Tsunami geopolitici

Il 2017 ci ha lasciato preannunciando un 2018 colmo di inquietanti incognite ed un futuro che va delineandosi con una intensità conflittuale più rischiosa rispetto al passato. Criticità che Papa Francesco ha ben abbozzato, affermando che “Siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli” (agosto 2014).  Tale guerra – ben lungi dalla conclusione – si sta combattendo tuttora, rappresentando nelle sue linee essenziali un disegno strategico globale, complesso ed intricato, di una nuova Yalta.

Il bozzetto di questo “nuovo ordine mondiale” è stato già tracciato da George Friedman nel febbraio 2015 in un suo intervento presso il Chicago Council on Global Affairs, durante il quale ha espresso con estrema franchezza la sua opinione in merito alla strategia che gli USA dovrebbero attuare nel prossimo futuro se vorranno continuare a mantenere il predominio mondiale. (cfr. “Un’Europa allo sbando in balìa di nemici e (ex) alleati” – Analisi Difesa – 2 dicembre 2015).

Il primo scenario disegnato da Friedman, che prevedeva la dissoluzione dell’UE (Unione Europea) – considerata solo un “ammasso di Stati, ciascuno con proprie caratteristiche, proprie ambizioni, propri differenti interessi nazionali divergenti” –  è stato già avviato con la Brexit nel giugno del 2016. Poi è continuato con l’elezione di Emmanuel Macron nel maggio 2017 e con la secessione della Catalogna nel settembre 2017.

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Sia la Brexit sia la Catalogna sono stati oggetto di una convergenza di interessi statunitensi e – secondo recenti notizie stampa – russi, tesi a scardinare il “profilo” e la conseguente affermazione di un’Europa politica anziché burocratica – tuttora in atto – più volte prospettata in sedi istituzionali.

La tutela degli interessi di oltre oceano avverso la UE – già avviati nel 2008 con la guerra all’euro (cfr. Panorama del 11-3-2010 “Attacco all’Euro”), per evitare che oscillasse eccessivamente al rialzo rispetto al dollaro e insidiasse la sua posizione di valuta di riferimento per gli scambi internazionali – si sono ulteriormente rafforzati con l’uscita della City dal contesto economico europeo.

Mosca potrebbe essersi anch’essa impegnata a favorire la Brexit per tornare a riaffermare la sua area di influenza sull’Ucraina e sui Paesi dell’Est europeo, estendendola anche oltre – nel tentativo di destabilizzare la Spagna – ricalcando i vecchi schemi del Cominform (Ufficio d’informazione comunista, che ebbe un ruolo chiave nel delineare la linea del movimento comunista nella fase nascente della guerra fredda).

Emmanuel Macron – giovane rampante della politica francese, legato alla famiglia dei banchieri ebraici Rothschild la quale lo avrebbe aiutato nella scalata alla presidenza francese – è attestato su posizioni neo liberiste e neo liberaliste della finanza internazionale anglosassone, restia ai meccanismi di ferreo controllo economico imposti dalla Merkel.

Il giovane Presidente non sembra intenzionato a tirar fuori dai cassetti dell’Eliseo la Costituzione Europea, colà riposta nel 2007, per rianimare un’Europa politica con un approccio federale o confederale. Il disegno geopolitico appare mirato ad impedire una UE a guida teutonica nonché ad ostacolare un’eventuale sodalizio con la Russia, come prospettato da Friedman.

*Inoltre, non è da sottovalutare un disegno geopolitico finalizzato ad impedire una saldatura tra Francia e Germania per ridare vita ad un motore europeo, ancorché a due velocità, che non rientra nella dottrina strategica statunitense (cfr. “Quale futuro ci attende?” su Analisi Difesa del 23.10 2016 in cui è stato, fra l’altro, sintetizzato l’articolo della rivista LIMES di aprile 1993 dal titolo “L’Europa senza l’Europa”).

Il secondo scenario delineato dal think tank statunitense – che verteva sull’estremismo jihadista – è in fase di funambolismi confessionali, tesi ad impedire la saldatura Iran-Siria, ricompattando “disarmonici” sforzi strategici dei vari attori sunniti che hanno tenuto in vita lo Stato Islamico, ora parzialmente debellato.

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Il tracciato geopolitico sta:

  • richiamando all’ordine l’emirato qatarino, tendente a surrogare la Mecca nella guida della ummah (comunità islamica universale, che comprende cioè la comunità dei credenti nella fede islamica a prescindere da confini territoriali), con finanziamenti etero diretti verso fazioni attestate sulle posizioni dei Fratelli Mussulmani;
  • rammentando agli statunitensi il Patto Usa-Saudita firnato il 15 febbraio 1945 sull’incrociatore Quincy tra il presidente americano F. D. Roosevelt e il re dell’Arabia Saudita Ibn Saud per sponsorizzare l’ascesa al trono saudita del clan Sudairi, nocciolo duro del wahhabismo ed impedire ulteriori espansioni sciite nell’area della penisola arabica;
  • favorendo un dialogo arabo-israeliano, in funzione anti iraniana ed anti-sciita.

Tutto ciò non ha fatto altro che favorire una più stretta alleanza fra Russia, Siria, Iran e Turchia, con pesanti ingerenze moscovite nell’area mediterranea, oltre che in direzione della Siria anche verso Egitto e Libia. Nel merito, è recentissimo l’incontro tra al Sisi e Putin i quali, con un accordo del valore di 30 miliardi, hanno concordato la costruzione di un impianto nucleare ad ovest del Cairo.

Il terzo scenario, quello più dirompente, si è aperto nell’area del Pacifico con i lanci missilistici della Corea del Nord sopra “la testa” del Giappone e la pretesa di Kim Jong-un di far assurgere il suo paese a potenza nucleare, dopo aver ricevuto negli anni ’90 da Abdul Qadeer Khan* – ingegnere pakistano, “padre” della prima bomba atomica del Pakistan – la tecnologia nucleare, a sua volta ricevuta dalla Cina.

*Nel gennaio del 2004, ha confessato di essere coinvolto in una rete internazionale che trafficava tecnologie per la costruzione di armi nucleari, che si estendeva dal Pakistan, alla Libia, alla Corea del Nord.

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L’area del Pacifico è già monitorata fin dal 1996 dall’originario “Gruppo dei 5 di Shanghai”, poi ampliato e consolidato nel giugno del 2001 dall’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Shanghai Cooperation Organization-SCO) con la firma di uno statuto – avente valenza di diritto internazionale – dai capi di Stato di sei Paesi: Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. L’iniziativa ha dato vita ad una forma di cooperazione ampia ed articolata in tema di sicurezza dell’Asia centrale al fine di contrastare il terrorismo, il separatismo e il fondamentalismo – ritenute le principali minacce all’esistenza degli Stati firmatari – estendendo il partenariato anche ad accordi di cooperazione economica e culturale.

Lo spazio geopolitico occupato dalla citata SCO (organizzazione internazionale comunemente e impropriamente denominata “la NATO asiatica”) – ancorché non costituisca un’alleanza di tipo militare – esercita la sua influenza su un intero emisfero terrestre in chiara contrapposizione alla sfera d’influenza statunitense che copre quasi l’altro intero emisfero.

Gran parte degli osservatori geopolitici interpretano la sua costituzione come un necessario contrappeso nei confronti degli Stati Uniti anche per impedirne spazi di intervento in casi di conflitti in aree vicine alla Russia o alla Cina.

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Le sanzioni occidentali imposte nel 2014 alla Russia per la crisi dell’Ucraina hanno rafforzato la cooperazione in tema economico dei partner del Gruppo dei 5, sviluppando l’agricoltura e l’apparato industriale, nonché la tecnologia che sta caratterizzando la SCO come un enorme blocco commerciale, economico, difensivo e strategico che comprende metà della popolazione mondiale, con l’obiettivo di contrastare la supremazia del sistema dollaro-euro.

La richiesta degli Stati Uniti – essere ammessi come “osservatori” nell’Organizzazione – è stata respinta nel 2006, mentre l’Iran (dal 2006) è in attesa di esserne ammesso come membro a pieno titolo.

La capacità del gruppo di agire con metodo e coordinamento è stata finora limitata dagli interessi contrapposti di Russia e Cina e – ad intralciarne l’ulteriore compattezza – sono stati ammessi nell’ambito della SCO (giugno 2017) l’India ed il Pakistan, che sembrano essere “trojan horse” (cavalli di Troia) da attivare al momento opportuno per causare l’implosione del sistema.

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Tutto ciò in aggiunta ai comportamenti, decisionisti e presuntuosi, di una presidenza americana in direzione di Corea del Nord e Palestina – recente decisione del Presidente Trump relativa al prossimo trasferimento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme – sembra avallare la paura che si possa scatenare ancora una volta la follia nucleare sino a condurre non più alla distruzione di vaste aree del globo ma dell’intero pianeta.

Le sconvolgenti prospettive appaiono però mitigate da almeno due aspetti.

L’intervento di Putin alla tradizionale conferenza stampa di fine anno tenuta il 14 dicembre 2017 –nel corso della quale ha annunciato la sua candidatura come indipendente alle prossime elezioni ed invitato Donald Trump a non abbandonare unilateralmente il trattato New Start (New STrategic Arms Reduction Treaty, trattato sulla riduzione delle armi nucleari) per non compromettere la sicurezza internazionale. Inoltre, ha invitato il Presidente americano a migliorare i rapporti con la Russia, ribadendo che essa non riconosce la Corea del Nord come potenza nucleare ed esortando gli USA ad un dialogo diretto con Pyongyang per impedire una pericolosa escalation.

Inoltre le dichiarazioni del Segretario di Stato americano, Rex Tillerson, secondo le quali gli Stati Uniti si sono detti disponibili a parlare con la Corea del Nord non appena quel regime se la sentirà. Dichiarazioni che hanno suscitato il consenso Primo Ministro cinese Li Keqiang, perché servono ad alleviare la tensione e soddisfazione anche da parte della Russia.

Foto KCNA, AP e al Jazeera

 

Luciano Piacentini, Claudio MasciVedi tutti gli articoli

Luciano Piacentini: Incursore, già comandante del 9. Battaglione d'Assalto "Col Moschin" e Capo di Stato Maggiore della Brigata "Folgore", ha operato negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico. --- Claudio Masci: Ufficiale dei Carabinieri già comandante di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali dove ha concluso la sua carriera militare.

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