Quei 50 “foreign fighters” che i confini colabrodo non hanno fermato
da Il Mattino del 1° febbraio 2018
La notizia è di quelle destinate a scatenare polemiche, specie in campagna elettorale, ma non è certo una novità per nessuno. Il rapporto dell’Interpol rivelato dal quotidiano britannico Guardian contiene una lista coi nomi di 50 sospetti foreign fighters dell’Isis, tutti tunisini, che sarebbero entrati recentemente in Italia con i cosiddetti “sbarchi fantasma”, cioè a bordo di pescherecci o piccole imbarcazioni poi abbandonate sulla spiaggia.
Il fenomeno da mesi vede queste imbarcazioni salpare dalla Tunisia raggiungere senza essere intercettate, spesso di notte, le coste siciliane sbarcandovi uomini che in molti casi non vengono intercettati e possono penetrare nella Penisola.
Sono già molte centinaia i tunisini entrati in questo modo in Italia e nei mesi scorsi il ministro degli Interni, Marco Minniti, lanciò l’allarme per la possibile infiltrazione di terroristi e “foreign fighters”, tenuto conto che sono circa 6mila i tunisini che si stima abbiano combattuto sotto le bandiere dello Stato Islamico in Siria, Iraq e Libia.
La fonte citata dal Guardian sembra essere affidabile e del resto già nel luglio scorso il giornale londinese pubblicò un’altra lista con 173 presunti combattenti dell’Isis che secondo l’Interpol sarebbero incaricati di compiere attentati in Europa per vendicare le sconfitte subite in Medio Oriente.
Un funzionario dell’antiterrorismo ha detto al Guardian che i tunisini citati nell’ultima lista sarebbero sbarcati in Sicilia tra luglio e ottobre 2017, proprio nel periodo in cui cominciarono a diventare consistenti gli “sbarchi fantasma” sulle coste sicule.
La notizia, che ha scatenato le reazioni dell’opposizione italiana, “non trova alcun riscontro” precisa il Dipartimento della Pubblica Sicurezza pur ammettendo di aver individuato e rimpatriato, in cooperazione con le autorità di Tunisi, un esiguo numero di sospetti jihadisti.
Il rapporto dell’Interpol appare quindi credibile perché riferisce di numeri ben più ampi rispetto ai pochi sospetti individuati e rimpatriati dall’Italia e del resto i numeri reali degli infiltrati potrebbe anche essere più ampio dal momento che l‘Italia ha rinunciato a controllare in modo capillare i suoi confini marittimi meridionali.
Impieghiamo flotte nazionali ed europee per consentire a chiunque paghi criminali in Libia e (in misura minore) in Tunisia e Algeria, di raggiungere le nostre coste e da lì muoversi liberamente nella Penisola anche cercando di raggiungere altri Stati europei.
Questo vale per i migranti illegali (650 mila dal 2013, due terzi dei quali finiti chissà dove) di cui non sappiamo niente poiché giungono tutti o quasi senza documenti, ma vale in misura maggiore per coloro che sbarcano di notte alla chetichella, evidentemente poco interessati a registrarsi, farsi fotografare o lasciare le impronte digitali, Molto probabilmente perché già schedati come criminali o terroristi alle forze di sicurezza tunisine o di altri paesi di Nord Africa e Medio Oriente.
Da anni l’intelligence ci ha rivelato gli stretti rapporti (e non solo finanziari) tra terrorismo islamico e traffico di esseri umani e ci sono moltissimi casi documentati di jihadisti infiltratisi in Europa dalle rotte libiche e balcanica, per non parlare del fenomeno ben più ampio dell’infiltrazione di gruppi malavitosi legati alla mafia nigeriana o ai clan di spacciatori maghrebini. Temi più volte approfonditi da “Il Mattino” a conferma che non abbiamo bisogno degli ultimi rapporti dell’Interpol per sapere che le rotte della migrazione illegale dal Nord Africa sono delle vere e proprie autostrade del crimine, del terrorismo e dell’immigrazione illegale.
Non occorrono più mezzi navali per combattere il fenomeno, basterebbe impiegare quelli già schierati nel Mediterraneo per difendere i confini nazionali, non per favorirne la penetrazione.
Le flotte militari d’altura italiane ed europee dovrebbero bloccare barchini, gommoni e barconi di fronte alle coste libiche e tunisine e consegnare gli occupanti alle autorità di questi paesi impedendone l’arrivo illegale in Italia. Alcune piccole imbarcazioni potrebbero sfuggire a questi dispositivi navali ma i mezzi leggeri di Guardia Costiera, Guardia di Finanza e altre forze di polizia potrebbero agevolmente “sigillare” le coste siciliane intercettando quasi tutti i tentativi di infiltrazione.
Non mancano uomini e mezzi per farlo, sembra invece latitare la volontà politica. Recentemente il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha annunciato davanti ai media di tutto il mondo al Forum economico di Davos che l’Italia non chiuderà i suoi porti all’immigrazione illegale.
In questo modo non solo si incoraggiano i flussi illegali e il business dei trafficanti ma si rinuncia a ogni forma di deterrenza nei confronti di criminali e terroristi rafforzandone la consapevolezza che l’Italia ha rinunciato a controllare le sue frontiere.
Foto: AP, AFP e web
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.