collabora con il Centro di Studi Strategici Internazionali ed Imprenditoriali dell'Università di Firenze.